«Foto a bagno nell’acido per le mammografie d’altri tempi…»
Il radiologo Musante, i lunghi viaggi da Rapallo e la vertebra fratturata... decisiva per la carriera. «La Sanità può funzionare soltanto se si fa rete»
Se pensate che il bello del fare rete sia esclusiva dei calciatori, certamente vi state sbagliando, anche se l’emozione di un gol – se si è tifosi – risulta più intensa dell’unire le competenze, pur in un settore cruciale come la Sanità.
Francesco Musante, che è stato radiologo all’ospedale di Alessandria, e che di anni ne conta 72, non ha dubbi: «O si collabora o non si va da nessuna parte». Tanto più nel suo ambito, dove la condivisione di immagini, ad esempio, può risultare un fattore decisivo per chi deve stabilire una cura e per chi una cura la deve ricevere.
Non si offenderà se lo definiamo un (ex) veterano del Santi Antonio e Biagio. Né se gli appiccichiamo l’appellativo “saggio”. D’altronde, è stato qui dal 1978 al 2015 e i ragionamenti che propone profumano di futuro e prospettive. Anche se non è che il passato non offra spunti interessanti, tutt’altro.
La svolta con la moto
Vogliamo dire delle mammografie? «Quando cominciai – ricorda il medico – si sviluppavano le mammografie esattamente come si faceva con le foto. Ovvero, si immergeva la pellicola nella vaschetta con l’acido e poi le immagini si appendevano con le mollette, affinché asciugassero».
Ecco, Musante iniziò che funzionava così. Correva il 1978, ed era ancora specializzando a Genova, ma già lavorava nel nostro ospedale. Lui di Rapallo. Tre anni di trasferte, dalla Liguria al Piemonte, sei giorni a settimana.
La svolta la diede la frattura della prima vertebra, mica uno scherzo. «Facevo gare di regolarità in moto – spiega – Lungo la mulattiera di Montallegro, dalle mie parti, caddi e mi feci molto male. Quella frattura, alla fin fine, si rivelò decisiva perché mi permise di concentrarmi sul mio percorso da medico». Un passo dopo l’altro, gli esordi da assistente, poi la promozione ad aiuto del professor Bonati e, dal 1991, il ruolo di primario.
Analogico e digitale
«Andai in pensione nel 2015, ma mica ero contento – racconta – Non tutto, in quel periodo, andava bene. Avevo chiara l’idea che, in ospedale, servisse un metodo organizzativo nuovo e che lavorare in gruppo sarebbe stato fondamentale. Io ho sempre cercato di farlo con i miei collaboratori. Si ragionava in modo collegiale anche se poi la decisione finale spettava a me. Spero di avere lasciato un buon ricordo. Con molti pazienti è successo, ne ho le prove». Sorride e torna indietro con la memoria. «Eravamo giovani, con prospettive e animati da sana goliardia. Bei tempi». Eroici, verrebbe da dire se non fosse che l’aggettivo è abusato. Però, se ripensiamo alle vaschette d’acido per le mammografie… «Be’, ho avuto la fortuna di vivere un passaggio epocale, dalla tradizione all’ecografia, da questa alla tac fino alla risonanza magnetica… Un salto dall’analogico al digitale, si potrebbe dire. Quando si è cominciato con le ecografie, è davvero cambiato il nostro mondo».
Entusiasta e ancora attivo come medico, rifarebbe tutto: «Avevo sì la mamma farmacista e la zia pediatra, ma mi affascinava, soprattutto, il poter rendermi utile agli altri. Per me questo è il mestiere più bello del mondo. Ovvio che lo consiglierei».
E poi, oggi come oggi, di medici c’è infinito bisogno.