Il delitto dell’orafo valenzano Edmondo Aviotti
La storia di un episodio di cronaca nera risalente a più di 80 anni fa, proprio nei giorni di Natale
VALENZA – Imprese criminose ai danni di orafi valenzani sono state perpetuate assai di frequente in ogni tempo, spesso con effetti collaterali perversi che la cronaca ha fornito poche volte, e chi è a continuo contatto con i gioielli e le gemme non può fare a meno di provare un sentimento di apprensione alla notizia che un collega è rimasto vittima di ladri o rapinatori. C’è stato chi ha pensato che il protagonista non fosse stato abbastanza prudente, chi ha sospettato collusioni occulte fra gli autori del reato e colui che l’ha subito e alcune simulazioni hanno dato fondamento a questo modo di rimuginare certe perfide trame, per altro ingiuste verso il grande numero di vittime vere. Tanti hanno anche formulato maliziose congetture sul fatto che il valore del furto fosse stato gonfiato.
La colpa non meno grave andrebbe riservata, però, ai ricettatori che hanno compiuto questi atti ignominiosi. Furti e rapine sarebbero stati meno numerosi se non fosse stata data ai delinquenti la possibilità di vendere il frutto dell’illecito. Ma, seppure spesso sia stato quasi perdonato tutto, in mezzo al dolore finto e a parecchie facce di circostanza sono stati troppi gli orafi e i viaggiatori valenzani che hanno subito degli spregevoli reati che hanno prodotto gravi conseguenze economiche, se non vere tragedie umane. Per fortuna da tempo questi fatti criminosi sono in drastico calo, anche se non sono mancati casi sconcertanti.
Gli orafi valenzani hanno sempre vissuto tutto questo con un certo fatalismo e quasi con uno spirito di resa all’ineluttabile. Su un terribile episodio accaduto tanti anni fa andiamo ora a soffermarci.
Un noto e stimato viaggiatore orafo, Edmondo Aviotti, nato a Valenza il 10 ottobre 1897, poco prima delle festività natalizie del 1939 ricevette un incalzante invito dal giovane cliente Luigi Briccoli di Piacenza – personaggio poco stimato a cui l’Aviotti sembra abbia concesso più volte credito con benevolenza, poi descritto come un giovane dalla vita dispendiosa sull’orlo del fallimento – di recarsi con lui a Milano con una partita di pietre preziose per effettuarne la vendita. Contro il parere dei familiari, Aviotti partì per Piacenza il giorno della vigilia di Natale, con il naturale obiettivo di realizzare un distinto profitto. Pochi giorni dopo, dalla stampa si seppe che alcuni contadini, lo stesso 24 dicembre 1939, presso Santo Stefano, sulla sponda lombarda del Po, avevano trovato quasi assiderato, scalzo e in parte spogliato il Briccoli, che affermava di essere stato rapinato da due sconosciuti in compagnia dell’Aviotti. I carabinieri, non prestando troppa fede al racconto, piantonarono il Briccoli in ospedale e iniziarono le indagini. Fu presto ritrovata l’auto del valenzano perforata da proiettili, con impronte di sangue e gli abiti dello stesso, ma di lui né del suo pacco di gioielli del valore di circa 500mila lire nessuna traccia.
Messo sotto pressante interrogatorio, il 29 dicembre 1939, il Briccoli, tolta la diabolica maschera, confessava la presenza sull’auto di Vincenzo Sanaric(c)a – un ventunenne meccanico milanese descritto poi come un violento che viveva di espedienti – il quale, a pochi chilometri da Piacenza, avrebbe colpito al capo Aviotti per stordirlo e poi lo avrebbe freddato e gettato in una profonda roggia.
Lo stesso giorno, veniva trovato il corpo senza vita di Aviotti con mani e piedi legati con robuste funi alle quali erano appesi pesi di piombo. Nel mentre, parte dei gioielli era stata consegnata alla questura di Milano da un frate di Piacenza che affermava di non poter denunciare chi lo aveva incaricato di consegnare i preziosi alla polizia per il vincolo di mantenerne il segreto.
Il delitto e il suo seguito, vennero accertati come segue: il Briccoli, commesso il delitto con il Sanarica, tornò a casa per cena, ripose l’involucro con la parte di bottino e poi si recò nel bosco a inscenare il rapimento. La sorella trovò i gioielli e si presume che abbia recato l’involucro al cappuccino affinché lo consegnasse alla polizia.
Fermato e interrogato, il Sanarica confessò l’uccisione dell’orefice valenzano, il quale si era difeso durante l’aggressione, tanto che un colpo dell’arma usata ferì il meccanico milanese alla gamba, cosa che non gli impedì di consumare l’aberrante delitto e di tornare a Milano. Il Sanarica ammise inoltre di aver nascosto la sua parte del malloppo nella cantina della sua dimora milanese in via Bastioni Garibaldi 9, dove i carabinieri la rinvennero in un sacchettino al di sotto del pavimento in terra battuta.
Dopo il drammatico confronto tra il Sanarica e il Briccoli del il 31 dicembre, nel quale i criminali si accusarono a vicenda del delitto, venne arrestato un terzo complice, Carlo Bordi, cugino del Briccoli, a cui era stata proposta dal Briccoli l’esecuzione del crimine, ma, essendo il Bordi impedito ad agire a causa del servizio militare, consigliò il Sanarica, detto “Pucci”, come individuo adatto alla cosa.
L’autopsia sul corpo di Edmondo Aviotti, compiuta presso l’ospedale di Lodi, rivelò, oltre a profonde ecchimosi al volto, che lo aveva raggiunto un solo colpo di rivoltella e che quindi la morte era avvenuta per annegamento: l’orafo valenzano era stato gettato nella roggia Codogna, presso Mairago, stordito e ferito, ma ancora vivo! Sotto il panciotto dello sfortunato si rinvennero altri sei piccoli cartocci contenenti altri preziosi, ignorati dagli assassini.
Gli imponenti funerali di Edmondo Aviotti si svolsero il 3 gennaio 1940, con la partecipazione riverente di una moltitudine di persone, delle autorità e delle rappresentanze degli orafi dei maggiori centri del paese. Con immane tristezza, la salma venne portata in spalla dagli operai dipendenti della vittima e dai colleghi. Il parroco don Grassi e l’avvocato Rolla pronunciarono toccanti parole di cordoglio.
L’epilogo della tragedia avvenne davanti alla Corte d’Assise di Milano, che, il 30 aprile 1940, dopo solo due ore di deliberazione, condannò il Briccoli e il Sanarica alla pena capitale, che sarà poi eseguita il 13 novembre 1940. Il Bordi sarà condannato per concorso a 15 anni di reclusione.
La madre del Briccoli morirà per il dispiacere, la sorella e il fratello cambieranno cognome e si trasferiranno in Svizzera.
Mi è sembrato cosa giusta evocare questo crimine malvagio, sprofondato nel tempo ma con ombre inquietanti sempre presenti, in memoria di un serio e sfortunato operatore orafo valenzano che ha subito il colpo più duro.