Il sol dell’avvenire
Tutto è cinema, tutto è rappresentazione. Nella società delle immagini questo è un assioma incontrovertibile.
Ne è ben consapevole Nanni Moretti, che – giunto al suo quattordicesimo lungometraggio – costruisce un apologo affettuoso, amorevole, sarcastico, dotto, sul mezzo cinematografico, sulla sua storia e il suo linguaggio, sui film della vita: i capolavori, e quelli che bisogna assolutamente rifiutare o – alla peggio – cambiare, perché non risultino esasperate farse.
E allora: Max Ophuls, Cassavetes, Kieslowski, Scorsese, i Taviani, sopra tutti Fellini, solo per elencare alcuni dei riferimenti cinefili che “Il sol dell’avvenire” inanella, con gusto citazionista. Per ricordare la grandezza e, insieme, la possibile bruttezza della settima arte, quando non è in grado di elevarsi, di raggiungere le vette di quegli esempi vertiginosi. Può capitare a chiunque, anche a un regista di lungo corso e forte autoconsapevolezza artistica, di entrare in crisi, rischiando di partorire un brutto film: è il pericolo che corre Giovanni, alter-ego di Nanni ne “Il sol dell’avvenire”.
Una minaccia che il protagonista conosce, esplora, aggira con spirito sornione fino a rovesciarne radicalmente l’assunto, dando vita a un finale imprevisto ma soddisfacente e carico di speranza verso il futuro.
Si può applicare il medesimo ragionamento ribaltatorio e consolante anche all’ideologia politica, alla lunga e complicata stagione attraversata nello scorrere dei decenni da una sinistra stanca, in crisi, che ha smarrito il senso del suo esistere, delle lotte e degli ideali?
Moretti sa che rispondere a questa domanda è cosa ardua, fatica maggiore anche rispetto quella, di tutto rispetto, del determinare le categorie critiche ed estetiche del cinema. Quello vero. Quello che si può amare, perché sa come si narra una storia.
Allora, l’unica strada percorribile, anche in questo caso, è quella di riannodare il nastro del tempo, di tornare alle radici, a quando tutto è cominciato: a una piccola sezione romana del partito comunista, nel 1956, all’impegno franco, sincero, privo di sovrastrutture di chi – all’epoca – ci credeva davvero, all’atmosfera popolare e magica di un circo, prima che gli spettatori venissero irretiti dal canto delle sirene di Netflix. Prima che l’invasione sovietica dell’Ungheria fungesse da spartiacque del destino del mondo e di quello di un partito italiano posto di fronte a una scelta epocale.
Con “Il sol dell’avvenire” Nanni Moretti dà vita forse non a una delle sue pellicole migliori, ma certo a una tra le più sincere, appassionate e autoironiche, soffusa di una indulgente tenerezza verso i difetti propri e altrui, le curve a gomito della Storia, gli imprevisti della sorte e del cuore, le bellezze e le brutture della politica e dell’arte.
Un film circense, appunto, felliniano in certi passaggi, pasoliniano in altri, fatto di momenti debordanti e caotici, di grandi canzoni cantate a squarciagola (da De Andrè a Battiato, da Aretha Franklin a Tenco e a Noemi), ballate, ritmate, per darsi coraggio, per fare da scudo alla depressione. Così come di calci solitari ad un pallone su di un set quasi deserto, con il giorno che finisce e quel senso di vuoto, di abbandono e mancanza di futuro che lo scrittore e regista di Casarsa ha saputo cogliere e descrivere.
Il finale – più iconografia di “Otto e mezzo” che del “Quarto Stato” – è una felice, commossa, ariosa, variopinta riconciliazione degli opposti, collettivi e personali, culturali e ideologici, oltre che un tributo affettuoso ai volti attoriali (Orlando e Buy, Bobulova, ma anche Lazzarini, Rohrwacher, Trinca, Sastri, Bonaiuto, Carpentieri) che hanno caratterizzato le maschere dei personaggi del cinema morettiano.
Un personale, imperfetto, a tratti buffo ma efficace amarcord, che si volge indietro per continuare a sognare il futuro.
«Diciamo che con questo lavoro chiudo questa prima fase della mia carriera – ha confessato Moretti alla presentazione del film nel suo cinema Nuovo Sacher – a cui probabilmente seguirà la seconda di un’altra cinquantina d’anni e forse una terza. Ritornare a girare circondato da persone che conosco è come sentirsi parte di una grande famiglia. Con Margherita siamo al quinto film consecutivo, mentre Silvio ritorna a diciassette anni da “Il Caimano”. L’unica novità è Barbora, che è entrata subito a far parte della nostra famiglia allargata, sempre centrata, sempre perfetta. L’uso del monopattino? In realtà l’ho guidato solo due volte: una per provarlo a Cinecittà e la seconda per girare la scena a piazza Mazzini a fianco del produttore interpretato da Mathieu Amalric. Basta. La vecchia Vespa utilizzata in “Caro Diario” e “Aprile” è ormai finita al Museo del Cinema di Torino, adesso uso una Vespa più recente, ma l’idea del monopattino non è legata ad una mia abitudine, ci è semplicemente venuta in mente scrivendo il film…».
“Il sol dell’avvenire”
Origine: Italia-Francia, 2023, 95’
Regia: Nanni Moretti
Sceneggiatura: Francesca Marciano, Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella
Fotografia: Michele D’Attanasio
Montaggio: Clelio Benevento
Musica: Franco Piersanti
Cast: Nanni Moretti, Margherita Buy, Valentina Romani, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Flavio Furno, Mathieu Amalric, Zsolt Anger, Jerzy Stuhr, Teco Celio, Giuseppe Scoditti, Beniamino Marcone, Valerio Da Silva, Angelo Galdi, Arianna Pozzoli, Rosario Lisma, Francesco Brandi, Laura Nardi, Arianna Serrao, Blu Yoshimi, Michele Eburnea, Elena Lietti, Benjamin Stender, Francesco Rossini, Federica Sandrini, Carolina Pavone, Sun Hee You
Produzione: Sacher Film, Fandango con Rai Cinema, Le Pacte
Distribuzione: 01 Distribution