Caffè e riflessioni: la bellezza della quiete
Ho visto un ragazzo al bar locale oggi. Al bar dove vado di solito. Nessun iPhone. Nessun tablet. Nessun laptop. Era lì seduto. A bere caffè. Come un pazzo. Almeno, così ho pensato a prima vista. Il suo sguardo intenso sembrava fissato su qualcosa al di là del caffè affollato, come se stesse decifrando segreti nascosti nei vortici di vapore che si alzavano dalla sua tazza.
Intrigato, non ho potuto fare a meno di rubargli qualche sguardo tra il resto dei clienti, vestiti alla moda. Tutti uguali. Il suo aspetto robusto faceva pensare a una vita vissuta al limite, con una giacca di pelle consumata appoggiata sulle larghe spalle e un libro logoro che sporgeva dalla tasca interna. I suoi occhi, sebbene intensi, avevano una certa calma che contrastava con le dure linee incise sul suo volto.
Mentre i minuti si trasformavano in un’ora, il suo comportamento è rimasto invariato, la sua attenzione incrollabile dal ritmo dei suoi stessi pensieri. Sembrava che il mondo intorno a lui cessasse di esistere e che fosse l’unico abitante del suo universo.
Incapace di trattenere più a lungo la mia curiosità, mi sono avvicinato al suo tavolo. “Cos’è questo intenso focus?” ho chiesto, mezzo aspettandomi che mi respingesse con un grugnito o uno sguardo.
Invece, mi ha guardato, i suoi occhi si sono ammorbiditi come se avesse appena ricordato che esisteva un mondo al di là della sua mente. “Oh, solo assaporando un raro momento di pace,” ha risposto, la sua voce portava il peso di mille storie non raccontate. “In questo mondo frenetico, è un lusso potersi sedere e gustare veramente il caffè, non credi?”
Le sue parole aleggiavano nell’aria, intrecciandosi con l’aroma fragrante dei chicchi di caffè tostato. E in quel momento, mentre ero seduto di fronte a uno sconosciuto enigmatico, ho capito che a volte, nella frenetica ricerca del progresso e della connettività, spesso trascuriamo il semplice piacere di essere presenti nel momento, proprio come l’uomo al bar, che, nonostante il mio giudizio iniziale errato, mi ha insegnato la bellezza di abbracciare la quiete in un mondo di perenne movimento.
Sono tornato a casa, mi sono tolto le scarpe e mi sono sdraiato sul divano. Ho messo un disco di John Coltrane, un plaid sulle gambe e mi sono addormentato. Come non mi accadeva da anni. Neppure la puntina che ritmava sulla carta del vinile alla fine della sua corsa mi aveva svegliato. Solo il cane mi ha ricordato che, alla fine, era l’ora della sua cena.