Il Pont d’fer di Valenza
Uno dei luoghi iconici della città
VALENZA – Valenza è sempre stata l’avamposto del Monferrato verso la Lombardia. In tempi remoti il suo porto sul Po è stato molto importante e il passaggio su questo fiume, che la natura ha regalato a questa città, con strutture e posizione diverse, traghetto, ponte natante o di barche, distrutto e ricostruito più volte, è sempre stato indispensabile per i commerci e le guerre di ogni epoca. Era quasi il prolungamento della strada cittadina principale verso il fiume a nord dell’abitato.
Alla fine del periodo napoleonico, con la Restaurazione sabauda i collegamenti sul fiume sono stati assicurati da tre porti natanti: il Portichetto, il Porto di Mezzo e quello della rampa di accesso alla città. Nel 1836, in Regione Vecchio Porto viene costruito un robusto ponte natante in barche, a pedaggio, composto da 28 barche di metri 18,50 x 12,30 ciascuna, che sostengono il tavolato stradale.
Nel 1845 Carlo Alberto stende un piano delle principali linee ferroviarie del Regno Sardo Piemontese. Le Regie Patenti del 13 febbraio 1845 rappresentano la legge fondamentale per l’impianto delle ferrovie negli Stati Sardi di terraferma, Al punto C si prevede una trasversale padana, che congiunge Genova con Novara e Arona, e da qui, eventualmente via battello, con Locarno, il passo di Lucomagno, Coira, Basilea e la valle del Reno.
Per il tratto Alessandria–Mortara della linea si sceglie il percorso transitante per Valenza, ed è lungo questa tratta ferrata che si dovrà costruire nei pressi di Valenza una galleria di 2.300 metri e innalzare un ponte per l’attraversamento del fiume più importante della penisola, il Po. Per l’ingente opera di 420 metri è prevista una spesa di quasi 4 milioni di lire sabaude, pari a circa 20 milioni di euro di oggi, che diventeranno alla fine quasi 8 milioni di lire. Con il capitolato del 15 settembre 1846 si conferma che la faraonica costruzione avrà 21 arcate, di metri 20 di corda cadauna.
A Valenza il ponte non piace a tutti. La maggioranza dei commenti ne biasima la realizzazione per le dimensioni e l’impatto visivo: troppo grande, troppo alto, troppo costoso. Il progetto fa nascere avversità e contestazioni da parte dei proprietari per l’espropriazione dei terreni appartenenti a Morosetti, Barbero, Rota, Reposo, Cavalli e altre polemiche locali per la scelta di luoghi così lontani dal centro abitato, sia per il ponte che per la stazione ferroviaria. Ma viene asserito che questa è una scelta quasi obbligata per un’opera così ambiziosa, considerando la morfologia dei terreni di Valenza e il suo essere, ancora in quel tempo, circondata da valloni profondi.
Passato il furore di certe posizioni, come la causa poi intentata, in maniera allarmistica, dalla municipalità al Governo per il danno che il nuovo ponte in muratura arrecava alle casse comunali a causa del crollo delle riscossioni sul ponte di barche, nel 1847 l’appalto è assegnato alla Società Impresa Barbero Felice di San Raffaele–Torino e la cerimonia di posa della prima pietra si tiene l’11 settembre 1847, alla presenza di re Carlo Alberto. È prevista la realizzazione entro due anni, ma, a causa della Prima Guerra di Indipendenza del 1848-1849, il ponte viene ultimato nel 1850 (che ai nostri tempi sarebbe comunque un prodigio). Nell’agosto del 1848, in occasione della ritirata dell’esercito piemontese da Milano, per impedire agli austriaci di occupare Valenza, sono date alle fiamme quattro barche del vecchio ponte natante, isolando la città.
Il nuovo ponte, esclusivamente ferroviario, viene costruito fuori dell’antico alveo del fiume, in un’area di terreno coltivato compresa fra due risvolte del Po. Completata la costruzione del ponte, le acque del fiume sono fatte transitare sotto scavando un canale d’invito nell’aprile del 1851.
Anticipando l’apertura ufficiale, la piccola folla di valenzani che si reca a osservare il ponte nella sua interezza lo guarda come un’apparizione soprannaturale, riconoscendo tremanti la superiorità della tecnica, soprattutto quando l’acqua inizia scorrere sui due lati delle arcate creando mulinelli frenetici che investono i piloni.
In quegli anni il tema della difesa dello stato sardo verso il confine con la Lombardia austriaca diventa prioritario, così, il 5 giugno 1854, è aperta ufficialmente la linea Alessandria-Mortara con il ponte di Valenza. Novara è raggiunta il mese successivo, per la precisione il 3 luglio, e la linea fino ad Arona è aperta il 14 giugno 1855.
Le vaporiere percorrono il ponte di Valenza fino al 1859, quando, a causa delle Seconda Guerra d’Indipendenza, per la prima volta nella storia una ferrovia viene utilizzata in un’operazione militare, ovvero per il celere trasporto delle truppe piemontesi, e la struttura, sulla prima linea del fronte, sopporta la prima massiccia aggressione. Il 4 maggio 1859 gli austriaci occupano una parte del ponte e danno inizio al cannoneggiamento verso Valenza; i nostri soldati contrattaccano respingendo gli austriaci dopo uno scontro sul ponte, ma questi, prima di allontanarsi, fanno saltare due arcate del ponte verso la Lomellina.
La seconda fase delle vicende di strutturazione del Pont d’fer, come è chiamato dai valenzani, ha inizio nel 1885, quando si decide di raddoppiarne la larghezza con la realizzazione di una sede stradale che va a sostituire il percorso pittoresco sul ponte di barche sistemato più a valle, dove il traffico sostenuto, la cura e le manutenzioni costanti richieste confermano la necessità di un nuovo ponte stradale.
I lavori sono affidati alla ditta Luigi Vaccari, molto competente nel settore ferroviario avendo già realizzato altri tratti in Piemonte e Calabria e avendo partecipato alla costruzione del Traforo del Colle di Tenda. All’impresa Pietro Battezzati, invece, sono affidati i lavori di costruzione delle rampe di accesso al ponte. La nuova installazione è complessa e costosa e, come sempre, non esente da polemiche.
Il primo intervento è la demolizione dei rostri a valle e l’aggiunta delle pile della sede stradale, che sprofondano subito e devono essere demolite. Il ponte viene interamente stravolto, anche se i treni continuano a passarvi sopra. I lavori terminano completamente nel 1890 e la costruzione, che non manca di un suo fascino per i tempi, assume la conformazione che ha ancora oggi: 21 arcate e 507 metri di lunghezza. È uno dei ponti più estesi e rilevanti del Paese.
Nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, il ponte è completamente distrutto e non ne restano che macerie causate dalle bombe liberatrici inglesi e americane. La ricostruzione viene affidata all’impresa Domenico Borini Spa di Torino. Durante questi lavori, il 26 settembre 1947, a causa di una grande piena, il Po raggiunge i 5,45 metri dallo zero idrometrico e l’acqua copre tutte le attrezzature e le installazioni del cantiere, allagando il territorio sottostante alla città e dilatando i tempi di realizzazione e i costi dell’opera. Il ponte sul Po a Valenza viene ultimato soltanto nel 1950. Siamo entrati nella nostra epoca: si sa quando si inizia, meno quando si finisce. L’elettrificazione della linea, a corrente continua e alla tensione di 3 kV, viene attivata il 2 maggio 1960.
All’epoca, un coordinatore degli studi della Società degli Ingegneri e Industriali di Torino che scelse il luogo iniziale in cui costruire il ponte nel 1846, ha confessato, in modo imbarazzante e un po’ tardivamente, che, se il ponte fosse stato costruito 2 km più a valle, i lavori sarebbero stati meno difficoltosi e si sarebbe evitata la lunga curva della ferrovia. Questa rivelazione postuma avvalora certi dubbi, presenti al tempo, circa le interferenze politiche sulla scelta del luogo di costruzione per favorire alcuni interessi privati sui terreni, interessi presenti quasi in ogni epoca. Nulla d’inedito, dunque, anche se la raffica di polemiche e le accuse incrociate che seguono la costruzione di queste opere grandiose spesso sono alimentate in mala fede e con una buona dose di ipocrisia, soprattutto da quelli che dopo sapevano tutto prima. Poi vince sempre l’oblio.