Teatro e cinema a Valenza nel primo Novecento
Un nuovo approfondimento sulla storia della città del gioiello
VALENZA – Nell’Italia della Belle Epoque e della fin de siècle, le forme ottocentesche del teatro sono messe in discussione e sostituite sovente da altri generi. Si frantumano molte consuetudini che avevano caratterizzato il teatro per tanti secoli e si afferma una nuova idea di evento teatrale in cui cresce la messinscena. Leader indiscusso e privilegiato resta l’interprete principale: attore, cantante o musicista.
All’inizio del Novecento, Valenza può contare su vari scrittori e artisti, rivoltosi o conformisti, ciascuno a modo suo, come la giovane violinista Angiola Farina, il pregevole scrittore e regista Sandro Camasio, l’autore Gerolamo Tarony e i musicisti Clemente e Idalfonso Zanfi. Quest’ultimo godrà di una certa fama per aver musicato un singolare melodramma in due quadri, Il Boero, composto su libretto di Giuseppe Tuminetti, un insegnante valenzano di lettere giunto da Siena. A Valenza, nel Boero, la parte di Marco è interpretata dal concittadino Vincenzo Cassini e diverse fanciulle valenzane fanno parte del coro. Ma l’autore valenzano più prolifico è forse Lorenzo Battezzati (1861-1933), un tipografo e scrittore socialista intriso del clima ideologico dell’epoca, che si dedica al teatro con drammi e commedie brillanti. Il suo primo lavoro messo in scena a Valenza nel 1904 è Rimorso.
L’operoso tipografo, mai compreso del tutto, si diletta a comporre opere caratterizzate da un’attenzione particolare per gli avvenimenti e i problemi del momento, ottenendo un grande successo di pubblico. Nel 1911 assumerà la direzione della Filodrammatica valenzana, costituita in società, che nel 1913 sosterrà la gestione del Teatro Sociale. Al pianterreno della sua casa, Battezzati allestisce un teatrino con tanto di quinte e panche per il pubblico.
In questi anni il nucleo principale di divertimento e cultura è il Teatro Sociale di Valenza, inaugurato nel 1861. Dopo un periodo sfavorevole, verso la fine del secolo questo teatro si afferma in modo prepotente, probabilmente in relazione al più intenso sviluppo economico, a un più diffuso benessere e grazie a una risposta più attenta alle diverse preferenze del pubblico.
Gli appuntamenti per gli amanti della rappresentazione, un importante tassello della cultura locale, ci sono durante i periodi primaverili e autunnali, solitamente di sabato e di domenica, ma sovente anche durante la settimana. Diversi attori delle compagnie teatrali si fermano a Valenza durante la tournée in questa città, che dura normalmente diversi giorni.
Nel 1906 viene costituito l’oratorio maschile e nel 1909 quello femminile, presto dotati di una filodrammatica dedicata a S. Filippo Neri nel maschile e a S. Agnese nel femminile, tutti intenti a preservare con virtuosa perennità la famiglia, la natura divina di Cristo e l’immortalità dell’anima.
Nel 1906 al Teatro Sociale si rappresentano drammi come gli Spettri e commedie che mettono al centro i problemi e le vicende della vita quotidiana come Santarellina, Lea, I disonesti, accanto a lavori locali come Gian Carlo Re di Lorenzo Battezzati.
Il pubblico valenzano vuole divertirsi e uscire dalla sala canticchiando l’aria dell’opera, se ha una musica piana e scorrevole come accade per La Traviata. Mostra, dunque, una predilezione per Verdi e Bellini, ma apprezza anche i primi varietà e la satira con il suo lato esagerato e grottesco, il teatro dialettale e quello di protesta, che per alcuni è considerato una provocazione fraudolenta.
Spesso ci sono fischi e risate diretti verso interpreti poco capaci, solitamente provenienti dal loggione, tana di molti bastian contrari e urlatori a prescindere, soprattutto quando si arruolano soggetti valenzani per alcune parti dell’opera.
Alla prima rappresentazione della Forza del destino, ad esempio, i coristi si presentarono coperti dal saio dei frati, con un cappuccio in testa e una candela in mano, ma sotto l’abbigliamento si scorgevano le sembianze dei più noti mangiapreti valenzani e dal loggione si levarono i commenti più diretti e altisonanti: “Giovanin, sei ridicolo”, “Carlo sta attento alla candela” ecc. Una sera, al termine dei Pagliacci, in cui cantava un vecchio baritono dalla voce cavernosa e vacillante, dal loggione uscì una fischiata prolungata. Il cantante si fermò e si mise a enumerare i suoi trionfi in modo pomposo e la risposta del pubblico è ora indicibile. Varie altre volte non hanno fatto eccezione, anche assumendo tratti bizzarri di contraddittorietà.
La famosa compagnia drammatica Luisa Albertini, diretta da Attilia Ricci, ha scarso successo nella primavera del 1909. Tra i tanti lavori rappresentati, ci sono La signora delle camelie, La torre dei diavoli, Profumo, Niobe, La moglie del dottore. A Valenza si prosegue con rappresentazioni vecchie e nuove: La vedova allegra, Geisha, Maria Stuarda, Fedra, La moglie bella e Sangue al sangue. D’annunzio è fra gli autori preferiti.
Nella filodrammatica dilettante valenzana diretta dal bravo artista Narcisio d’Arti si esibiscono i valenzani Edvige e Maria Baroso, Zemira Ghiglione, Cesira Cantoni e i giovani Francesco Boris, Edoardo Falda e Amilcare Carnevale, con un’identità artistica non comuni di volontariato teatrale. Tutti gli spettacoli allestiti dai filodrammatici locali per beneficenza incontrano l’adesione del pubblico, in cambio di qualche centesimo per l’ingresso: 30 per il loggione e 50 per la platea, i palchi e le poltrone.
Nell’aprile del 1911 la compagnia di operette comiche Carmen de Rios ottiene un buon successo; soltanto il tenore Duca di Mantova nel Rigoletto, raccoglie fischi e, a causa della scarsità di pubblico, deve essere sostituito nelle serate successive.
I valenzani apprezzano sempre di più i drammi a tinte forti, in cui amore, morte e disgrazia s’intrecciano, e dotati di un cast di livello. Nel 1912, nel lavoro di Lorenzo Battezzati Come il macigno, dramma in tre atti ambientato fra Pecetto e Genova, si distinguono alcuni dilettanti della filodrammatica locale: Paolo Battezzati e Giuseppe Garlanda, accanto alle sorelle Baroso, a Boris e a Falda. In autunno la filodrammatica esegue Tutto per tutto del concittadino Crozza e Quelli che pagano di Pozzi; quest’ultimo dramma scatena polemiche tra i socialisti che lo difendono e i liberali che la ritengono immorale.
Nel 1913 la direzione del teatro viene assunta in gestione per un anno dalla filodrammatica in unione col Battezzati, con propositi di miglioramento dell’ammaccato locale. La stagione è caratterizzata da un programma vario con ottime compagnie di prosa e di canto. La filodrammatica locale si cimenta in Le pecorelle smarrite, La macchia e nel celebre lavoro del famoso concittadino Sandro Camasio (1886-1913) Addio Giovinezza, suscitando grandi consensi. In certe esibizioni la fiera passione di questi teatranti locali, fino alle soglie dell’improvvisazione, ottiene un risultato straordinario. Grande successo ha l’opera teatrale Barbara da Briano, del concittadino avvocato Gerolamo Tarony, eseguita dalla compagnia di Montefameglio nell’aprile del 1913.
Nel 1914 la direzione del Teatro Sociale passa al dominus locale maestro Bellone, che scrittura diverse compagnie d’operette, drammatiche e di varietà e stipula contratti con le migliori case cinematografiche. L’opera più apprezzata dal difficile pubblico valenzano è La favorita.
Si registra un grande successo di pubblico in occasione del concerto della violinista valenzana Angiola (Angelina) Farina, detta Gervin-a dal cognome della madre, anche lei una brava violinista, come anche il fratello e lo zio Gervino. Farina è un’eminente concertista che ha fatto del violino il suo credo e la sua forma di preghiera, più nota all’estero che in Italia. Nel 1912 ha tenuto un concerto a Berlino alla presenza del Kaiser Guglielmo II, dal quale ha ricevuto ampie congratulazioni. È un’amica stimata dei grandi violinisti del tempo. Si ritira presto dalle scene appartandosi a Valenza, che lascia negli anni Settanta per spostarsi a Limoges, in Francia, dove muore il 9 luglio 1974 all’età di 84 anni. Anticipatrice delle figure femminili evolute e autonome che oggi vanno per la maggiore, è stata totalmente sottovalutata e poi dimenticata dai suoi concittadini.
Durante la drammatica guerra, l’attività teatrale, a questo punto moribonda, prima si riduce e poi, nel biennio 1917-1919, si ferma del tutto, mentre il cinema riscuote le simpatie crescenti dei valenzani. Nell’ottobre del 1915, nonostante l’epoca sfavorevole, l’impresa Porzio presenta Lucia di Lammermoor, Rigoletto e Faust, in cui compaiono tre artisti valenzani: Vincenzo Ceriana, Edvige Baroso e Alberto Piacentini. Nel 1916 viene allestita una stagione lirica con tre opere: Don Pasquale, Un ballo in maschera e Il Trovatore.
Gli artisti valenzani più in vista, Falda e la Baroso, sono operai appassionati delle scene che dopo il lavoro trovano il tempo di studiare la loro parte in modo da poter gareggiare con artisti drammatici provetti, così dicasi dei valenzani Piero Baccigaluppi, Ada Ferrero, Matilde Ferrero, Iolanda Graziano e i giovani Cordara, Battezzati e Pavese. Hanno una volontà di ferro, sanno calarsi abilmente nei personaggi e impersonare i ruoli con disinvoltura, manifestando pienamente anche sé stessi senza timore di paragoni. Anche nella stagione lirica primaverile del 1920, che riscuote un grande successo, nelle opere I Pagliacci, Cavalleria rusticana e La Traviata, appaiono i valenzani Rolino, Raselli e Piacentini in qualità di comprimari. Nel marzo del 1920 la filodrammatica valenzana Juventus rappresenta con successo La nemica e Mario e Maria e nella primavera del 1921 Titano e Una donna moderna.
Ad allontanare i valenzani dal teatro impudente, in cui “è consentita qualunque cosa, senza limiti e senza freni”, interviene spesso la chiesa locale animata di intransigenza, che, esprimendo dinieghi a prescindere, sovente organizza trattenimenti nell’oratorio in contemporanea agli spettacoli del Teatro Sociale.
Dopo il primo stupore e il successo iniziale di fine secolo, per qualche anno il cinematografo trova una diffusione privilegiata nelle fiere e nei luna park, a Valenza principalmente durante la festa patronale di San Giacomo che si tiene a luglio, un’attrazione eccezionale e un luogo delle meraviglie. I cinema baracconi si confondono con molti altri nelle feste popolari, ma diventano presto delle attrazioni di punta; sono illuminati da gruppi elettronici alimentati da motori a vapore, a gas o a petrolio.
Attorno alla fine degli anni Dieci, il cinema ambulante va in crisi e le sale si integrano nel tessuto urbano. Anche i valenzani sono contenti di non soffrire più il caldo atroce all’interno dei carrozzoni ambulanti chiusi alla luce dove si proiettavano i primi film. All’inizio del febbraio del 1908 un cinematografo stabile denominato Salone Varietà Diamante, nell’attuale viale Cellini, inizia le proiezioni, variandole quasi tutte le sere. Hanno compreso che la fortuna economica sta da quella parte e creato il locale il finanziatore Celesia, la mente Caresini e il conduttore Gervaso, che lo gestiscono dal 1908 al 1910; nel 1911 toccherà al milanese De Bernardi, dal 1912 al 1915 a Bellone e, successivamente, ai fratelli Gervaso. Il pianista accompagnatore è per lungo tempo Borsetti.
Il cinema riscuote subito successo e, col tempo, incontra sempre più le simpatie del pubblico, che accorre numeroso, specialmente donne e ragazzi. I gestori cercano di proporre pellicole sempre nuove e diverse, variandole tutte le sere, e di migliorare la qualità della visione e dell’ascolto. Durante il secondo decennio del Novecento, il cinema italiano conosce uno dei periodi migliori, con una produzione di quasi mille titoli esportati in tutto il mondo.
Nel 1912 l’antiquato e noioso pianoforte verticale di accompagnamento alle immagini è sostituito da uno più moderno, suonato ora dal gestore maestro Bellone. Nel 1915 nel locale vengono installati degli aspiratori per il fumo, delle lampade ad arco levigate per non stancare la vista degli spettatori e delle lampade colorate per non lasciare il pubblico completamente al buio durante la proiezione. Nello stesso anno il macchinario di proiezione è sostituito con un motore elettrico che rende le proiezioni meno oscillanti. I prezzi si mantengono contenuti, avvicinando quantità sempre più grandi di pubblico meno agiato. Il cinema diventa il luogo privilegiato e capace della più ampia ricaduta e diffusione comunicativa, più o meno utile secondo i casi e le situazioni.
Nel primo decennio di vita, in una sola occasione il cinematografo valenzano resta inattivo per tre mesi, dall’ottobre al dicembre del 1918, quando a Valenza scoppia un’epidemia di febbre spagnola e, per evitare il propagarsi del contagio, tutti i luoghi pubblici vengono chiusi temporaneamente.
Il 28 maggio 1921, alla Casa del Popolo, prossima alla fine, è inaugurato il primo cinema all’aperto con il film Chimere, capolavoro drammatico in 4 parti. Prima della proiezione si esibisce la banda musicale, poi un campanello dà il segnale che lo spettacolo cinematografico sta per cominciare. Gli spettatori lasciano la realtà difficile del momento e la loro ardente religione politica da parte, rifugiandosi in una breve dimensione onirica.
Ma ormai a Valenza si intrecciano frizioni politiche, antipatie personali, mistificazioni umorali e, soprattutto, emergono interventi di carattere censorio su linguaggi e pensieri. Tutti segnali o testimonianze di un passaggio d’epoca.