Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
VALENZA – Valenza è piena di vie intitolate a personaggi di cui spesso si ignorano le vicende e le ragioni che hanno spinto a far loro questa dedica. L’odonomastica è sempre connessa alla storia del luogo, sia nazionale che locale. Questo è il secondo saggio sui personaggi locali che hanno fatto la storia e la gloria di Valenza e che per questo si sono guadagnati una targa stradale affissa a memoria imperitura.
Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
Via Mario Baiardi. Pochi valenzani sanno che le vecchie banconote da diecimila lire con raffigurato Michelangelo, quelle da mille con il ritratto di Giuseppe Verdi, quelle da cinquemila con Cristoforo Colombo, le prime da centomila con Alessandro Manzoni e quelle da cinquantamila con Leonardo da Vinci sono state il risultato di perfezionati lavori d’incisione a mano eseguiti da un artista di sommo splendore, venuto al mondo e formatosi nella nostra città: Mario Baiardi, il “bulino della Banca d’Italia”. Nato a Valenza il 19 agosto 1909, una volta finite le elementari e ancora fanciullo, Baiardi lavora in un laboratorio orafo locale. A soli diciotto anni vince il suo primo concorso e viene assunto alla Zecca di Torino, città in cui frequenta anche lezioni serali all’Accademia Albertina. Nel 1952 è designato capo incisore della Banca d’Italia. Incisore, scultore, cesellatore e medaglista di fama mondiale, muore a Roma nel 1972, tramandando una capacità tecnica d’incisione a bulino la cui perfezione, molto seducente, non sarà facilmente eguagliata.
Via Giusto Calvi. Nato a Mugarone il 10 maggio 1865, frequenta le scuole elementari, medie e ginnasiali a Valenza. A Pisa, nei primi due anni di università, si accosta alla politica con passione, avvicinandosi alle idee repubblicane e facendo le prime prove in quell’oratoria tribunizia che poi gli farà acquisire tanta popolarità. Nel 1886 è allievo del Carducci a Bologna e, nel 1887, a soli ventidue anni, a Roma consegue la laurea di belle lettere, filosofia e storia. S’iscrive al partito repubblicano, poi trasmigra all’internazionale anarco-marxista-socialista. Dopo essere stato in Argentina e negli Stati Uniti, ritorna a Valenza, dove, nel 1887, ottiene il posto di insegnante nel ginnasio e dove, con alcuni amici, un gruppo su posizioni politiche operaio-socialiste, fonda il Gazzettino di Valenza. Per la sua autorevole presenza e il facile eloquio, diventa il polo d’attrazione nella politica locale di opposizione. Dopo una breve parentesi milanese, rientra a Valenza, dove riallaccia i rapporti con i vecchi amici del Gazzettino e diventa l’animatore del Circolo Garibaldi, allontanandosi da certe vecchie idee sediziose per approdare alla nuova cultura politica socialista. Dopo la morte del deputato liberale valenzano conte Lodovico Ceriana Mayneri, si torna a votare con suppletive il 30 aprile del 1905. Al ballottaggio è eletto deputato Giusto Calvi, che ottiene in tutto il collegio 3.490 voti contro i 3.234 del liberale Roncati, a Valenza 844 contro 497. Al primo turno Calvi aveva ottenuto 2.946 voti, Roncati 2.061 e l’altro liberale Salice, escluso per il ballottaggio, 1.555. Calvi, però, è presto colpito da una grave malattia alla lingua e, proprio quando sembra presentarglisi un avvenire radioso, non ha la capacità di presentarsi in Parlamento. Si affida a svariate cure, subendo anche delicati interventi chirurgici che portano solo effimeri miglioramenti e tanta sofferenza, ma, infine, si ritira nella sua città e fonda un nuovo periodico locale, La Scure – il primo numero esce il 17 giugno 1906 grazie alla tipografia Battezzati – organo del Partito Socialista Italiano, che dirige fino alla morte, avvenuta prematuramente il 17 giugno 1908, a soli 43 anni, evento che getta la città nello sgomento e nel lutto. Calvi resterà sempre una delle personalità politiche più fulgide ed eminenti di Valenza, avversario incessante del “sistema”, fedele alla sua epoca e al suo pensiero con una retorica efficace e convincente. È stato anche un poeta dalle influenze carducciane, ma un po’ più pessimista e malinconico di lui, cosa in contrasto con la sua palpitante azione politica, ma fedele alla stessa anima nostalgica e altera sempre in lotta nella selva oscura della realtà, in una sorta di sdoppiamento della personalità.
Vicolo Fabio Belloni. I Belloni, anche noti come Bellone, sono un’antica famiglia benestante originaria di Valenza che ha dato molti uomini virtuosi di primo piano, Alla fine del sedicesimo secolo nasce il giurista Fabio Belloni, uno degli ingegni più precoci e vivaci dell’epoca, una voce libera e intransigente in un mondo poco democratico, ancorato da sempre alla filosofia aristotelica e cristiana. Ancora adolescente, insegna istituzioni giustizianee all’Università di Pavia, poi, a venticinque anni, educa in quella di Torino. Muore a soli ventisette anni, probabilmente di peste.
Vicolo Massimo Bertana. È un ardente predicatore cappuccino, nato a Valenza, che usufruisce del divino potere del Verbo. Informato e competente, scrive Vita di S. Massimo Vescovo di Pavia e protettore di Valenza, pubblicato nel 1726, con una compendiosa cronologia della stessa città di Valenza, di cui è stato uno degli interpreti storici più efficaci.
Vicolo Beato Cagnoli, in dialetto al cuntrajī ‘d marela. È stato un devoto protagonista di questa città che, in qualche modo, ha adombrato anche il patrono San Massimo. È un uomo che ha sacrificato i privilegi in favore dei poveri cristi ed ha rappresentato la coscienza critica del tempo. Nasce a Valenza nel 1267 o nel 1268 da nobili e ricchi genitori. Vende i suoi averi, destinando il ricavato ai poveri e agli ammalati dell’ambiente circostante. Pellegrino e mendicante, si trasferisce a Roma e poi a Napoli, dedicandosi ai sofferenti e ai bisognosi. Si ritira in un convento francescano a Randazzo in Sicilia, dove svolge il suo noviziato, e poi a Palermo. Si narra di numerosi prodigi che hanno destato venerazione, culto e salmi di gloria. Vive trentacinque anni a Palermo, dove muore nel 1342 o nel 1343. Beato Gerardo Cagnoli è canonizzato nel 1908 e nel Duomo di Valenza è conservata una sua reliquia dal fascino evangelico e apologetico.
Via Sandro Camasio. Sin dal Cinquecento i Camasio sono una delle famiglie valenzane più note, la cui origine, però, è spagnola. Alessandro Pietro-Paolo Eugenio Camasio, conosciuto come Sandro, di stirpe valenzana, è nato a Isola della Scala (Verona) il 5 novembre 1886. Il padre procuratore dell’ufficio del registro mandamentale si è trasferito lì con la famiglia per lavoro, poi, sempre per ragioni d’ufficio, si sposterà a Torino, dove Sandro vivrà poco lontano dall’abitazione di Guido Gozzano, che avrà una grande influenza su di lui. Il ragazzo trascorreva le vacanze scolastiche estive in villa Camasio, sulle colline di Valenza, in Valle Citerna. Emblematica è una sua frase riportata dagli studiosi: “ L’uva fresca di rugiada, l’uva staccata dal tralcio in certi mattini d’autunno, umidi e sereni, non so perché, mi fa sempre pensare a Valenza”. Prima di conseguire la laurea in giurisprudenza, ottenuta a pieni voti nel 1909, Sandro opera come redattore mondano alla Gazzetta di Torino in seguito passerà alla Gazzetta del Popolo come critico d’arte, e nel mondo teatrale. Per lui la fama sopraggiunge con la commedia in tre atti Addio, giovinezza!, scritta con Nino Oxilia e rappresentata per la prima volta al teatro Manzoni di Milano il 27 marzo 1911. Si tratta della descrizione elegiaca, e forse anche parzialmente autobiografica, della vita di giovani universitari nella sentimentale Torino di inizio secolo, in grado di commuovere le platee d’Italia per anni. Nei primi mesi del 1913 si mette alla prova anche come regista con i film muti Addio, giovinezza! e L’antro funesto; andando controcorrente Camasio e Oxilia sono i primi autori di teatro che collaborano con la pionieristica arte del cinematografo, creando consenso attorno a loro. Ma all’improvviso, gravemente ammalato di meningite, Camasio è ricoverato presso l’ospedale Mauriziano di Torino, dove perde la vista in breve tempo e infine muore il 23 maggio 1913, a soli 27 anni. La celebre opera, che in tempi più recenti avrà ben tre edizioni televisive, sarà rappresentata più volte al Teatro Sociale di Valenza. Nel novembre 1921 viene fondata a Valenza la “Filodrammatica Sandro Camasio”.
Via Carlo Camurati. Apprezzato professore di ortopedia e traumatologia, lavorò all’Istituto Rizzoli di Bologna con coraggio e generosità. Animato da una passione sanitaria reale, morirà in giovane età nel 1961, a soli 38 anni, lasciando varie pubblicazioni in campo medico-ortopedico. Il 25 marzo 1962 la sezione Avis di Valenza verrà intitolata alla memoria di questo illustre clinico valenzano.
Vicolo Pompeo Campi. Era un ingegnere militare valenzano al servizio della Spagna, con il grado di generale degli ingegneri. Impiantato nel complesso panorama di un’epoca di intensa e spavalda lotta armata, partecipa al conflitto in Fiandra con l’esercito di Filippo II, dove muore nella battaglia di Haarlem (1572-1573), durante la Guerra degli Ottant’anni.
Vicolo del Castello. Eretto verso la fine del Trecento, il castello di Valenza era ubicato nell’attuale vicolo tra gli odierni oratori. Fornito di due piazze, una esterna e una interna, tre piani e un porticato, era la dimora degli arroganti e poco morigerati feudatari Gaspare Vimercate, Mercurino II e sua madre, Elisa di Gattinara, destinati ad avere poca fama. Verso il 1557 è demolito per accrescere la Rocca (cittadella), nella quale sono state create caserme e depositi militari. La Rocca e le fortificazioni sono state tolte definitivamente durante il periodo napoleonico. Alloggiando lì accanto il “corp frane” francese, il luogo ha preso da allora la denominazione dialettale col franc.
Via Del Castagnone. Di fronte alla cascina Fogliabella Alta vi era un ultracentenario albero di ippocastano, di imponente grandezza e di splendida bellezza, che i valenzani chiamavano con familiarità “il castagnone”. Nonostante l’intervento di molti per salvare il raro esemplare, la speculazione edilizia alla fine fece radere al suolo il cimelio arboreo, quasi un odio per l’esistente in nome dell’interesse economico. Ai valenzani è rimasta solo la consolazione e la sopravvivenza di un ricordo, dopo che alla strada è stato attribuito il nome dell’albero.
Via Felice Cavallotti. Politico, poeta, drammaturgo, giornalista e patriota italiano che ha dato il nome alla cuntrā di carātt, già via Pier Carlo Boggio. Fino ai primi anni del Novecento era indicata come una via basilare: percorreva infatti l’intero abitato da sud a nord, conducendo alla strada della Lomellina e al Po, che si attraversava su un ponte di barche o con il traghetto. Pier Carlo Boggio era un influente deputato torinese separatista eletto nel collegio di Valenza dal 1857 e in carica fino alla scomparsa nella famosa battaglia navale di Lissa del 1866, durante la Terza Guerra d’Indipendenza. In via Felice Cavallotti, nella facciata della casa Vescovi, già Calvi, è murata una lapide a ricordo del poeta e uomo politico Giusto Calvi; l’effige in bronzo è opera di Leonardo Bistolfi e l’epigrafe è stata dettata da Tommaso Monicelli.
Via Cunietti. In dialetto era la filatüra o anche via della Ferrovia. Da via Cavallotti alla Chiesa della Trinità sorgeva la Filanda Ceriana, chiusa nel 1930. Cesare Cunietti, commendatore e mecenate di classe proveniente da Castelnuovo Bormida, è stato un generoso benefattore della città, un cittadino d’adozione che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a Valenza. Per testimoniare il suo affetto verso la città, Cunietti donò oltre centomila lire al Comune, una somma notevole a quel tempo, per un’opera di risanamento igienico (fognature) che verrà conclusa nei primi anni del Novecento, poco prima della sua morte.
Via Paolo De Michelis. Nasce a Valenza il 24 febbraio 1889 da Francesco (calzolaio) e da Luigia Oliva (cucitrice). È un operaio orafo, illuminista e riformista, dotato di notevole intelligenza, che nelle elezioni politiche del 16 novembre 1919, le prime con il sistema proporzionale per la legislatura del periodo 1° dicembre 1919-7 aprile 1921, è eletto per il PSI nel collegio di Alessandria e viene nominato segretario del gruppo parlamentare socialista alla Camera dei deputati. Nell’ottobre del 1922 aderisce al Partito Socialista Unitario (PSU), che, composto da oltre 80 deputati, accoglie anche i riformisti espulsi dal PSI massimalista. Diventa segretario di Giacomo Matteotti, stringendo con lui un forte sodalizio politico, e resta il suo segretario particolare fino all’uccisione del famoso leader riformista nell’estate del 1924. Dopo l’8 settembre del 1943, partecipa al Comitato di Liberazione Nazionale della zona Casale-Valenza e nel marzo del 1944 viene incarcerato alle Nuove di Torino. In seguito alla Liberazione, diventa segretario della federazione provinciale alessandrina e nelle elezioni per la Costituente, il 2 giugno 1946, viene eletto nella circoscrizione Piemonte Sud, con 16.733 preferenze. È capogruppo parlamentare dal 15 luglio 1946 al 7 febbraio 1947, poi viene sostituito da Pietro Nenni. Durante il periodo d’intensa vita pubblica non ha mai tralasciato di seguire la sua squisita vena poetica, versi in cui, decantando il suo amore per la sposa perduta e per l’adorata Valenza, esprime una forte solitudine e un impavido filosofico pessimismo. Tra le tante poesie, citiamo: Crisantemi, Voci Intime, Sostando, Con cuore di discepolo, In solitudine, Nella Tormenta, Ore serene, Valenza. La sua penna continua a scrivere fino agli ultimi giorni trascorsi nell’ospedale cittadino, dove muore il 26 marzo del 1961.
Vicolo Delfina del Carretto. Con il testamento del 28 ottobre 1776, la Marchesa Delfina del Carretto, vedova Belloni, lascia tutto il suo patrimonio (famiglia Belloni di Valenza) all’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro di Torino, “con obbligo di erigere un ospedale per i poveri infermi nella città di Valenza, luogo dove lei per tanti anni era stata ammirata”. Il patrimonio, insieme ai beni dell’antico ospedale del SS. Sacramento e ad alcuni piccoli lasciti di alcuni benevoli cittadini, il 1° febbraio 1782 consente di aprire nella casa, già appartenente al misuratore Baretti, il nuovo ospedale di Valenza, dove “si accettano gli infermi purché cattolici con più di dodici anni e non affetti da malattie croniche”. È stata una laica di superiorità morale, che ha seguito le fonti più profonde del cattolicesimo.