"Pfas, il nuovo amianto che inquina la nostra terra": stasera l'incontro
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ALESSANDRIA – I Pfas sono pericolosi per la salute e possono rappresentare un rischio, anche quelli di nuova generazione: lo scrive il Tar in una sentenza che diventa pilota nel mare magnun della diatriba sulle sostanze chimiche che stanno contaminando il pianeta. Una decisione, quella del Tar piemontese, che ci riguarda da vicino perché ha respinto i ricorsi di Solvay contro le amministrazioni alessandrine (Provincia, Comune e Arpa) che le imposero di sistemare 32 situazioni prima di poter procedere alla modifica sostanziale dell’impianto per produrre e utilizzare il cC6O4.
Quando Solvay chiese l’autorizzazione alla Provincia, gli enti analizzarono la condizione riferita a quegli impianti, e imposero, come detto, 32 prescrizioni. Semplificando: l’azienda doveva mettere ordine laddove gli enti riscontrarono criticità per poter ottenere il via.
Fino al febbraio 2021, la procedura rimase in stand by perché per Arpa di Alessandria le procedure per sanare quelle prescrizioni non rientravano ancora nei parametri. L’iter si sbloccò pochi mesi dopo con il parere favorevole (una volta esaminati gli interventi eseguiti da Solvay) dell’Agenzia.
La multinazionale, pur avendo adempiuto a quei diktat della Provincia, presentò ricorsi al Tar proprio contro chi quegli interventi li impose. Ma sono stati respinti. E con loro, anche quello di Legambiente riguardante l’autorizzazione riferita al cC6O4.
Quindi, il Tar ha respinto i ricorsi presentati da Solvay (ora Syensqo). E lo ha fatto, in estrema sintesi, alla stregua di studi scientifici disponibili secondo cui risulta presente un rischio per la salute e l’ambiente derivante anche dai Pfas di nuova generazione a catena corta, per cui le contestate prescrizioni trovano giustificazione in forza del principio di precauzione.
A pagina trenta della sentenza di legge un approfondimento proprio sui Pfas. La categoria dei Pfas raggruppa sostanza utilizzate in campo industriale e che si trovano pressoché disperse ovunque nell’ambiente. Si tratta di composti molto poco biodegradabili e da tempo oggetto di attenzione da parte della comunità scientifica, che ne monitora gli effetti sulla salute umana, a causa del loro accumulo nell’organismo. Con l’aumento del rischio di sviluppare – ad esempio – alti livelli di colesterolo e acido urico nel sangue o altre problematiche ai reni, al fegato, alla tiroide. L’uomo è esposto attraverso l’ingestione di acqua potabile o cibi provenienti da zone con elevati livelli di Pfas, l’inalazione di aria contenente polveri, il contatto con superfici contaminate.
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All’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, si legge, il legislatore nazionale ed europeo non aveva fissato valore limite per i Pfas, ma c’erano solo standard di qualità ambientale. Tuttavia, specifica il Tar, poiché corrisponde a un’opinione scientifica notoria che l’uso di Pfas può ragionevolmente essere correlato a patologie importanti per l’uomo o presenti gravi rischi per l’ecosistema, si impone alle amministrazioni, nell’ambito della propria discrezionalità, di prestare particolare cautela al momento del rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali riferite a queste sostanze.
Sul cC6O4 (sostanza di nuova generazione) i giudici amministrativi regionali, spiegano che i suoi effetti non sono ancora approfonditi come i suoi predecessori. Tuttavia ci sono studi scientifici che ne segnalano i rischi per l’ambiente e per la salute: i dati disponibili riguardano indagini di tossicità acuta e genotossicità condotte sul ratto. Altre indagini eseguite sulle vongole, suggeriscono la possibilità che la sostanza in questione entri nella catena fino all’uomo. Inoltre, ad esito di analisi sul possibile effetto pro-trombotico del cC6O4 è stato accertato che esposizione a basse concentrazioni induce un’attività piastrinica che «potrebbe indurre un maggior rischio di eventi cardiovascolari».