«Nata che ero più piccola di una Bic, sono viva tra lo stupore dei medici»
Quarant’anni fa un parto gemellare alla 21esima settimana. Giorgia non ce l’ha fatta, Michela sì: «Il mio caso, più unico che raro, finì sulla Rai»
Michela non doveva essere qui a raccontarci la sua storia, perché, se fosse andata come i medici avevano previsto e come la logica avrebbe voluto…
Vabbè, insomma.
Ora scriviamo, per fortuna, di una donna che ha quasi quarant’anni ed è in perfetta salute. Mica male, tenuto conto che si ipotizzava che non sarebbe scampata più di un mese.
Nacque di 21 settimane e girava, all’epoca, una foto in cui lei, piccolina, stava nella tasca del camice di un’infermiera. «Ero più corta di una penna Bic» dice. E sorride. Accanto a lei, mamma Paola, chiamata a testimoniare come talvolta i miracoli avvengono, anche se non del tutto. Perché, quel 22 agosto 1983, immediatamente dopo Michela, che pesava 650 grammi, venne al mondo Giorgia, di soli 550. La gemella sopravvisse due giorni.
Tutti si sono sorpresi
Su Michela prospettavano la stessa sorte. Impossibile che ce la faccia. Come potrà respirare? L’aria dei polmoni prima o poi finirà. L’incubatrice può tanto, la culla termica anche, ma oltre una certa soglia non si può andare. Così dicevano, cercando di preparare il terreno a Paola e al marito Fabrizio, che già avevano pianto la perdita di una figlia.
Passò agosto e pure settembre. L’autunno voltò in inverno. Il 24 gennaio 1984, in prima pagina, ‘Il Piccolo’ annunciò che «Michela lascia l’ospedale e può andare a casa». Commento: «Un caso eccezionale». Anche i quotidiani raccontarono la straordinarietà della cosa, e pure la Rai si interessò alla famiglia Baccari di Alessandria, a papà Fabrizio e mamma Paola Gamalero, al primogenito Marco, che aveva due anni e mezzo e che, nel reparto dell’Infantile, guardava la sorellina attraverso un monitor.
E mettiamoci pure l’Enciclopedia medica, che ha una voce dedicata alla questione, della quale si stupirono pure i medici del Gaslini di Genova che, analogamente ai colleghi mandrogni, pensavano che sarebbe stato veramente complicato far sopravvivere Michela.
«Ora nulla mi spaventa»
«Mi sento una miracolata, in effetti. Dopo aver passato quel che ho passato, pur essendone stata inconsapevole, nulla mi spaventa» dice lei, che lavora in un’agenzia immobiliare, che ha una cartella clinica invidiabile e persone da ricordare e ringraziare, a cominciare dal pediatra Giovanni Canestri, che si prese in carico il caso.
«È mancato nel 1997, ma mi è rimasto nel cuore – dice – Tutti gli anni alle 9 di sera del 24 dicembre gli telefonavo per gli auguri di Natale. So che stava in poltrona ad aspettare la mia chiamata…». Anche l’équipe dell’Arrigo fu preziosa per mamma Paola e papà Fabrizio (scomparso a 47 anni): «Ero molto giovane, avevo già un figlio. Ho pianto una bimba morta a due giorni di vita e l’altra era appesa a un filo di speranza – ricorda la signora – Cercavano tutti di darmi supporto psicologico, anche se si ipotizzavano scenari funesti. Non è stato facile».
Questa storia, vecchia di quasi quarant’anni, non è buona solo per gli archivi. «Credo possa essere indicativa – conclude Michela – La speranza non bisogna mai perderla. Io non sono mamma, ma vorrei che il messaggio arrivasse a tutte quelle madri in crisi per un loro figlio nato prematuramente. Ecco, ce la si può fare».