Valenza negli anni Venti e Trenta del Novecento
Un nuovo approfondimento sulla storia della città del gioiello
VALENZA – Dopo il 4 novembre 1918, ai reduci che tornano dalla vita di trincea non si presentano prospettive interessanti: la fine della guerra lascia tutto insoluto, i problemi non da poco sono gli stessi degli gli anni precedenti e, anzi, si sono acutizzati, mostrando una più urgente esigenza di soluzione. Mentre quasi tutti sono diventati entusiasti superstiti della Grande Guerra, compresi i molti che l’avevano tenacemente avversata e i parecchi “prodi” imboscati, la vittoriosa Italia è povera, squassata in ogni sua componente economica e sociale e con un governo che non è in grado di superare i contrasti politici. I partiti non riescono a trovare forme possibili di collaborazione e in questo clima poco celestiale si afferma il Fascismo, creato da Mussolini nel 1919.
La situazione sociale di Valenza è la seguente: la borghesia agraria reazionaria si sente minacciata nel profitto e nella proprietà dalle rivendicazioni dei lavoratori; gli esercenti e i commercianti sono lesi nei loro interessi dallo sviluppo della cooperazione e dalla politica inutile e inconcludente dei cooperatori riformisti; gli impiegati, i professionisti e gli insegnanti sono oltraggiati nei loro animi di ex combattenti e di italiani da una politica che fa apparire i socialisti come disgregatori del sentimento patriottico; i contadini che hanno subito vessazioni inique non accettano la socializzazione della terra. Tutto questo fa sì che molti si uniscano ai fasci di combattimento e si muovano alla riscossa.
Nel novembre del 1919, diversi gruppi politici si affrontano nella nuova consultazione elettorale col sistema proporzionale. Tra questi c’è il nuovo Partito Popolare, appena fondato da Luigi Sturzo dopo anni d’astensionismo. Valenza ha già la propria sezione, denominata spregiativamente sede del “PiPi” dai socialisti, e il suo giornale, Corriere del Collegio di Valenza, sorto già nel 1915 e chiamato dagli oppositori il “Corriere dei preti”. Ma nella Circoscrizione elettorale alessandrina la radice laico-socialista non viene meno e, anzi, è un successo: ci sono ben sei eletti, tra cui l’orafo valenzano segretario della Camera del Lavoro di Alessandria Paolo De Michelis e il sindacalista socialista contadino valenzano Francesco Tassinari. A Valenza i socialisti ottengono il 67%, i popolari il 9%, i liberali il 12% e gli agrari l’8%. Sconfitti e attoniti, gli ormai sterili liberali valenzani sono allo sbando e al bersaglio dei “rossi” ora ci sono i “pipilari”, amici dei preti e perciò nuovi nemici.
Intanto, i comizi fascisti si susseguono e una certa parte della popolazione, dapprima indifferente, si incuriosisce sempre di più ad essi. Presentandosi come difensori della patria e come restauratori dell’ordine in difesa della proprietà, i fascisti attirano soprattutto coloro che sono stati lesi nei loro interessi dalle rivendicazioni dei lavoratori dopo la fine del conflitto.
Il 22 maggio 1920 è inaugurata la Casa del Popolo. Valenza è ancora nelle mani del Partito Socialista, che conta due deputati locali, ha il factotum della Camera del Lavoro Vittorio Berge e ha Alessandro Morosetti come segretario. Alle elezioni comunali del 26 settembre 1920, sono eletti tutti i 24 candidati della lista: Oliva viene confermato sindaco, ma dopo poco tempo si dimette e viene sostituito da Giuseppe Marchese. Negli ultimi mesi del 1920, nel territorio comunale, cominciano i primi scontri tra fascisti e socialisti, scontri in cui si intrecciano frizioni politiche, antipatie personali, mistificazioni e, soprattutto, imperizia.
A dicembre la sezione socialista locale, dopo di due animate assemblee, definisce l’indirizzo per il XVII congresso nazionale del partito, che si tiene a Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921 e in cui ha luogo la scissione e la nascita del Partito Comunista d’Italia. Nel diffuso fermento generale, quasi tutti i vecchi iscritti sono per i riformisti di Turati e Treves, mentre un’esigua minoranza sostiene le tesi di Gramsci e Bordiga; comunque alla votazione si approva l’indirizzo massimalista unitario della mozione Serrati-Baratono.
Poi, il 28 gennaio 1921, si tiene un’altra affollatissima assemblea generale dei socialisti valenzani per ascoltare la relazione dei rappresentanti reduci dal Congresso di Livorno, Barge e Sacchi. Quasi tutti i vecchi iscritti sono per i riformisti, mentre un’esigua minoranza che sostiene le tesi scissioniste si distacca dalla casa madre e fonda la nuova sezione comunista locale. Nel luglio del 1921, con molto effetto scenico, viene ufficialmente costituito il Fascio di combattimento valenzano, che prelude al cataclisma e a una nuova e lunga stagione di odio. Il segretario politico è Paolo Mantelli e il presidente l’ex liberale Giovanni Merlani.
Mentre i fascisti si moltiplicano, i socialisti valenzani, con torve ironie, guardano dall’alto verso il basso gli avversari e i nuovi compagni comunisti, in virtù di un primato che esiste solo nelle loro menti, più genetico che politico. Nel mentre l’agitazione rivoluzionaria, ardente e inutile dei massimalisti e dei comunisti, spinge sempre più a destra gran parte della borghesia e del mondo contadino valenzano, impaurito dalle minacce rivoltose, e accresce il sentimento generale di incertezza sul futuro.
A Sartirana, in occasione dello sciopero generale del 20 marzo 1921, per dare una ripassata ai lavoratori turbolenti, squadre d’azione del casalese (Casale è forse la città più fascista di tutta la provincia) e valenzani pianificano una scorreria antisciopero, scatenando violenti scontri, il vero obiettivo di chi guida e fomenta il combattimento).
Tra i vari contusi c’è lo squadrista Carletto Spagna, che viene condotto con un autocarro all’ospedale di Valenza dove muore due giorni dopo, si dice dissanguato. A quel punto nulla lascia presagire qualcosa di buono. Mentre il dolore e la rabbia si diffondono tra gli squadristi locali, nel locale vicino all’ospedale valenzano in via Pellizzari i compagni socialcomunisti organizzano una veglia danzante quasi per festeggiare la morte del fascista, un atto che fa ribollire ancor di più il calderone della collera. Se la festa vuole essere una provocazione, essa consegue il suo scopo in pieno, ma la reazione è di gran lunga maggiore delle aspettative. Gli esaltati squadristi si precipitano nel locale con ira funesta, sfasciano tutto e malmenano duramente i presenti. La tensione a Valenza sale ancora di più. Tra i gruppi che partecipano all’assalto ci sono anche esponenti fascisti di Bosco Marengo e, tra questi, Vincenzo Alferano, che per tali ragioni sarà molto odiato quando verrà in città per collaborare alla creazione del Fascio di Combattimento locale, inaugurato il 24 luglio 1921 e intitolato a lui ormai scomparso. Vincenzo detto “Cenzo”, nasce a Frugarolo il 16 aprile 1899. A a soli 17 anni si arruola volontario e parte per il fronte. Durante il Biennio Rosso è tra i primi ad aderire ai Fasci Italiani di Combattimento dell’alessandrino, entrando poi nelle squadre d’azione.
Dato che Valenza è una città ampiamente rossa e l’inferiorità numerica dei militanti fascisti è schiacciante – poche persone si dichiarano esplicitamente tali indossando la camicia nera in pubblico – per dar loro man forte e permettere l’apertura del Fascio di Combattimento, da Alessandria vengono inviati alcuni camerati di provata fede, tutti pronti a ingaggiare scontri con gli avversari politici locali. Tra questi attivisti fascisti c’è il giovane e sanguigno Alferano, che arriva in città il 5 aprile 1921.
L’uomo che si distingue per il suo protagonismo e il suo spirito combattivo, è solito sfidare i rossi camminando baldanzoso, solo o in compagnia di pochi camerati, per la Cuntra Granda, cioè corso Garibaldi, indossando un grande e vistoso cappello a falde larghe, nero come la camicia. Sta a tutti sulle scatole. Dopo vari tafferugli e un generale innalzamento del livello di scontro, con avvisaglie dei nuovi metodi, durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 15 maggio 1921 – i socialisti trionfano con 1.494 voti contro i 692 del Blocco, 256 dei comunisti e 251 dei i popolari – si giunge alla tragica notte dell’imboscata. In compagnia dei valenzani Ferraris e Facelli, degli alessandrini Mantelli e Gorgoglini e altri, per un totale di 7 persone fasciste, Alferano inizia il solito giro notturno di perlustrazione della città. Sono le ore 22 dell’8 giugno 1921, è una mite notte d’inizio estate, quieta e silenziosa, ma, mentre il gruppo percorre viale Vicenza, Circonvallazione Est dei tempi, giunto nei pressi dell’ex Centrale del latte, vicino alla sede del circolo comunista in via Magenta, il destino del giovane si compie: parte una scarica di colpi, a cui i fascisti rispondono dando origine a una breve sparatoria nel buio. L’audace squadrista ventiduenne, già ferito in azioni precedenti, cade colpito al cuore, forse da due colpi di fucile da caccia. Nell’attentato è coinvolto anche il segretario del Fascio locale Mantelli, ferito a una gamba. L’omicidio si verifica nella fase più acuta della lotta che i fascisti e i nazionalisti combattono contro socialisti, anarchici e comunisti e segna quasi l’inizio dell’affermazione del partito di Mussolini.
Le circostanze dell’omicidio Alferano resteranno misteriose anche dopo tre processi e molti arresti. Dopo l’avvenimento, i camerati non si lasciano sfuggire l’occasione e si scatena la violenta reazione delle squadracce fasciste che giungono in città dai paesi vicini, con bastonature, ferimenti e olio di ricino. Il Circolo Comunista e la Camera del Lavoro sono incendiati e quasi distrutti. Anche i consiglieri comunali socialisti subiscono violenze, e, dopo pochi giorni l’11 giugno 1921 il sindaco e la giunta danno le dimissioni, motivando la decisione con le violenze e le minacce avvenute contro di loro: un ulteriore passo verso lo scontro sociale. Il Prefetto nomina alla guida del Comune il commissario Pietro Farina, funzionario dell’amministrazione provinciale.
Di lì a poco, Il glorioso giornale socialista valenzano La Scure, ormai poco ricercato nelle edicole, cessa le pubblicazioni e il 10 luglio 1921, a consacrare il passaggio alla nuova era, viene pubblicato il primo numero del settimanale locale fascista La Mazza. Viene diretto per un certo tempo da Aldo Marchese, segretario provinciale del Partito Fascista nel 1926, e redatto dal segretario politico locale e giornalista Mario Alberto Tuninetti, l’idealtipo dell’italiano del ventennio che diventerà vicefederale di Alessandria e direttore de Il Piccolo durante la repubblica di Salò. Il fratello Dante Maria Tuninetti, un altro valenzano, sarà molto più importante di lui, rivestendo molte cariche prestigiose durante il regime, come quella di Federale di Torino, Trento, Bengasi e Tripoli, Prefetto di Novara e Pavia e direttore di molti giornali.
Dopo circa un anno di commissariamento, il 18 giugno 1922 si svolgono di nuovo le elezioni amministrative comunali. La sensazione generale è quella di partecipare non a una competizione, ma a un funerale: i socialisti e i comunisti non sono in condizione di presentare una loro lista; i popolari, minacciati più volte, sono costretti a escludersi dalla competizione; è presentata, invece, la lista del Blocco (fascisti e liberali) e una lista strumentale d’ex combattenti senza possibilità d’effetto, appoggiata dallo stesso Blocco. L’affluenza alle urne è scarsa: è superato di poco il 50%. Viene eletto sindaco Luigi Vaccari, ex sindaco liberale-agrario dal 1905 al 1910, che si segnalerà come importante esponente della corrente agraria del fascismo. Gli assessori effettivi della nuova giunta comunale di Valenza sono Massimo Barbero, Edoardo Mazza, Livio Ratti, Mario Soave, che più avanti sarà podestà, e gli assessori supplenti Giovanni Rolandi e Luigi Garavelli. Non sono tutti fascisti.
Quando Mussolini abolisce tutte le amministrazioni locali elettive, aumentando il potere dei prefetti e istituendo il podestà in tutti i comuni del Regno d’Italia, Luigi Vaccari diventa il primo podestà di Valenza. Nominato con un decreto reale, egli cumula le funzioni attribuite precedentemente al sindaco, alla giunta e al consiglio comunale, concentrando su di sé l’autorità secondo la concezione fascista dello Stato. Viene istituita anche la consulta municipale, organo dell’amministrazione comunale che ha funzioni esclusivamente consultive, in quanto solo il podestà può deliberare, con accenti da re Sole.
Oltre ai socialisti e ai comunisti, tra gli avversari presi di mira dai fascisti valenzani ci sono i popolari, i seguaci del Partito Popolare Italiano di don Sturzo, quelli che, obbedendo alla loro coscienza morale, civile e religiosa, piuttosto che a certe direttive pastorali, non si piegano al regime intollerante. Tra i primi popolari valenzani spiccano Pietro Staurino, l’esponente più significativo del cattolicesimo impegnato, Carlo Barberis, Giuseppe Manfredi, Luigi Manfredi, Luigi Lombardi, Giuseppe Bonelli, Giuseppe Colombo e Luigi Venanzio Vaggi. La figura locale più rilevante, però, è il parroco Giuseppe Pagella.
Il più celebre calciatore valenzano di tutti i tempi, Clemente Morando, è il portiere della nazionale italiana in tre prestigiosi incontri internazionali terminati alla pari: contro la Svizzera (6-11-1921), l’Austria (15-1-1922) e la Cecoslovacchia (26-2-1922).
Nel 1923 a Valenza ci sono 64 aziende orafe con 376 operai, 40 tomaifici-calzaturifici con 863 operai, 1 filanda (F.lli Ceriana) con 147 operai, 2 fornaci, 4 sarti, 5 panetterie, 3 alberghi e 2 banche locali.
Nelle elezioni politiche del 1924, preparate e vinte dal listone fascista che ottiene 374 rappresentanti alla Camera, anche a Valenza si verificano brogli, intimidazioni e interferenze, ma prevale lo stesso la lista massimalista, che ottiene 1.736 voti: 70 i voti comunisti e solo 106 voti fascisti che fanno venire il mal di testa ai camerati locali. Tra gli eletti nella Lista Nazionale c’è il valenzano Livio Pivano. Il vibrante atto d’accusa contro i metodi violenti tenuti durante queste elezioni costa la vita a Giacomo Matteotti.
Nel 1925 le fabbriche orafe censite ufficialmente sono 80 con 466 dipendenti. Ma nello stesso anno certe fonti riportano 1.376 lavoratori orafi – si presume in fabbriche, laboratori e a domicilio – e ben 195 luoghi di lavoro orafo. Tra il 1920 e il 1930, le ditte orafe aumentano in modo repentino fino ad arrivare a quasi 300 unità e a circa 2.000 occupati alla fine degli anni Venti, prima della crisi degli anni Trenta. Nella statistica industriale del 1925 a Valenza risultano 14 tomaifici con 202 addetti e 9 calzaturifici con 516 addetti.
Nel 1925-1926, con le leggi fascistissime, Mussolini inizia a costruire la dittatura: sono aboliti tutti i partiti all’infuori di quello fascista, sciolti i sindacati socialisti e cattolici e soppressa la libertà di stampa. A Valenza molti coraggiosi politici locali sono stanchi e se ne vanno, svaniscono come vecchi soldati, escono dalla scena in uno dei momenti più agitati. Tanti s’imbarcano giulivamente sul nuovo treno. I socialisti e i comunisti vedono travolta la loro ideologia e non sono in grado di superare le rigidità e le asprezze dei tempi.
Quella valenzana è una destra conservatrice, sociale e nazionale, con un autorevole legame con la tradizione. I giovani fascisti valenzani sono inquadrati in apposite organizzazioni con struggenti messe in scena pubbliche e con performance plateali: inizialmente nell’A.G.F. (Avanguardia Giovanile Fascista), dall’aprile 1926 nell’O.N.B. (Opera Nazionale Balilla) e poi, dall’ottobre 1937, nella G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio). Nelle organizzazioni giovanili ci sono diversi gradi in base all’età: il primo è il Figlio della Lupa, poi ci sono il Balilla, l’Avanguardista e il Giovane fascista. Nel campo femminile la divisione è tra Piccole italiane e Giovani italiane.
Dopo il consolidamento del regime fascista, ottenuto soprattutto con le leggi eccezionali del 1926, viene modificata anche la legge elettorale politica e gli elettori hanno solo la facoltà di approvare o respingere in blocco una lista unica nazionale proposta dal Gran Consiglio del Fascismo.
Il plebiscito del 24 marzo 1929 è esagitato, preceduto come è da una imponente campagna propagandistica a senso unico fatta di discorsi vibranti, alla quale cooperano non solo le organizzazioni del Partito Nazionale Fascista di Valenza e i funzionari locali dello Stato, ma anche una buona parte della Chiesa locale, dopo che l’11 febbraio dello stesso anno si sono conclusi felicemente i Patti Lateranensi.
Il successo della votazione è scontato, ma per renderlo più plebiscitario si ricorre alle intimidazioni e al trucco. All’elettore sono consegnate due schede, recanti il simbolo del fascio: in una è stampata la risposta “sì” e nell’altra la risposta “no” alla domanda “Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo?”. A Valenza gli oppositori sostengono che gli scrutatori, tutti fascisti o filofascisti, nel predisporre le schede abbiano apposto il timbro in modo differente: le schede col sì sono state timbrate esattamente in corrispondenza del cerchio a stampa, quelle recanti il no con il timbro lievemente decentrato, in modo che, quando viene riconsegnata la scheda votata, i membri del seggio possono scoprire come ha votato l’elettore osservando il timbro. Vera o falsa la narrazione, si dice che all’uscita, poi, alcune camicie nere abbiano preteso con arroganza di vedere la scheda rimasta in mano all’elettore valenzano.
Il 16 gennaio 1928 il Prefetto di Alessandria scioglie le federazioni del PSI e del PC. Luigi Vaccari diventa podestà ad Alessandria e Mario Soave è nominato podestà di Valenza.
Nel 1929, sotto la spinta del regime fascista, vengono fatte moltissime aggregazioni comunali e il Comune di Villabella passa sotto l’amministrazione di Valenza diventando una sua frazione. Gli ultimi atti saranno trasferiti al Comune di Valenza nel 1938.
In questi anni a Valenza ha circa 11mila abitanti e il reddito pro-capite e il tenore di vita non sono male per i tempi. Girano poche auto e qualche moto; il mezzo di trasporto più usato, anche da alcuni viaggiatori orafi, è la bicicletta. Tramonta il mondo tradizionale: le donne scoprono il rossetto, lo smalto, le calze di seta, la gonna al ginocchio e si pettinano alla Greta Garbo. Non hanno pari opportunità rispetto agli uomini, ma non sembra dispiacergli tanto. Come in tutto il Paese, anche qui, funziona una propaganda volta ad esaltare il Duce, scambiando lo Stato con una retorica ridicola, il pensiero unico pervade il sistema di comunicazione. I vicini invidiosi cominciano a insinuare della boria e dell’albagia dei parvenu valenzani: durerà sino ai nostri giorni.
I lavoratori italiani sono divisi in questo modo: circa 1/3 nell’agricoltura, 1/3 nell’industria ed 1/3 nel terziario. A Valenza abbiamo 1/4 nell’agricoltura, 2/4 nell’industria e 1/4 nel terziario. In questi tempi esiste già un’associazione orafa, una piccola rappresentanza che si riunisce in una stanza di via Roma.
Nel 1931 in tutto il Paese vengono chiuse le sedi dell’AC e anche a Valenza, con modi bruschi e nel totale spregio al diritto all’identità, il 30 maggio 1931 viene comandata la chiusura del Circolo Giovanile Cattolico Pio X nell’Oratorio al suo giovane presidente Luigi Deambroggi, costretto a chinare il capo in silenzio. Ma ormai per molti diventare fascisti non richiede alcuno sforzo morale e il piacere della maldicenza inebria diversi camerati; difficile, invece, è resistere. Al tempo stesso gli arresti, l’olio e gli agguati non impediscono ad alcuni valenzani di resistere. Molte delle energie annidate nella società civile si indirizzano verso l’impegno politico clandestino, ma tanti altri, pavidamente, si adeguano allo spirito del tempo. È evidente che il rispetto dei principi, la coerenza, la libertà e la democrazia abbiano valore solo quando non costano nulla, anche se ora nei cuori di molti vengono distrutte le emozioni e i valori in cui hanno sempre creduto.
Per alcuni di loro l’anima socialista perduta è stata sostituita da una più adatta ai tempi di lotta, quella comunista. Questi sono molti attivi nel sostegno alla stampa antagonista al regime e spesso alla stazione ferroviaria di Valenza avvengono scontri e scazzottate per l’illegale distruzione dei giornali Ordine Nuovo, Giustizia e Avanti. I locali pubblici di riferimento sono il Garibaldi e La Botte, mentre la borghesia va al Caffè Teatro. Pur senza azioni eclatanti, con contraddizioni che si rifletteranno sul dopoguerra, credenze utopistiche e passioni rivoluzionarie, questo è un gruppo attivo ed eterogeneo, fatto di idealisti e combattenti che coniugano il rigore morale all’idea politica, in una città in cui, in contrasto con il resto del Paese, il benessere è diffuso grazie al significativo sviluppo industriale. Fanno parte di questo gruppo antifascista nostrano eterogeneo e attivo, variegato di coloriture politiche diverse, fatto di idealisti e combattenti che si confrontano nei bar e nelle baracche del Po, Aviotti, Bellone, Casolati, Corona, Dabene, Ferraris, Genzone, Guidi, Rigoni, Sforzini, Vaccario, Vaiarelli, Visconti e altri. Spiccano per il proficuo dialogo con gli antifascisti lontani dalla fede i combattivi popolari cattolici Allaria, Manfredi, Rulla e Stanchi, ma è anche presente una diffidenza diffusa.
Tra i valenzani, però, tanti soffrono di esternazione fascista tardiva e non pochi sono quelli convinti di collaborare a una rivoluzione mussoliniana vera per realizzare lo stato laico-liberale. I fascisti di Valenza sono piccoli imprenditori, commercianti o contadini che si sono sentiti minacciati in quello che più amavano o desideravano e che hanno visto nel fascismo un freno al disordine pubblico, ai partiti della sinistra e alla rivoluzione rosso fuoco. Vari hanno aderito solo per convenienza e alcuni sono personaggi ambiziosi, che aspirano alle cariche pubbliche e di potere, che sovente si atteggeranno a paladini dell’onestà e della giustizia senza averne il minimo requisito.
Tra gli aderenti ci sono anche persone oneste spinte da motivazioni ideali di tutto rispetto e che quindi non hanno nulla di abietto, hanno forse scelto il carro sbagliato ma a volte capita. È un miscuglio di elementi contradditori, oggigiorno qualche insofferente pensa ancora che il fascista del tempo coincidesse unicamente a un tizio con camicia nera, stivaloni e armato fino ai denti, mentre erano fascisti anche persone oneste e personaggi singolari, dalla personalità spiccata pieni d’inventiva. Alcuni pagheranno questa professione d’idee sulla propria pelle, perché faranno del male solo a se stessi. Le vendette personali, le fazioni, i rancori di lunga data e le accuse reciproche saranno costanti.
Dopo la forte tassazione sui beni voluttuari quali l’oreficeria, l’acquisto dell’oro solo dall’estero e il grande crollo del 1930, gli operai orafi valenzani non hanno più un lavoro garantito tutto l’anno e diverse aziende, caricate d’angosce o in una mera posizione di difesa, sono costrette a chiudere e altre si rivolgono al commercio dei preziosi accompagnate da neri presagi. Aumentano, però, i lavoratori orafi a domicilio: sono gli ex operai che i licenziamenti hanno lasciato senza lavoro e che cercano nell’esercizio autonomo dell’attività i mezzi per vivere. Mentre il numero dei cosiddetti artigiani senza dipendenti cresce, le attività di struttura più elevata si riducono. L’industria locale della calzatura, invece, non ha cali e, anzi, nel periodo 1931-1935, le cose vanno ancora meglio grazie alle commesse militari in preparazione alla guerra d’Etiopia.
Nel 1931 è costruita la sede della Società Canottieri Valenza, realizzata da Ettore Pavese. Nel 1932 il maestro Enrico Viola ascrive la nuova banda cittadina all’Associazione Combattenti, della quale è presidente. Si chiama Banda Musicale dell’OND (Opera Nazionale Dopolavoro) Combattenti ed è diretta dal maestro Pagella. Essa svolgerà un’intensa attività, prendendo parte a momenti istituzionali, incontri musicali, cerimonie religiose e appuntamenti popolari, e compirà un’efficace azione di diffusione e di educazione musicale, finalizzata anche a favorire l’aggregazione giovanile attraverso la melodia. Ne faranno parte valenzani giovanissimi, che poi diventeranno personaggi di rilievo della città, quali Silvio Visentini, futura tromba della celebre orchestra Angelini, Lino Garavelli, affermato pianista, Duilio Camurati, Saverio Cavalli e Arno Carnevale. La banda debutta il 21 aprile 1933 per il “Natale di Roma – Festa del lavoro”, una ricorrenza nazionale istituita dal fascismo; in questa occasione vengono eseguite alcune marce e due rilevanti inni nazionali dell’epoca, la Marcia reale d’ordinanza (non l’ha inventata il Duce) e Giovinezza. La divisa estiva di questi adolescenti musicanti valenzani è costituita da maglietta azzurra, berretto e pantaloni bianchi; un certo indottrinamento e l’amor patrio sono rivendicati come necessari.
L’acqua della fonte di Monte è gratuita (quasi come dovere morale) e gode di un’ampia credibilità terapeutica. Il parco con le fonti, attorniato fuori da piazzisti e bancarelle, è meta delle scampagnate domenicali dei valenzani e altri, un’occasione di gioia e di spensieratezza e per alcuni quasi un dovere sociale ricreativo e salutare; il treno fa una comoda fermata a due passi dal luogo. A Ferragosto la festa dura dieci giorni, tradizione che continua anche nel nei primi anni del secondo dopoguerra.
Nell’anno scolastico 1932-1933 alle elementari ci sono 754 alunni, 402 maschi e 352 femmine, e nell’Asilo Pellizzari circa 120 bambini. Le scuole maschili sono collocate nell’edificio di via Carducci, ex convento di San Domenico, e quelle femminili in via Pastrengo, ex convento dell’Annunziata.
Nel 1935 l’Opera Pia Pellizzari aderisce alla richiesta del podestà Grassi di concedere gratuitamente alcuni locali adiacenti l’asilo all’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia per la realizzazione di un nido d’infanzia gestito dalle Suore del Piccolo Ricovero per l’O.M.N.I. che viene inaugurato nel 1936.
L’autorevole parroco Mons. Giovanni Grassi e il capace presidente Anselmo Ceva sono gli artefici della gestione che ottiene importanti benefici dal Comune e da generosi privati (Melchiorre, Marchese, Pavese, Raiteri, Ceva, Meregaglia e Lenti). Vengono costituiti i primi campi da tennis e la Colonia Elioterapica Estiva si trasferisce dal fiume Po al campo sportivo.
Funzionano, ormai con il sonoro, il cinema Politeama Gervaso, quello estivo Mazzini e il Teatro Sociale, esteso a celebri rappresentazioni dal vivo. Il mese di luglio, con la festa patronale di San Giacomo, è un periodo di abbondanti giochi, divertimenti, transazioni ed esposizioni agricole, con un vero campionario di baracconi e bancarelle, anche se le sanzioni economiche imposte all’Italia, dalla Società delle Nazioni il 18 novembre 1935 per l’aggressione all’Etiopia, applicate con cautela e molti compromessi dalle altre nazioni, causano qualche ristrettezza per alcuni generi di consumo e pure per i gioielli.
Anche le elezioni del 1934 diventano una votazione unanime per il regime, ridotte come sono a una farsa, se non a una tragedia: a Valenza i no totali sono ben 7, individuati anche grazie alla trasparenza della busta in cui gli elettori devono inserire la scheda votata (sì o no alla lista proposta) e che li fa diventare soggetti quasi disposti al martirio, come gli apostoli. I camerati e il segretario del fascio locale Mario Alberto Tuninetti, si danno un premio di consolazione affermando che Valenza è fascista. Sono balle, sprezzanti del ridicolo, perché Valenza è sempre lì, ferma, speranzosa di salvare quello che ha, genuflessa al potere, non troppo spaventata e anche un po’ indifferente.
Un ruolo significativo nell’ambito della costruzione del consenso viene svolto dalle cerimonie pubbliche che si tengono in varie circostanze, in cui sono mobilitati sempre gli studenti, il cui ruolo, nelle intenzioni del regime, è essenziale per la costruzione dei nuovi italiani.
Nel 1935 Mussolini proclama la guerra d’Etiopia, che si svolge tra il 3 ottobre 1935 e il 5 maggio 1936. I valenzani sono circa 12.000 e vivono per la maggior parte lontani dalle baruffe ideologiche. Sembra che non ci sia altra canzone che Faccetta nera. Varie famiglie possiedono la grossa radio che costa circa 1.200 lire. Un kg di pane costa 1,35 lire, uno di carne 6, un litro di latte 0,90 e uno di olio 6,70. Un buon orafo guadagna 1000 lire al mese. Il nostro concittadino Osvaldo Della Latta, nato nel 1914 e detto “Ratò”, partecipa al Giro d’Italia; è tra i principali corridori valenzani di tutti i tempi.
Il Duce disegna l’Italia proletaria vittima delle potenze europee demopluto-giudaiche e lancia l’appello per l’oro alla patria, che spinge molti valenzani a consegnare la fede nuziale sostituendola con un’altra d’acciaio. Dopo aver conquistato l’Etiopia, guerra che sacrifica 4 vite valenzane, il Duce fonda l’Impero. Il commissario prefettizio Rodolfo Saporiti subentra al podestà E. Pagella. Il 20 settembre 1936, con una grande festa dionisiaca, viene inaugurato il mercato coperto. L’area scelta è un’antica piazza semi-incolta di proprietà comunale in pieno centro, tra via Lega Lombarda e via Cairoli, in cui viene edificato un fabbricato in cemento armato di circa 1600 metri quadrati dalle vetrate ampie e luminose.
Con la crescita del consenso e il sempre maggiore avvicinamento al fascismo di tutte le forze sociali valenzane, si accentua la tendenza ad accogliere altri aspiranti nelle file del fascio, anche se i vecchi fascisti dalla mentalità deformata, In modo strisciante e con poca lucidità, sono contrari all’affluenza di nuovi camerati di formazione liberale o cattolica. Dunque non proprio una testimonianza di larga concordia.
Ma presto sopraggiungono accordi internazionali, provvedimenti persecutori vergognosi e nuove suggestioni e molti valenzani sono incapaci di distinguere le verità dalle bugie. Nel 1937 la tessera del partito diventa obbligatoria per ricoprire qualsiasi incarico pubblico; tutto ormai rappresenta un’incognita e un capovolgersi delle fortune dei governanti mussoliniani.
Infine, dopo l’esaltazione dell’impero, arriva la catastrofe della guerra. Non ci sono più argini alla deriva, non è facile trovare nomi provenienti dallo squadrismo o con una reale militanza di partito per le cariche locali, i margini di manovra per il nobilitato tradizionale logorato dal governismo si assottigliano e qualcuno abbassa la cresta. Nel mentre le competenze del Comune, condotto da commissari prefettizi o straordinari, accerchiati e impegnati a difendersi in qualche modo, si estendono e ci sono molte sovrapposizioni di compiti con gli altri enti locali e istituzionali che rendono ancora più visibili le incoerenze, anche con narrazioni false e fuorvianti tra il nervosismo delle gerarchie, e basta prevedere il peggio per essere buoni profeti.
Nel novembre del 1940, già immersi nella guerra e con un consenso in forte calo, si svolge l’imponente inaugurazione delle scuole “Costanzo Ciano”, alla presenza del ministro dell’educazione nazionale Giuseppe Bottai. L’opera è costata 4 milioni. L’edificio contiene le scuole elementari con 698 alunni, l’avviamento professionale con 120 alunni, la scuola artigiana serale con 132 allievi e i rifugi antiaerei con una capacità di 1.200 persone.
La Seconda Guerra Mondiale è scoppiata nel 1939 con le inevitabili e tragiche conseguenze. Il 10 giugno 1940 l’Italia, con una vera follia, entra in guerra accanto alla Germania nazista e, agli inizi del 1943, comincia a delinearsi la sconfitta. Il potere inossidabile arrugginisce, la popolazione valenzana è stanca della guerra, del fascismo e più che un funerale sembra una liberazione. Della patria e dei suoi passionali valori non importa più nulla a nessuno. Poi, nel 1943, si sente palesemente che l’era dittatoriale fascista è finita. Il clima è caotico e spaventoso. Arrivano l’armistizio, Radio Londra, i partigiani, i rastrellamenti e, infine, la liberazione. Con la speranza che quello che è successo non si possa ripetere in futuro.
Tra forti contrapposizioni e un miscuglio di elementi contraddittori, sono dirigenti fascisti durante il ventennio Abbiati, Annaratone, Biglieri, Ferraris, Mezzadri, Vaccari, Zacchetti e diversi altri. Sono podestà Luigi Vaccari, Mario Soave, Eugenio Grassi, Anselmo Ceva, E. Pagella, Rodolfo Saporiti (C.P.), Luigi Vaccari, Aldo Zacchetti. Sono Commissari Straordinari e Prefettizi durante la guerra Eugenio Grassi (C.P. nel 1939), Luigi Vaccari (C.P. nel 1939- 1940), Massimino D’Alessio (C.P. nel 1940 e nel 1944), Carlo Illario (C.P. dal 1941 al 1943), Edoardo Pantano (C.S. nel 1944), Alfredo Berardinelli (C.S. nel 1944) e Carlo Vaccari (C.S. nel 1944-1945).
È quello che pensavamo e quello che eravamo. Shakespeare diceva che il peggio per la società è quando “un popolo di ciechi viene guidato da un manipolo di folli”.