Dalla Preistoria alla Protostoria nella zona di Valenza
L'analisi comprende anche le aree di Pecetto, Bassignana, Rivarone e Montecastello
VALENZA – Dopo la formazione del pianeta Terra dalla nebulosa solare circa 4,5 miliardi di anni fa, il territorio della zona valenzana inizia a prendere forma alla fine del periodo Terziario (70 – 2 milioni d’anni fa). Dove ora si levano le nostre prospere colline, circa 5 milioni di anni fa c’era solo il mare.
Dell’antico Mare Padano, oggi a Pecetto restano gli affioramenti di un tipo particolare di roccia sedimentaria, denominata “tripoli”, che costituisce il risultato del lento depositarsi di gusci di organismi microscopici, quali foraminiferi e diatomee.
Nel corso di 3 milioni di anni, in seguito a sconvolgimenti della crosta terrestre, si verifica il sollevamento del bacino piemontese, col conseguente ritiro delle acque. Sembra che ci fosse già una presenza sporadica di cacciatori e raccoglitori nomadi (Homo sapiens neanderthalensis) durante il Paleolitico medio (120.000 – 40.000 anni fa). Si ritiene che la storia dell’uomo abbia spento ormai quasi trecentomila candeline.
I ritrovamenti testimoniano la frequentazione umana del nostro territorio già durante il Neolitico recente, tra il 4200 e il 3500 a.C. Alla la fine dell’età del Rame (3500-2250 a.C.) c’è un iniziale popolamento con la creazione di alcuni villaggi stabili che spesso vanno in conflitto. Con l’età del Bronzo (2200-900 a.C.) si sviluppa l’agricoltura, l’allevamento, la metallurgia, il commercio, attività che favoriscono nuovi assetti economici e sociali. Le comunità evolvono in una maggiore articolazione e differenziazione sociale e si diffonde il rito funebre della cremazione.
Il rinvenimento nella nostra zona di ripostigli con oggetti integri di metallo, quali asce, collari e bracciali, pani di metallo e oggetti rotti, conferma l’esistenza di un vivace commercio di oggetti di bronzo, forgiati da specialisti, forse la primigenia alacrità locale verso i preziosi. Tutti i manufatti sono prodotti sul luogo, soprattutto l’immenso numero di vasi d’argilla in cui conservare il grano e i cereali, cuocere il cibo, mangiare e bere. Molto evoluto è anche l’artigianato del legno.
A pianta rettangolare o circolare, le capanne sono sempre in posizione elevata, su terrazzi fluviali o su colline, e hanno un’ossatura di pali di legno. All’interno, il focolare è costituito da semplici pietre. Altre strutture abitative sono con pareti in trama lignea, ricoperte da masse di argilla consolidata dal fuoco. Appare chiara l’esistenza di vie commerciali e di comunicazione, una delle quali si è sviluppata lungo il corso del Po.
Riguardo ai popoli che si sono insediati nella zona ne conosciamo la storia solo in modo frammentario e niente sappiamo delle loro vicende precedenti.
I Liguri sono un’antica popolazione che ha dato il suo nome all’odierna regione della Liguria, attestata nel Nord Italia e nella Francia meridionale intorno al 2000 a.C. Il territorio a sud del Po verrà poi denominato “Liguria interna”.
I Bagienni, gli Statielli e i Marici sono tre stirpi Liguri che si insediano nella zona probabilmente alla fine del II millennio a.C., molto prima dell’avvento dei Celti e dei Romani. I Liguri Bagienni, si crede provenienti dal Mediterraneo orientale, raggiungono le alte coste della Liguria, poi dal territorio di Albenga, seguendo il corso del fiume Tanaro fino al Po, proseguono il grande esodo fino a giungere dalle nostre parti. Questa tribù è caratterizzata da un’eccezionale tempra fisica e caratteriale. I Liguri Statielli s’insediano nella zona compresa tra le attuali province di Savona, Cuneo e Alessandria fino al Po. I primi abitanti della nostra zona di cui si hanno notizie più sicure appartengono alla tribù ligure dei Marici (Anamari), che scavalcano l’Appennino nell’era post glaciale e stanziano nella zona del Po. Questi tre gruppi liguri s’inseriscono e si integrano in quest’incrocio estremo di tre territori che è la nostra zona, con un orientamento permanente a penetrare altri luoghi.
Sulle rive del Po, più a nord, s’insediano anche altre tribù liguri minori quali gli Insubri, i Libui e i Gabieni.
Sempre nella parte più a nord della nostra zona, una tribù distaccata di Bagienni mossa verso il Po, da loro chiamato Bodinco, prenderà il nome “Vicani Iadatiti” o “Vactatini” per il suo abitare i vici, cioè i villaggi bagnati dal torrente Grana, chiamato Iactum.
Si ritiene che il luogo dei primi insediamenti liguri a Valenza verso il 1000 a.C. sia nella zona compresa tra i rilievi di Astigliano e il confine con Monte (altipiano in regione Gropella). Durante l’ultima parte dell’Età del Ferro, tra il 600 e il 500 a.C., Valenza sembra essere una specie di emporio fluviale tra ovest ed est e si trova sul percorso che collega gli abitanti liguri al nord, un itinerario che parte dal mercato etrusco di Genova.
Nell’agro marico-bagienno, a poca distanza da Valenza, su uno sprone collinare digradante verso la sponda destra del Po all’estremo margine orientale delle colline, oggi chiamate del basso Monferrato, c’è Pecetto, la futura romana Pecetum Valentinum, che domina la pianura lomellina, in questi tempi malsana e paludosa. Poco più avanti c’è Rivarone, luogo posto sul limitare di una riva del colle e minacciato ai suoi piedi dal fiume Tanaro dove già nel neolitico è attraversato da piccoli gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori. Verso il 1000 a.C. sorge un villaggio di liguri Marici passati dal nomadismo a più stabili insediamenti; intorno all’800-700 a.C., invece, sono ormai stanziati gruppi misti liguri di Marici e Bagienni.
La prima organizzazione umana nei pendii di Pecetto e di Rivarone, dunque, inizia nell’età del Bronzo finale, quando alcune comunità si ritirano all’interno e preferiscono le aree collinari e le alture dotate di migliore visibilità sul territorio circostante per gli insediamenti. L’abitato preromano di Pecetto è poi collocato sul Bric Castellar, dove domina due solchi collinari, la Valle delle Redini e Montariolo, che interrompono la catena delle colline del Po.
Il colle di Montecastello, situato sulle rive del fiume Tanaro in territorio collinare, è un promontorio che domina l’ansa del Tanaro, uno dei punti più panoramici dei rilievi a ridosso della pianura, perciò abitato dei primitivi per la grande visibilità sul territorio. È verosimile che nella piana a est della collina vi fosse un insediamento umano preistorico già nel neolitico. Viene quindi occupato da una comunità mista ligure della valle del Tanaro tra l’età del Bronzo finale e l’inizio della seconda età del Ferro (1000-400 a.C.); poi si installano anche diverse famiglie con radici celtiche, prima dell’arrivo prepotente dei romani nel II secolo a.C. I celti liguri edificano qui una struttura simile ad una fortezza che poi diventerà un piccolo centro abitato.
Nelle vicinanze, alla confluenza del Tanaro col Po, c’è un borgo posto su un terrazzo fluviale naturale che domina la pianura circostante, dove, in era postglaciale, si affacciano gli umani che hanno scavalcato l’Appennino appartenenti alla tribù ligure dei Marici. Nell’età del Bronzo finale, intorno al 1000 a.C., si sviluppa un consistente villaggio abitato da una popolazione mista ligure di Marici, di Levi e di Bagienni, poi, nel 600 a.C., si stabilisce anche un nucleo di nuova etnia ligure, forse di Iriati provenienti dalla zona tortonese. Il luogo diventerà presto un importante villaggio etrusco-padano, snodo commerciale e militare fluviale, e molto più avanti assumerà il nome di Bassignana (Besenia, Bassinius, Baltienorum, Bassiniana).
La navigazione fluviale è la costante di tutta la protostoria di Valenza e Bassignana, rivoluzionata solo più tardi dalla rete stradale di età romana. Grazie alla navigazione i rapporti commerciali con l’Etruria raggiungono il massimo nel VI-V secolo a.C., con l’asse Po-Tanaro come via privilegiata per gli scambi commerciali con i mercanti etruschi e contatti con l’ambito villanoviano-etrusco dell’Emilia occidentale.
Tra l’VIII secolo a. C. e la metà del V, provenienti dal nord, arrivano in zona alcuni piccoli gruppi hallstattiani. Questi vivono in fattorie recintate con una palizzata lignea e un doppio fossato esterno, che suggeriscono un sistema socio-economico maggiormente incentrato sulla difesa e sull’esibizione della proprietà. Un ristretto aggregato sembra essersi insediato nei pressi della località San Siro-Cascine Vecchie di Pecetto.
Nel corso del VII e del VI secolo a. C., grazie al ripopolamento di altri gruppi avvenuto da nord e da ovest, nella nostra zona nascono gradualmente una serie di insediamenti, caratterizzati sempre da una facies proto ligure, collegati non da strade ma tramite sentieri di terra battuta. Si consolida la transizione verso nuove tecniche e modalità di produzione artigianale.
Nel 500 a.C. il territorio a nord del Po è sempre più percorso da gruppi di Galli-Celti, che da molto tempo varcano episodicamente le Alpi, ma le vere invasioni cominciano nel 400 a.C., quando passano dalla parte sinistra del Po, dove si sono stanziati, a quella destra. Le scorrerie di Celti transalpini creano disastri ovunque e determinano la crisi delle rotte commerciali con il mondo etrusco, cosa di cui gli empori di Valenza e di Bassignana soffrono enormemente.
Più evoluta di quella ligure, la cultura celtica lascia una traccia profonda in quest’area, che assimila le conoscenze di una civiltà nordica ben lontana da quella Etrusca o da quella Romana (per i Romani tutti i nordici sono celti). È una transazione sociale. Gli abitanti assorbono rilevanti elementi celtici, che si sovrappongono a quelli liguri pre-esistenti. Tra questi vi sono i culti religiosi e l’usanza di seppellire i morti nella terra, che sostituisce la precedente pratica della cremazione. Tuttavia, gli abitanti del posto non perdono le loro caratteristiche peculiari. Troviamo tracce di componenti celtiche in alcuni termini dialettali ancora in uso, come “brik”, che significa collina, o “grana”, che significa splendente (i Celti si stanziano inizialmente nella Valle Grana).
I Celti (tribù della Gallia) sono alti, biondi e di corporatura robusta. I Romani, che si scontreranno con loro in battaglia, saranno colpiti dal loro aspetto terrificante e dai loro lunghi capelli. Sono un po’ masochisti nel voler dominare la scena e conosciuti come grandi amatori di vino. Gli esportatori e i mercanti di vino greci e romani faranno affari con i produttori di vino celti della nostra zona; forse è proprio con loro che Valenza avvia la viticoltura.
Per i Romani, in questa terra misteriosa coperta da boschi e popolata da Galli, è molto difficile distinguere tra popolazioni autoctone e transalpine: in alcuni casi, i nuovi arrivati hanno scacciato le tribù locali sulle alture vicine; in altri, invece, i gruppi si sono fusi completamente.
I celto-liguri fanno grande uso di carne di maiale, quella che non è consumata subito viene essiccata affumicata e salata per la preparazione di veri e propri insaccati. È diffuso l’utilizzo di orzo a chicco intero per la preparazione di minestre, mentre farro, avena e segale sono la base per le farine.
I nostri primi rapporti con i Romani avvengono durante le guerre Puniche e sono subito incandescenti. Per ragioni diverse, e più o meno consapevolmente, tra il 225 e il 222 a.C., le nostre popolazioni si schierano contro i Romani e questi, infuriati, rispondono con varie incursioni offensive. Inscritta alla tribù Pollia, ormai popolata da gruppi amalgamati di Celti e Liguri (Galli cisalpini), la nostra zona cade in mano ai nuovi conquistatori romani quando i Galli cisalpini del territorio vicino (tribù Insubri e Gesati) sono sconfitti nel 222 a.C. a Clastidium (Casteggio) e poi, definitivamente, nel 194 a.C. Anche nella Seconda guerra Punica romana contro Annibale, tra il 218 e il 202 a.C., una parte delle nostre genti, ancora ostile ai romani per rivalità antiche e veleni nuovi, si schiera accanto al cartaginese, subendone le peggiori e insensate conseguenze e diventando così schiavi tremanti in attesa del castigo.
A Roma questa zona viene descritta da reduci e da mercanti come una terra inospitale, fredda, selvaggia, abitata da gente cocciuta e astiosa e in cui si avvertono minacce e pericoli ovunque. I romani descrivono i Liguri in questo modo: “Non grandi di statura, ma esercitati dalla durezza delle condizioni ambientali, i Liguri erano dotati di un’agilità proverbiale, di grande coraggio, di fedeltà assoluta alla comunità (Diodoro, V,39, 2-3)”. Cicerone descrive i Ligures come uomini di statura medio-bassa, forti, valorosi, che combattevano insieme alle loro donne, coraggiose e spietate come gli uomini, abili nell’uso delle frecce che tiravano da cavallo, ma anche in quello delle fionde, che utilizzavano da torri di pietra e da postazioni create per tendere imboscate. Secondo alcuni vivevano in povertà, secondo altri in semplicità, con modeste tecniche agricole, allevamenti e pesca.
Nel 173-172 a.C., al comando del console sanguinario Marco Popilio Lenate, i soldati romani, di sfide estreme e memoria lunga, sterminano le varie tribù liguri che abitano il territorio compreso tra il Tanaro e il Po. Con un grande spargimento di sangue, questa zona viene completamente romanizzata e, tuttavia, dopo il controllo di Roma (vassallaggio) non fa parte dell’Italia romana, ma è considerata parte di una provincia con un’organizzazione giuridica difforme e a tratti spietata: Valentia o Valentinum, Pecetum Valentinum, Bassinius o Baltienorum, Ripa o Riparia e Mons sono persi in una nuvola d’oblio senza vie di scampo, sognando un’integrazione che non c’è.
Nel 49 a.C., con la Lex Roscia, sarà Cesare a concedere il diritto alla cittadinanza romana ai transpadani della Gallia Cisalpina e alle tribù liguri (già allora barbari nordisti sprezzantemente denigrati), sopravvissute al precedente massacro.