«Mio papà grande tifoso che se n’è andato solo per sfortuna»
Gianni Macciò raccontato dalla figlia. «Affetto da anemia, di solito un caso come il suo si risolve. In Rianimazione hanno fatto tutto il possibile»
Gianni era un grande tifoso dei Grigi e, se in qualche angolo di cielo ci fosse la possibilità di sintonizzarsi con l’al di qua, domani sarebbe certamente in prima fila sperando che il San Donato Tavarnelle non faccia scherzi e che, dunque, l’Alessandria non sprofondi oltre la C.
Gianni all’anagrafe faceva Giovan Battista Macciò; se n’è andato lo scorso 3 febbraio, giorno del compleanno del secondo nipote, Giulio. Il 13 dicembre era entrato in ospedale. Quel dì a compiere gli anni era stato il primo dei nipoti, Giacomo, perché il destino talvolta consulta il calendario prima di decidere come procedere.
Dopo la partita
La storia di Gianni ce la racconta la figlia Marta. È sua la mano col guanto azzurro che, nella foto, ne afferra un’altra, quella del suo genitore. È stata una delle ultime volte che l’ha fatto. Ora rievoca i momenti con lucidità e commozione. Chiede scusa quando si interrompe. Riprende, si ferma, ringrazia. Il dolore è ancora fresco, si capisce, e per metabolizzare ci vorrà del tempo, tanto più che «papà non aveva alcun sintomo, mai era stato in ospedale. Amava viaggiare ed era sempre pronto a prodigarsi per gli altri».
A dicembre, proprio dopo una partita al Moccagatta, Gianni è rincasato febbricitante. Niente di che, si pensava, fino a quando le condizioni si sono aggravate tanto che il medico ha consigliato una visita al Pronto soccorso. E qui gli hanno riscontrato una forte anemia che lo ha poi costretto al ricovero in Rianimazione.
La cura sperimentale
«È dovuto ricorrere alla tracheotomia – racconta Marta – Significa che era cosciente ma non poteva più parlare. Per un uomo molto attivo com’era lui, questo impedimento è stato un trauma. L’encomiabile staff del reparto di Rianimazione si è prodigato in tutto e per tutto per metterlo a suo agio, incoraggiarlo e favorire gli incontri con i famigliari. Sul cellulare aveva anche una app grazie alla quale si manteneva in contatto con casa e in particolare con i suoi nipoti, Giacomo, Giulio e Gemma».
Ha ricevuto anche un terapia sperimentale, consistente in un’infusione di cellule, grazie all’Ematologia e all’Istituto Humanitas di Rozzano. «Sarebbe andato tutto per il meglio se non fossero sopraggiunte un’infezione prima e una polmonite poi. Nel 90% dei casi, l’anemia si supera. Purtroppo mio papà è stato molto sfortunato».
L’umanità dei medici
Macciò, 74 anni, era un capotreno in pensione. «Una persona straordinaria, gli ho voluto un bene dell’anima – aggiunge la figlia – Abbiamo donato le cornee, so che avrebbe voluto così. Purtroppo, per gli altri organi la donazione non è stata possibile, viste le sue condizioni. Basti dire che in un mese e mezzo ha perso 20 chili. È stato tutto improvvisamente complicato, ma non posso dimenticare né l’umanità né la professionalità della dottoressa Valeria Bonato e del dottor Luca Blesi, esemplari come tutti quelli di Rianimazione. Non è stato lasciato nulla di intentato; doveva andare così, evidentemente».
Restano i ricordi e la foto in cui una mano ne afferra un’altra. Basterebbe questa immagine a spiegare cos’è l’amore.