“Memoria dimenticata”, la docuserie sulla rivolta in carcere
A 50 anni di distanza, LaV Comunicazione ripercorre la storia della strage nel penitenziario cittadino
ALESSANDRIA – «Sembra quasi che Alessandria volesse dimenticare la storia della rivolta. Hanno intitolato il carcere a mio papà e a Cantiello, ma non si è più fatto niente per capire cos’è successo veramente». Questa frase, di Luigi Gaeta, figlio dell’appuntato Sebastiano Gaeta, racconta bene cosa ha lasciato uno degli avvenimenti più tragici nella storia recente di Alessandria.
Sono trascorsi 50 anni dalla rivolta al carcere “Don Soria” del 9 e 10 maggio 1974. In occasione di questo importante anniversario, LaV Comunicazione, casa di produzione della Diocesi di Alessandria, ha realizzato una docuserie a puntate dal titolo “Memoria dimenticata”. Che sarà online da venerdì 10 maggio 2024 sui social e su questo sito. Chi volesse raccontare la propria esperienza legata a questa vicenda, può scrivere a rivoltadonsoria@lavcomunicazione.it.
I giorni della rivolta
Giovedì 9 maggio 1974. Casa di reclusione “Don Soria” di Alessandria. Tre detenuti armati – Cesare Concu, Domenico Di Bona ed Everardo Levrero – presero in ostaggio una ventina di persone (insegnanti della scuola carceraria, il medico, agenti di custodia e altri detenuti). I rivoltosi vogliono evadere.
All’esterno, a dirigere le operazioni, il Procuratore della Repubblica di Torino Carlo Reviglio della Veneria e il generale dell’Arma dei Carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Seguiranno due giorni di trattative, di tensione, di dolore, di lacrime. E di verità ancora da scoprire.
Il bilancio sarà tragico: cinque morti tra gli ostaggi, due tra i rivoltosi e decine i feriti. A perdere la vita saranno il dottor Roberto Gandolfi, il professor Pier Luigi Campi, l’appuntato Sebastiano Gaeta, il brigadiere Gennaro Cantiello e l’assistente sociale Graziella Vassallo Giarola. Dei rivoltosi, Cesare Concu venne ucciso dalle forze dell’ordine, Domenico Di Bona si suicidò, mentre Everardo Levrero rimase illeso e venne processato. Sono trascorsi 50 anni, ma ancora oggi sono tanti gli interrogativi che aleggiano su questa drammatica storia.
La docuserie
«La docuserie si chiama “Memoria dimenticata“, perché sembra che Alessandria abbia dimenticato questa storia» spiega Alessandro Venticinque, giornalista di Voce Alessandrina e autore della docuserie. «Le ultime generazioni, come la mia per esempio, difficilmente ne hanno sentito parlare. Per questo, a 50 anni di distanza, abbiamo deciso di raccontarla. Per provare a illuminare quei coni d’ombra che ancora ci impediscono di sapere tutta la verità. Per guardare in faccia il dolore di chi ha perso un padre, un marito, un parente, un amico. Per chi, da quel 9 e 10 maggio 1974, ha visto stravolgere la propria vita. E ha dovuto fare i conti, ogni giorno, con il dolore e la rabbia».
I protagonisti
In “Memoria dimenticata” verranno ripercorsi i due giorni della rivolta e tutto ciò che è accaduto dopo: tra processi, indagini, teorie e verità ancora da scoprire. Con immagini dell’epoca e dell’attuale carcere, grazie alla collaborazione con la direzione degli Istituti Penitenziari di Alessandria. Vedremo i volti e sentiremo la voce di chi ha vissuto questa storia sulla propria pelle.
C’è chi ha perso un padre, chi era presente e ha visto, chi si è fatto raccontare: storie diverse, vite diverse ma con ferite e segni indelebili che non vanno più via. Ci saranno le testimonianze di alcuni familiari delle vittime e dei sopravvissuti, e dei giornalisti che hanno raccontato la rivolta. Non solo: per la prima volta dopo il processo del 1978, ascolteremo la voce di Everardo Levrero, l’unico sopravvissuto dei tre rivoltosi, che oggi vive fuori dall’Italia e non ha mai rilasciato dichiarazioni. Alessandro Venticinque lo ha rintracciato e si è fatto raccontare la sua versione.
Perché
«Storie come questa lasciano ferite così profonde che se non vengono curate possono bruciare per un’intera esistenza» spiega Enzo Governale, direttore delle Comunicazioni sociali. «I segni di quella vicenda erano ben visibili nelle parole e nei volti dei protagonisti di questa docuserie. Ho visto alcuni volti cambiare durante le interviste e spero che per molti di loro sia stata l’occasione per lenire quel dolore e provare a voltare pagina definitivamente. Abbiamo deciso di produrre questa docuserie perché anche Alessandria e la comunità che la vive possano fare lo stesso. Senza dimenticare, senza girarsi dall’altra parte. Nessuna ferita guarisce se prima non la si guarda, la si accetta e infine si decide di prendersene cura. Per noi questo è il senso della comunicazione».