«Ho detto: salutatemi i miei genitori perché pensavo fosse finita»
I giorni da incubo di Stefano, colpito dal Covid. «Ho pensato di morire, la situazione era tragica. Se sono qui è anche grazie a medici e infermieri»
Stefano Repetto ricorda bene quelli che gli dicevano «dai, forza» e lo invitavano a non mollare. E c’era pure chi batteva contro il vetro della sua stanza d’ospedale, al Santi Antonio e Biagio, perché il rumore, di solito fastidiosa compagnia, può essere d’aiuto per stimolare chi deve restare aggrappato alla vita.
«Salutatemi mia mamma e mio papà», disse quando ormai pensava di non farcela, come non ce l’hanno fatta, purtroppo, molti di quelli sorpresi dal Covid. A un anno dall’accaduto, invece, siamo qui a raccontarla, a ringraziare medici, infermieri e destino.
Quella di Repetto, ora 50enne, è la storia di un alessandrino che aveva deciso di non vaccinarsi. «Ma non sono un “no vax”- precisa – Semplicemente avevo paura degli aghi e pensavo che il Covid avrei potuto affrontarlo con gli accorgimenti che adottavo, dalla mascherina Ffp2, al distanziamento ».
Necessario l’ossigeno
Non è andata come sperava. E lo capì il 29 giugno 2022. Sintomi inequivocabili e virus confermato dal tampone fatto in casa.
«Chiamo il medico di famiglia che mi prescrive Tachipirina e “vigile attenzione” – ricorda – Ma la febbre sale a 42 e la saturazione scende a 92-93. Fatico a respirare, non riesco a deglutire. Nel frattempo, l’Asl mi mette in lista per la visita domiciliare».
L’acutizzarsi del dolore, però, consiglia di non perdere tempo. «Imploro mia madre di chiamare il 118. I soccorritori capiscono che le condizioni sono gravi e provvedono con l’ossigeno, cosa che poi fanno anche in ospedale, grazie a un’apposita mascherina».
La successiva radiologia certifica polmonite bilaterale, aggravata da crisi asmatica. «Sono allergico ai pollini, ma non potevo sospettare che il mio malessere cronico potesse incidere così tanto».
«Vogliamo salvare tutti»
Repetto viene destinato alla Terapia intensiva. Gli prospettano il “famigerato” casco, ingombrante macchinario che favorisce la respirazione, rimedio utile quando non basta l’ossigenazione ad alti flussi. Se lo evita, anche se la febbre non scende e la gola sembra esplodere.
«A un’infermiera confesso di non essere vaccinato. Lei mi tranquillizza: “Non importa, per noi siete tutti da salvare, sia chi ha il vaccino che chi non ce l’ha”. Mi dico: be’, il non essere discriminato è già una gran cosa».
La vera preoccupazione però è un’altra: portare a casa la pelle. Repetto sa che molti non ci sono riusciti. E sa pure che quelli che non ce l’hanno fatta erano nelle sue stesse condizioni.
La cartella clinica non riporta le emozioni, che proviamo a trasmettervi grazie alla sua testimonianza d’oggi: «Il personale del reparto mi supplica di resistere, mi incoraggia. C’è chi batte contro i vetri per tenermi sveglio. Imploro un’infermiera: “Salutatemi mia mamma e mio papa”. Lei mi risponde con un bacino. Sono gesti che non si dimenticano, come le parole della mia compagna di stanza, un’anziana signora che mi dice: “Stefano, stanotte hai passato l’inferno”. È già qualcosa, significa che sono vivo».
«I polmoni si aprono»
Nel frattempo, però, i genitori erano già stati allertati, in previsione del peggio. Invece…
«Invece, d’un tratto, sento i polmoni aprirsi – racconta Stefano – Un qualcosa di improvviso, di benefico…».
Il reparto, ora, è quello dei Infettivi, «dove infermieri e medici si impegnano allo spasimo. Turni massacranti, fa caldissimo, non c’è aria condizionata. Mi danno sollievo mettendomi il ghiaccio sulla testa».
Nel frattempo, la mamma di Stefano tiene una sorta di diario, che ora è buono per capire cos’è accaduto, giorno dopo giorno. Superfluo precisare quanto nefaste fossero le prospettive. «Dopo 12 giorni di ricovero esco dall’ospedale, su una carrozzina e con 10 kg in meno. Ci vogliono tre settimane per riprendermi e riuscire a fare cose normalissime, come ad esempio radermi o lavarmi sotto la doccia».
Il 30 agosto, Stefano ritorna al lavoro, nel suo negozio di via Ghilini in cui vende canapa. Nessun danno permanente, nessun effetto collaterale.
«Con una buona dose di anticorpi – aggiunge – posso aspettare qualche mese a sottopormi al vaccino. Paura o no dell’ago, però, lo scorso novembre me lo faccio somministrare. E, se posso permettermi, ora dico a chi avesse dubbi che la prevenzione non è uno scherzo e che vaccinarsi serve. Se l’avessi fatto prima, probabilmente mi sarei risparmiato giorni tremendi».
Passati i quali, per fortuna, mamma e papà ha potuto salutarli lui (e abbracciarli, anche).