“Indiana Jones e il quadrante del destino”: ritorno al futuro
«Non credo nella magia ma talvolta nella mia vita ho visto delle cose che non riesco a spiegare. E ho capito che non è a cosa credi, il punto… ma con quanta forza ci credi!»
(Indiana Jones)
Ritorna in sala dopo quindici anni di assenza (tale è la distanza temporale che separa il penultimo episodio, “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo”, ancora a firma Spielberg, da quest’ultimo) l’archeologo cinematografico più famoso, divenuto nel trascorrere dei decenni e delle più incredibili avventure un autentico mito, ispiratore di un merchandising serrato che ruota intorno ai suoi oggetti iconici, quali il cappello Fedora, la frusta, la borsa e la giacca in pelle.
Henry Walton Jones Jr. – Indiana o più semplicemente Indy, per gli amici – è stato classificato nel 2003 dall’American Film Institute il secondo più grande eroe cinematografico di tutti i tempi e, nel 2020, eletto da “Empire” il più grande personaggio cinematografico della storia del cinema.
Ne “Indiana Jones e il quadrante del destino” – presentato in anteprima fuori concorso a Cannes 2023 e di recente uscita anche sugli schermi italiani – il regista James Mangold (“Ragazze interrotte”, 1999; “Quel treno per Yuma”, 2007; “Le Mans ’66 – La grande sfida”, 2019), in grado di spaziare senza soluzione di difficoltà dalla commedia al western al dramma, tenta di rinfrescare e rinverdire l’archetipico personaggio interpretato da Harrison Ford, raccogliendo la sfida del primo film del ciclo non diretto da Steven Spielberg (qui solo produttore insieme a George Lucas).
L’azzardo – sia sul piano narrativo che programmatico (alle spalle di Lucas-Spielberg c’è la Disney, che assicura un entertainment adatto a tutta la famiglia, ritmato e denso di svolte e colpi di scena, come nello stile dei precedenti episodi) – è ampiamente ripagato dall’esito distributivo, che vede “Il quadrante del destino” collocarsi al primo posto sia al box office americano che a quello statunitense, anche se a debita distanza da “Il regno del teschio di cristallo”.
Il plot, giocato sul contrasto fra l’inclinazione classica più propriamente action (fughe, inseguimenti, missioni impossibili) e una prospettiva multitemporale (l’antichissimo meccanismo di Antikytera inventato da Archimede, che permette sia a Indy che ai suoi nemici di spostarsi agevolmente tra la Manhattan del 13 agosto 1969 che festeggia il ritorno dalla Luna della missione Apollo 11 e il 212 a.C. dell’assedio di Siracusa: senza contare l’antefatto della storia, ambientato nella Germania nazista del 1944), funziona come un perfetto meccanismo a orologeria.
Il cast è altrettanto efficace, da Tony Jones nel ruolo del professor Shaw – vecchio amico di Indiana – a Phoebe Waller-Bridge in quello di Elena, la sua spregiudicata figlia che diventerà la nuova compagna d’avventura dell’archeologo quasi pensionato e in crisi d’identità; comprendendo anche il formidabile cameo di Antonio Banderas nei panni di Renaldo, lupo di mare ed esperto subacqueo, che si renderà utile nella parte greca delle peripezie del nostro.
Che cosa manca, allora, nel capitolo (forse) finale della saga di Indiana Jones? O, per meglio dire, che cosa riesce ancora a sorprenderci al quinto atto dall’esordio, avvenuto nel lontano 1981 con “I predatori dell’arca perduta”?
La risposta (e il conseguente stupore) risiedono proprio nel gioco del tempo che costituisce il nucleo narrativo di quest’ultimo film e che ci fa percepire con sconcerto e un pizzico di tristezza l’invecchiamento e del personaggio e dell’attore che lo interpreta. Un sortilegio, uno strano connubio arte-vita che il cinema sa istituire, spiazzandoci.
È vero, grazie alle sofisticate tecniche di elaborazione digitale, che il de-aging compiuto sull’ottantenne Ford ha dato risultati eccezionali, ma, in un certo senso, il prologo che mette in campo Indiana Jones primigenio non fa che accrescere il contrasto tra quell’immagine e l’apparizione dell’attore/personaggio attuale: una diade che resta fascinosa, a dispetto dei segni dell’età tracciati con nitidezza sul viso (il discorso vale anche per la comparsa finale di Marion/Karen Allen).
Ci sorprendono, meno, invece le pur mirabolanti costruzioni sceniche (vedi, ad esempio, l’inseguimento e la lotta d’apertura sul treno in corsa, oppure Indy al galoppo nel centro di una New York agghindata a festa per lo sbarco degli allunauti) orchestrate dalla Disney, che nella loro perfetta impronta action non lasciano molto altro nello spettatore se non il senso di una ipertecnologica volontà di meravigliare.
Al film di Mengold manca qualcosa di molto sottile: forse la coloritura affettiva di trame e relazioni tra i personaggi, che al di là e – a volte – proprio nel bel mezzo delle rocambolesche avventure di Indiana, Steven Spielberg sapeva evocare.
«Questa storia racconta la fine della sua vita, in cui affronta tutto il suo percorso», ha raccontato Harrison Ford a “Movie Player”, lo scorso 5 luglio: «Ha un’età in cui non è più il personaggio fisico che avete conosciuto. Insegna archeologia a studenti a cui non importa del passato, ma sono concentrati sul futuro. La sua vita familiare è in difficoltà. Nel caos. Nel 1969 non è il personaggio che speri sia. Ma è una parte della sua vita. […] Deve affrontare le sue responsabilità. Non ha visto la sua figlioccia per diciotto anni: è una cosa assurda. Non parla più con sua moglie: c’è una questione in sospeso. Non è la persona che conoscevamo! Ma la storia lo rimette in sesto. C’è una componente emotiva che ci fa credere sia la fine: fa scelte cercando di rimediare ai suoi errori. Detto così sembra un film serio, ma in realtà è molto divertente. È emozionante. È un film perfetto per la famiglia. Vorrei che le persone lo vedessero al cinema».
“Indiana Jones e il quadrante del destino” (Indiana Jones and the Dial of Destiny)
Regia: James Mangold
Origine: Stati Uniti, 2023, 154’
Sceneggiatura: Jez Butterworth, John-Henry Butterworth, David Koepp, James Mangold
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Andrew Buckland, Michael McCusker, Dirk Westervelt
Musica: John Williams
Cast: Harrison Ford, Phoebe Waller-Bridge, Antonio Banderas, Karen Allen, John Rhys-Davies, Shaunette Renée Wilson, Thomas Kretschmann, Toby Jones, Boyd Holbrook
Produzione: Walt Disney Pictures, LucasFilm, Paramount Pictures
Distribuzione: Walt Disney