“Anora” di Sean Baker e il palmarès di Cannes 2024
Un Festival di Cannes 2024 all'insegna dell'attenzione alle pellicole, ai contenuti e agli stili di regia più dissacratori e anticonvenzionali laurea con la Palma d'oro "Anora" dello statunitense Sean Baker
La 77esima edizione del prestigioso Festival di Cannes – svoltasi dal 14 al 25 maggio scorso – si è caratterizzata per la particolare attenzione e sensibilità dei giurati non tanto verso i grandi maestri dalla carriera ormai consolidata (come, ad esempio, il Francis Ford Coppola del futuristico “Megalopolis”), quanto rispetto la novità e l’originalità di stile e contenuti di autori spesso più giovani e anticonvenzionali. La giuria, non a caso, è stata presieduta dalla regista e sceneggiatrice americana – tra le principali esponenti del cinema indie – Greta Gerwig, e ha visto tra i suoi membri la fotografa turca Ebru Ceylan, le attrici Lily Gladstone ed Eva Green, la regista libanese Nadine Labaki, il cineasta spagnolo Juan Antonio Bayona, il giapponese Kore-eda Hirokazu, oltre al divo francese Omar Sy e al nostro Pierfrancesco Favino.
Palma d’oro ad “Anora” di Sean Baker
“Anora”, dell’americano Sean Baker, si è aggiudicato la Palma d’oro. La commedia mette in scena la tragicomica storia di Anora (Mikey Madison), una ragazza di origini uzbeke che si mantiene facendo lo streap-tease in un locale notturno di New York, e della complicata storia d’amore con Ivan (Mark Eydelshteyn), un russo suo coetaneo, proveniente da una famiglia di ricchi oligarchi totalmente avversi all’unione dei due.
Il film, volutamente dissacratorio e autoironico, non ha convinto parte della critica, che avrebbe preferito l’attribuzione del premio principale di Cannes a un’opera più ‘tradizionale’ anche se “Anora” minaccia di rivelarsi un successo al botteghino.
“Emilia Perez” e il trionfo a Cannes di un cast al femminile
Il Premio della giuria è andato a “Emilia Perez”, del regista francese Jacques Audiard: si tratta di un musical che racconta l’odissea di un’avvocatessa di Città del Messico assoldata dal uno dei più temuti boss del narcotraffico, bisognoso di aiuto per poter lasciare il Messico e sottoporsi a un’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso.
Il cast al femminile del film (Selena Gomez, Zoe Saldaña, Karla Sofía Gascón e Adriana Paz) ha ottenuto a pari merito il Premio per la miglior interpretazione femminile, così come il Grand Prix della giuria è stato attribuito a“All We Imagine as Light”, secondo film della regista indiana Payal Kapadia (incentrato sui problemi di vita e relazioni di due infermiere di Mumbai); mentre il Premio per il miglior attore ha laureato Jesse Plemons per “Kinds of Kindness”, l’ultimo film di Yorgos Lanthimos, ancora con protagonisti – dopo “Poor Things!” – Emma Stone e Willem Dafoe.
Premio speciale a “Il seme del fico sacro” del perseguitato Rasoulof
“Il seme del fico sacro (The Seed of the Sacred Fig), del regista iraniano Mohammad Rasoulof, ha vinto il Premio speciale della giuria, narrando la storia di un giudice alle prese con le difficoltà del proprio ruolo nella Teheran odierna. Il cineasta (Orso d’oro alla Berlinale nel 2023 con “Il male non esiste”) si è visto costretto a fuggire dall’Iran di nascosto nelle scorse settimane, dopo essere stato condannato a causa delle sue opere alla fustigazione, alla confisca dei beni e a cinque anni di carcere.
«Cito un grande sociologo: la perdita della speranza è qualcosa che non può esistere in una società. Quando ho attraversato la frontiera, ho lanciato un ultimo sguardo e mi sono detto: tornerò. Ora penso alle prossime storie da raccontare», ha dichiarato Rasoulof nel corso della cerimonia di premiazione. La regista e sceneggiatrice francese Coralie Fargeat ha, invece, ricevuto il Premio per la miglior sceneggiatura con “The Substance”, protagoniste Demi Moore e Margaret Qualley. La pellicola si inserisce nel sottogenere cosiddetto “body horror” (vedi, tra gli esempi recenti più eclatanti “Titane” di Julia Ducornau, Palma d’oro a Cannes nel 2021, e “Crimes of the Future” di David Cronenberg, 2022), le cui trame sono incentrate su manipolazioni violente e trasformazioni estreme operate sul corpo umano.
Nel film, attraverso l’uso di un siero sperimentale, Elizabeth (la Moore), attrice in declino, si ritrova drammaticamente a fare i conti con un’altra sé stessa, un terribile doppio. Il Premio per la miglior regia è andato al portoghese Miguel Gomez per “Grand Tour”, che racconta le peripezie orientali (ci troviamo nella Rangoon del 1917) di Molly (Crista Alfaiate), promessa sposa di Edward (Gonçalo Waddington), funzionario dell’Impero britannico in fuga il giorno stesso del suo matrimonio.
Successo per il documentarista Roberto Minervini, delusi Sorrentino e Honoré
Il documentarista Roberto Minervini (“Louisiana: the Other Side”, 2015, e “Che fare quando il mondo è in fiamme?”, 2018) ha vinto il Premio per la miglior regia (ex aequo con la regista zambiana Rungano Nyoni per “On Becoming a Guinea Fowl”) nella sezione Un Certain Regard con il suo primo lungometraggio di finzione, “I dannati”, ambientato durante la Guerra Civile americana del 1862, entro uno spazio indefinito della frontiera.
Non hanno invece ricevuto premi “Parthenope”, decimo film di Paolo Sorrentino con Luisa Ranieri, già parte nel 2021 del cast di “E’ stata la mano di Dio”, e “Marcello mio” di Christophe Honoré, omaggio originale e atipico da parte della figlia Chiara – straordinaria interprete – al grande Marcello Mastroianni, di cui il prossimo settembre si celebra il centenario dalla nascita.