L’alleato di Valenza: il Po
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Il più vecchio alleato di valenza, a cui è legata tanta storia della città, è il fiume Po. La natura ci ha regalato un’estrema barriera per gli eserciti invasori e da esso i valenzani hanno tratto sabbia, ghiaia e pesce per alimentarsi. Via di trasporto, la sua corrente ha fornito energia per i mulini galleggianti, i suoi boschi sono stati fonte di prezioso legname e ha provveduto a rimpinguare costantemente le casse del Comune con il porto e i relativi dazi. Questo grande fiume, protagonista dell’unione di culture e di territori, simbolo della bellezza della penisola italiana, nasce ai piedi del Monviso, convenzionalmente a Pian del Re (2020 metri di altitudine), che, come un grande catino, raccoglie le acque che scendono in piccoli rii da laghi, ghiacciai e nevai. Conosciuto già ai tempi dell’antica Grecia con il nome “Eridanós”, i latini erano soliti chiamare il fiume con il nome “Bodinkòs”.
La navigazione fluviale è la costante di tutta la protostoria di Valenza, che comincia con una tribù distaccata di liguri Bagienni mossa verso il Po, da loro chiamato Bodinco, che saranno chiamati “Vicani Iadatiti” o “Vactatini” per il loro abitare i vici, cioè i villaggi bagnati dal fiume e dal torrente Grana, chiamato Iactum. Si ritiene che il luogo dei primi insediamenti liguri a Valenza verso il 1000 a.C. sia nella zona compresa tra i rilievi di Astigliano, di Monte e il fiume. Nell’Età del Ferro, tra il 600 e il 500 a.C., Valenza sembra essere una specie di emporio fluviale, tra ovest ed est, che si trova anche sul percorso che collega gli abitanti liguri al nord, un itinerario che parte dal mercato etrusco di Genova.
Nel periodo romano, acquisirà sempre più importanza tutta la zona presso il Po in cui è situata Valenza, a discapito degli antichi centri della via Fulvia. Ed ecco cosa scrive Plinio: “ Nei pressi di Forum Fulvii Valentinum (forse il dipartimento dell’antica Valentia), lungo le rive del fiume chiamato dai liguri Bodinco (il Po), quotidianamente si recano numerose persone, le quali setacciano i bassi fondali alla ricerca di piccoli frammenti di oro, utilizzati poi per forgiare monili e oggetti decorativi”.
Anche nel Medioevo il porto sul Po è molto importante e il passaggio su questo fiume, che avviene con strutture e in posizioni diverse – traghetto, ponte natante o di barche, distrutto e ricostruito più volte – resta indispensabile per i commerci e le guerre di ogni epoca. È quasi il prolungamento della strada cittadina principale verso il fiume a nord dell’abitato.
Agli inizi del XVI secolo accadde di tutto. Dopo la variante del fiume a causa di una serie di piene, si crea un nuovo braccio che scorre accanto alla città, dove prima c’erano i boschi, creando il cosiddetto “Isolone” e annettendo territori all’altra sponda. Alla gioia dei frascarolesi non corrisponde la soddisfazione dei valenzani, così iniziano i dispetti, gli incendi, le argomentazioni oscure e i ricorsi alla giustizia. Frascarolo, raggruppandosi in una specie di trust con Bozzole e altre comunità vicine, inizia ad aggredire gli abitanti di Valenza. Il 25 aprile 1514 una banda armata di frascarolesi occupa l’Isolone e scaccia i valenzani che si trovano nei loro possessi di oltre Po. Valenza ricorre al Capitano di Giustizia di Milano, che conferma il possesso dell’Isolone alla città. La lite, però, non si risolve e, anzi, il fuoco si alimenta per lungo tempo.
L’amico fiume ha sempre rifornito in modo consistente le casse del Comune quindi potremmo dire che sia stato lui a finanziare molte opere pubbliche locali. Fin dall’antichità, con il traghetto al porto, unito alla sponda opposta con un sistema di funi, sono transitate merci e persone.
Alla fine del periodo napoleonico, con la Restaurazione sabauda, i collegamenti sul fiume sono assicurati da ben tre porti natanti: il Portichetto, il Porto di Mezzo e quello della rampa di accesso alla città. Nel 1836, in regione Vecchio Porto, viene costruito un robusto ponte natante in barche a pedaggio, composto da 28 barche di metri 18,50 x 12,30 ciascuna, che sostengono il tavolato stradale.
La cerimonia di posa della prima pietra del nuovo ponte in muratura, solo ferroviario, si tiene l’11 settembre 1847, alla presenza di re Carlo Alberto. È prevista la realizzazione entro due anni, ma, a causa della Prima Guerra di Indipendenza del 1848-1849, il ponte viene ultimato nel 1850 (che ai nostri tempi sarebbe comunque un prodigio). Il ponte viene costruito fuori dall’antico alveo del fiume, in un’area di terreno coltivato compresa tra due risvolte del Po. Completata la costruzione del ponte, le acque del fiume sono fatte transitare sotto scavando un canale d’invito nell’aprile del 1851.
Nel 1889 il ponte viene raddoppiato con l’aggiunta della sede stradale e nominato per sempre “di ferro” (al Pont d’Fer); non perché fu fabbricato con quel metallo, ma probabilmente perché era stato “di fermo”, cioè vi era la dogana fra Piemonte e Regno austro-ungarico, oppure perché era l’abbreviamento di “ponte della ferrovia”. Fu solo allora che venne soppresso il ponte di barche. I lavori terminano completamente nel 1890 e la costruzione, che non manca di un suo fascino per i tempi, assume la conformazione che ha ancora oggi: 21 arcate e 507 metri di lunghezza, uno dei ponti più estesi e rilevanti del Paese.
Nel primo Novecento, a Valenza ci sono pescatori notturni che all’alba portano il pescato nelle case o al mercato: storioni, anguille, trote, carpe, cavedani e quei minuscoli pesciolini (j’arbureli) così appetitosi in frittura, o sotto aceto (an carpiò). Poi ci sono i persici multicolori e variegati, che fanno a gara con le tinte dei martin pescatori, vere meraviglie alate oggi scomparse.
Il vecchio porto è sempre stato un importante punto di ritrovo. Giù al lavatoio, fiancheggiando la riva destra del torrente Grana in direzione del vecchio castello, c’era una costruzione in muratura munita di cabine spogliatoio per indossare il costume da bagno, anche se ci troviamo ancora nel tempo in cui per alcuni la donna non deve mostrare troppa carne. Sulla terrazza si può prendere il sole e, in certe occasioni, la sera si balla con un’orchestrina. Ci sono anche le barche a noleggio per diporto. Con il natante si può accompagnare il corso del Grana fino all’ampia ansa del Po, dove il torrente confluisce in molte correnti nel grande fiume, fra canneti fruscianti al vento, all’ombra di gaggie e salici e in compagnia dei gracidii delle rane. Chissà quanti valenzani, al tempo giovani, si sono conosciuti e corteggiati lì.
Nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, il Pont d’Fer è completamente distrutto e non ne restano che macerie causate dalle gradite bombe liberatrici inglesi e americane. Il nuovo ponte sul Po a Valenza viene ultimato solo nel 1950.
Nel dopoguerra ci si va a bagnare e a prendere il sole sul ghiaione, l’isolotto prospiciente il lavatoio, dove l’amico fiume ha provveduto, con la sua corrente, a portare anche la sabbia. A piedi o in bici, al canto di cucù e cicale, si raggiunge l’acqua bassa, limpidissima e fresca (l’acqua ‘fioca). Con le frasche si erigono i cabanì, grossolane protezioni per l’ombra e per indossare il costume. A chi non è fornito di bevande è sufficiente scavare la ghiaia di qualche spanna per veder sgorgare un’acqua che pare di sorgente montana. I più abbienti, cinti da bevande, cibarie e fumo vizioso, dal terrazzo della loro baracca contemplano la baia come se fossero a Bali. Ma negli anni successivi le cose andranno sempre peggio, con sofferti esercizi di retorica e con una lunga scia di scoramento.
Povero vecchio caro Po! Difficile pensare a vie d’uscita, ci si deve rassegnare all’amara realtà. Oggi, fra discariche e rifiuti, sei completamente trasformato e non offri più l’habitat necessario ai pesci per vivere e riprodursi. A questo concorrono gli effetti del clima, gli sversamenti illeciti di pesticidi, antibiotici, microplastiche e sostanze varie. Stretto in una gabbia di prismature di cemento, arranchi faticosamente, trascinando i tuoi pesci già in sostanza lessi. La tua scarsa acqua, con valori minimi che si aggirano intorno al 30% della media stagionale, pare ormai un minestrone. Neanche ci accorgiamo che sei così depresso e ferito da non uscire più fuori dagli argini, ma forse è per pudore.
Però sono tanti quelli che si ricordano di te. Coraggio, vecchio amico di Valenza.