Il sale, nemico dell’ipertensione
La normativa vigente in termini di etichettatura alimentare obbliga il produttore a indicare la quantità di sale presente in ogni alimento. Perché è così importante sapere quanto sale mangiamo e quanti sono i quantitativi consigliati nella dieta? Come prima cosa dobbiamo tenere presente che quando parliamo di assunzione di sale è necessario considerare non solo il sale discrezionale che aggiungiamo a pizzichi qua e là, ma anche il sale nascosto presente negli alimenti, alcuni dei quali ne contengono dosi significativamente elevate, basti pensare a salumi, olive e alcuni formaggi. Il Ministero della Salute nelle Linee Guida per una Sana Alimentazione indica in 0.25-1.5 g al giorno di sale il consumo ideale necessario a reintegrare quello che perdiamo, corrispondente alla punta di un cucchiaino.
In realtà la quantità mediamente consumata da ciascuno di noi si aggira sui 9-10 g al giorno, una quantità decisamente elevata che, come più avanti vedremo, può risultare dannosa per la salute. L’obiettivo nutrizionale che viene attualmente proposto è inferiore ai 5g al giorno, valore che rappresenta un buon compromesso fra soddisfazione del gusto e prevenzione dei rischi, una quantità quindi che, pur garantendo sapidità ai piatti, riduce il rischio di patologie. Ma quali sono i danni che l’eccesso di sale provoca? La principale conseguenza di un’eccessiva assunzione di sale è l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa, un fattore di rischio elevato per malattie cardiovascolari quali infarto del miocardio, angina e ictus, che ha molte concause e la cui diagnosi vede la costanza di valori pressori maggiori di 90mmHg per la minima (pressione diastolica) e di 140mmHg per la massima (pressione sistolica).
Il sodio è uno dei minerali più abbondanti nell’organismo ed è presente nel sangue e nell’ambiente intercellulare dove svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio idrico-salino dell’organismo e nella regolazione del passaggio di fluidi e nutrienti fra interno ed esterno delle cellule. Inoltre, è fondamentale per l’attività elettrica cellulare e la trasmissione degli impulsi nervosi.
In condizioni normali i reni sani mantengono sotto stretto controllo il sodio presente nell’organismo variandone la quantità escreta con le urine in funzione della quantità assunta (bilancio del sodio). Tuttavia, nella maggior parte dei casi di ipertensione, cioè nell’ipertensione primaria o essenziale, per varie ragioni questo bilancio viene meno e il sodio è trattenuto dall’organismo più di quanto dovrebbe. Questo genera, per effetto osmotico, una ritenzione idrica da parte dell’organismo e un aumento del volume ematico che porta ad un aumento pressorio all’interno dei vasi. Il cuore inizia così a fare fatica per pompare in circolo il sangue perché è ostacolato da elevati valori pressori nei vasi di uscita e, in particolare, nell’aorta. Nel corso del tempo lo sforzo eccessivo che il cuore compie e il surplus di lavoro a cui viene esposto può determinare affaticamento, malfunzionamento e scompenso cardiocircolatorio.
L’ipertensione è definita “killer silenzioso” perché molto spesso non determina sintomi particolarmente evidenti ed eclatanti, è molto diffusa nei paesi industrializzati ed è spesso un male dei nostri giorni legato alle cattive abitudini alimentari che molto spesso conduciamo. L’abuso di sale è quindi un importante fattore di rischio, così come lo sono altre condizioni quali sovrappeso, sedentarietà, eccesso di alcol oltre a fattori non modificabili quali l’età avanzata e la predisposizione familiare. Anche i cambiamenti ormonali, come accade nelle donne in menopausa, aumentano la probabilità di sviluppare ipertensione arteriosa.
In Italia è stato calcolato che circa il 30% della popolazione adulta sia soggetta a questa condizione. Uno studio, pubblicato su una prestigiosa rivista, ha coinvolto per tre decenni 100 milioni di persone di 184 paesi e ha evidenziato che il numero di coloro che soffrono di ipertensione arteriosa è passato da 650 milioni a 1,2 miliardi, un altro male di una società in cui l’accesso al cibo e al benessere è molto spesso troppo facile.