Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
VALENZA – Proseguiamo la descrizione delle vie di Valenza e dei loro presupposti storici.
Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
Via Mario Nebbia, via Carlo Tortrino e via Giovanni Valeriani. Furono tre partigiani valenzani accomunati dalla stessa tragica fine con un’esecuzione fascista. Mentre Valenza festeggiava la fine in un contesto ancora incerto, liberazione avvenuta in parte nella notte del 24 aprile, iniziava a circolare la tragica notizia che tre partigiani valenzani – Mario Nebbia (26-6-1926), Giovanni Valeriani (7-9-1920) e Carlo Tortrino (11-7-1900) erano stati fucilati.
All’alba del 25 aprile 1945, i tre antifascisti, incaricati alla guardia di Porta Po, rincorrono e catturano un repubblichino ricercato attivamente per tutta la notte. Nel frattempo, al terzetto partigiano si è aggiunto Giuseppe Nebbia, fratello di Mario, ma, mentre il gruppetto sta rientrando in città, incappa in un reparto di militari tedeschi in ritirata (pattuglia di Kriegsmarine e aviatori), che rilascia il prigioniero repubblichino e ferma i quattro. Vane risultano le loro lagnanze affinché si avverta la gendarmeria tedesca di Valenza perché questa assicuri l’osservanza delle condizioni di tregua pattuite nella notte. Dopo circa mezz’ora di fermo, i quattro partigiani vengono consegnati a una sopravvenuta colonna della XXXI brigata nera “Generale Silvio Parodi” di Genova, anch’essa in fuga verso il traghetto, che,a bordo di un camion, conduce i quattro valenzani sulla riva del fiume.
Spogliati di scarpe e vestiti e sottoposti a derisioni e insulti, gli sventurati vengono portati nel folto boschetto, disposti in fila e passati per le armi alla schiena da quattro uomini ebbri di sé della brigata nera: tutta gente che se ne infischia dei diritti umani. Dopo gli spari, Giuseppe Nebbia, che si trova miracolosamente illeso – è ragionevole ipotizzare che qualcuno degli esecutori non lo abbia colpito volutamente – cade tra il fratello Mario e il compagno Giovanni Valeriani, fingendosi morto, e fortuna vuole che venga inspiegabilmente risparmiato anche dal colpo di grazia che i fascisti danno agli altri tre fucilati. Atteso che tutti si siano allontanati dal luogo dell’eccidio, Giuseppe Nebbia, strisciando, passa i reticolati del torrente Grana, si immerge e nuota fino alla salvezza.
Via Giuseppe Oddone. Giovane antifascista valenzano nato nel 1925. Renitente alla leva militare per la RSI, si dà alla macchia in Toscana, dove era destinato, unendosi alle formazioni partigiane operanti nell’aretino e lì verrà fucilato il 15 giugno 1944.
Le vie di Valenza - seconda parte
VALENZA - Valenza è piena di vie intitolate a personaggi di cui spesso si ignorano le vicende e le ragioni che…
Via Sandro Pino. Dopo l’8 settembre 1943, sono molte le retate che la GNR e le Brigate nere compiono in città, terrorizzando la popolazione, allo scopo di catturare renitenti e antifascisti. Una di queste, il 16 gennaio 1944, eseguita al bar Achille, costringe il giovane resistente Sandro Pino a cercare scampo con la fuga, ma, dopo pochi passi, il diciannovenne viene colpito da una scarica ad opera di un milite graduato della GNR della Legione di Alessandria e, poco dopo, muore. L’evento brutale trafigge la popolazione valenzana, che sarà tutta presente ai funerali di Sandro, dove lo sommergerà di fiori e di corone, sotto gli occhi allibiti dei fascisti.
Via Vincenzo Morosetti. Nato a Valenza intorno al 1813, è apprendista nella sua città presso l’azienda Canti (un precursore dell’oreficeria locale) e perfeziona l’arte orafa da altre parti, andando fino in America. Torna a Valenza e, attorno al 1845, con la propria azienda,1 e poi, nel 1849, con la “Fratelli Morosetti” (Vincenzo e Maurizio), avvia una produzione di un certo pregio, servendosi di tecniche più raffinate capaci di far migliorare concretamente la produzione orafa valenzana . Muore il 2 giugno 1887.
Le vie di Valenza - terza parte
VALENZA - Come ogni altra città, Valenza è piena di vie e di strade con riferimenti a date e a personaggi…
Via Vincenzo Melchiorre. Nato a Valenza nel 1845 e morto nel 1925, è uno dei fondatori dell’arte orafa valenzana. Nel 1862, tra i giovani lavoratori che siedono ai banchi della ditta Morosetti per imparare il mestiere, c’è lui: un giovane irrequieto, ma dotato di talento artistico. Egli, come il Morosetti, prima di fondare la sua iniziale manifattura nel 1873, con Angelo Ceriana e Paolo Dellavalle (Vincenzo Melchiorre & C. ) compie un lungo tirocinio che lo porta prima a Torino e poi a Parigi, allora tempio europeo della moda e del lusso. Nel tempo, la sua ditta produrrà una gioielleria di livello qualitativo sempre più elevato rispetto alla media, capace di rispondere al gusto e alla moda di un pubblico benestante aggiornato sulle ultime tendenze, tracciando in modo caratterizzante il modello dell’oreficeria valenzana e della gioielleria italiana. Il fratello Luigi, scultore di pregio, è artefice del monumento a Garibaldi in piazzetta Verdi.
Via Marchese. In un clima di contrapposizioni feroci, alle elezioni Comunali del 1920 stravincono i socialisti. Oliva viene riconfermato sindaco, ma ben presto presenta le sue dimissioni e si procede all’elezione a sindaco dell’assessore Giuseppe Marchese, un fabbricante orafo, con 22 voti favorevoli su 28. A seguito della violenta reazione delle squadracce fasciste, anche consequenziali all’assassinio del giovane squadrista Alferano dell’8 giugno 1921, l’11 giugno 1921 il sindaco Marchese e la giunta, ormai senza poteri, rassegnano le dimissioni. Il prefetto chiamerà a reggere il Comune il valenzano Pietro Farina, ragioniere capo dell’amministrazione provinciale, che resterà in carica fino alle elezioni amministrative del 18 giugno 1922,. E siamo al secondo dopoguerra. Lunedì 30 aprile è insediato sindaco della liberazione il socialista ragioniere Guido Marchese (1906-1951), con la prima giunta provvisoria costituita dai membri del CLN di Valenza. Precedentemente, a Pecetto, abituale luogo dei loro incontri, i componenti del CLN si erano accordati con i partiti antifascisti per le nomine degli amministratori comunali di Valenza. Poi, dopo le elezioni comunali del 31 marzo 1946, in cui hanno trionfato i socialcomunisti (73,62%), Marchese è riconfermato alla carica di sindaco, che conserverà fino alle elezioni comunali del 1951, circondato da pretoriani non troppo fedeli.
Le vie di Valenza - quarta parte
VALENZA - Nel nucleo della Valenza vecchia spicca via Po. Questa strada, destinata alla scialba decadenza, dopo aver avuto nel…
Via Giovanni Dogliotti. Nato a Valenza nel 1911, è un uomo onesto che, con dignità esemplare, lavora tutta la vita come operaio orafo. Comunista, è tra i fondatori del PCI valenzano e tra i promotori del Comitato unitario antifascista. Di grande solidarietà sociale, è molto popolare. La modestia sarà la sua virtù, ma anche la sua misura. Dal 1951 al 1956 è sindaco della città. Muore nel 1986.
Viale Santuario. Era la stra d’la madòna. A fine guerra, quando i valloni della nostra città non erano ancora riempiti, quando via San Salvatore non esisteva e viale Dante non arrivava a viale Santuario, il lato sinistro di questa strada era ancora un vallone pieno di gaggie, sterpaglie e poche case. Si tratta di una strada principale per l’ingresso e l’uscita dalla città, dove è collocato l’ospedale e parte dei servizi del Comune e dell’ASL, oltre al santuario che le dà il nome. La storia di questa strada è legata alla sua chiesa. Il Ducato di Milano, di cui Valenza fa parte fino al 1707, è a dominazione spagnola e, negli anni precedenti, molti ispanici, militari o civili, con le loro famiglie, si sono trasferiti a Valenza, portando qui costumi, abitudini e pratiche religiose della loro terra. L’affresco della Vergine addolorata per le pene del figlio fu realizzato, pare, da un soldato spagnolo, su una costruzione murale rustica o edicola di campagna meta degli agricoltori. A dispetto della distanza dal centro abitato, del lungo sentiero poco praticabile da percorrere in quel tempo, l’adorazione alla sacra effige non viene a mancare e, anzi, col passare del tempo, aumenta sempre di più il fervore spirituale dei devoti, con novene e processioni. Nell’Ottocento, la nuova costruzione viene solennemente dedicata alla Madonna della Pietà. Il santuario e la sua via vedranno una quantità sempre più numerosa di fedeli e di pellegrini che qui trovano un senso di familiarità protettiva cristiana. Quasi un apologo al nostro tempo.
Piazzale Cimitero. È un ampio parcheggio di servizio, ultimamente sempre più utilizzato anche da chi si reca al vicino tempio crematorio. Il crocevia dove confluiscono le strade per Pecetto-Bassignana, per il Cimitero e per valle Citerna è La crusiēra dal simitēri. Come li conosciamo oggi, i cimiteri prendono forma dopo l’emanazione dell’editto napoleonico di Saint Cloud del 12 giugno 1804 – applicato in Italia dal 1806 e ben noto grazie ai Sepolcri di Foscolo – che ordinava, per motivi igienici, che i morti fossero seppelliti in un luogo un po’ distante dalla città o dal borgo. Anche a Valenza si dovette procedere al trasferimento delle salme dal precedente luogo cimiteriale prospiciente la chiesetta di San Pietro in piazza Duomo a questo nuovo camposanto consacrato, fuori porta Bassignana, che ha una recinzione in muratura e un robusto cancello di ferro, con una forma d’insieme che ricorda la pianta di una chiesa. Poi, nel 1893, la giunta comunale delibera l’ampliamento del camposanto con l’aggiunta di una superficie uguale al primo nucleo cimiteriale.
Negli ultimi anni, c’è stato un generale deterioramento dissacratorio del cimitero e si è assistito a una svalorizzazione di questo impianto sepolcrale che, per più di due secoli, è stato il più importante punto di riferimento per ritrovare tracce del passato della città. La diffusione della cremazione è emblematica in tal senso. Tutti arresi allo spirito dei tempi, una svolta storica pericolosa, anche se fingiamo di credere che non lo sia.