Il free speech e i suoi limiti
Difesa della libertà di pensiero o costi legati alla moderazione dei contenuti? Perchè si BigTech invoca sempre il "free speech"
Se Elon Musk vede il suo X (Twitter per chi non segue con assiduità le cronache della Rete) bloccato da un giudice brasiliano, evoca la censura nei confronti del free speech. Se il fondatore di Telegram Pavel Durov viene arrestato in Francia, i suoi difensori, di fronte alle pesanti accuse ricevute, sottolineano i pericoli dell’ingerenza statale nel free speech garantito dalla piattaforma. Per anni persino Mark Zuckerberg ha invocato la libera manifestazione del pensiero come misura del mancato blocco di profili da molti ritenuti violenti o razzisti.
Difesa della libertà o costi insostenibili?
Spesso, dietro questo valore, peraltro condivisibile, ci sono più prosaiche considerazioni economiche. Costi necessari non solo ad avere algoritmi di machine learning in grado di intercettare contenuti illegali o pericolosi, ma anche onerosi necessari a remunerare team il cui compito è controllare le segnalazioni e prendere in carico le opportune segnalazioni per darvi seguito.
Meta si è persino dotata di un istituto indipendente per affrontare le questioni più controverse. La materia è tanto più delicata quanto più le pressioni possono derivare non solo da governi democratici, ma anche da regimi autoritari che, in questo modo, intendono bloccare l’uso che dei social network fanno gli oppositori per coordinarsi e condurre le loro battaglie.
I casi più eclatanti dell’estate pare abbiano visto al momento perdenti gli esponenti di BigTech: X ha nominato un rappresentante locale come richiesto dal Brasile, Telegram ha fornito alla Francia le informazioni richieste. La lettera, di recente pubblicata da Mark Zuckerberg e relativa alle pressioni ricevute durante il Covid dall’Amministrazione Biden, sottolinea infine che la questione non è davvero semplice da districare perchè, in ultima analisi, interviene sui nodi più profondi del rapporto fra potere e libertà.