«Primario emerito? Nomina che mi commuove. All’ospedale di Alessandria anni formidabili»
Di recente, nell’ambito delle celebrazioni di Sant’Antonio – il patrono dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Alessandria da cui prende il nome il Presidio Civile – il dottor Ivo Casagranda è stato nominato primario emerito insieme al dottor Marco Manganaro.
Casagranda è stato direttore del Dipartimento di Emergenza e Accettazione dal 1999 al 2017 e poi direttore del Dea Interaziendale funzionale dell’Azienda e Asl di Alessandria in coordinamento con l’Asl di Asti.
Dottor Casagranda, che cosa si prova a essere primario emerito?
Sono sincero, è una nomina che mi ha commosso: ho maturato un’esperienza ventennale, ma ho lasciato Alessandria oramai sette anni fa, non mi aspettavo un riconoscimento del genere, a distanza di così tanto tempo.
Sono state premiate due persone, lei e Manganaro appunto, “che si sono distinti nei loro anni di attività per il miglioramento delle cure e dei servizi”: qual è stato, a suo parere, il momento più importante del suo percorso ad Alessandria?
Sicuramente l’inaugurazione della nuova struttura del Dipartimento di Emergenza, avvenuta nel 2004. Quello fu un cambiamento epocale, che diede lustro all’intero presidio ospedaliero. Ad aprile si celebrerà il ventennale, non posso che esserne orgoglioso.
In quel periodo, si avvertiva la sensazione che qualcosa stava cambiando?
Personalmente sentivo forte la percezione, eravamo protagonisti di un cambiamento a tutti gli effetti rivoluzionario. Alessandria, per diverso tempo, è stato un punto di riferimento a livello nazionale, è stato un periodo estremamente proficuo sia per noi medici, sia per coloro che gestivano la struttura. Eravamo giovani, c’era davvero grande entusiasmo.
A suo parere, qual è stato il fattore decisivo per ottenere risultati così di rilievo?
Ha inciso molto il fatto di avere avuto per un decennio lo stesso direttore generale, il dottor Paolo Tofanini: questo aspetto è stato determinante a livello di programmazione e di visione sul lungo periodo. Ma ci tengo a menzionare anche medici e soprattutto infermieri, che hanno vissuto quel periodo con straordinaria partecipazione e coinvolgimento. Consapevoli di vivere un passaggio decisivo e di dover adeguarsi alla nuova realtà.
Nel 1997, all’inizio della sua carriera alessandrina, è stato avviato il triage in ospedale: che ricordi ha di quel momento così importante?
Sono originario del Trentino e sono stato tra i primi in Italia ad occuparmi di triage, nella ‘mia’Rovereto. Quando replicammo l’esperienza ad Alessandria, fu una vera e propria rivoluzione: ricordo ancora che mi telefonò una radio di Milano per intervistarmi sull’argomento e la chiacchierata si concluse con un auspicio da parte del giornalista. Mi disse. “Speriamo che lo facciano anche qui da noi”. Quell’episodio mi colpì molto.
C’è un aneddoto al quale è particolarmente legato nella sua carriera di medico?
Ce ne sono diversi, ne cito uno accaduto proprio ad Alessandria. Arrivò in ospedale un paziente colpito da un infarto miocardico acuto: la situazione era molto grave e questa persona, che faceva il camionista, mi chiese di poter vedere la moglie, malata di Alzheimer. Lei lo accompagnava sempre in ogni suo viaggio con il camion… Rimasi molto colpito, purtroppo separare l’aspetto medico da quello umano fa parte della nostra professione.
Cosa vede nel futuro dell’ospedale di Alessandria?
Sono legato da un rapporto di grande affetto, al Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo ho vissuto anni formidabili, che porterò sempre nel mio cuore. Se il futuro del Sistema Sanitario Nazionale, a livello generale, mi crea diverse preoccupazioni, per quanto riguarda Alessandria credo che il passaggio ad Azienda Ospedaliero-Universitaria possa garantire prospettive molto importanti. Bisogna saperle interpretare nella maniera corretta.