La cognizione del dolore: “The Whale”
«Hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare?»
(Charlie, “The Whale”)
Sembra che il regista statunitense Darren Aronofsky abbia sviluppato nella quasi totalità dei suoi film (da “Requiem for a Dream”, 2000, a “The Wrestler”, 2008; e ancora, da “Il cigno nero”, 2010, a “Madre!”, 2017), una reiterata ossessione non solo per la corporeità declinata il più delle volte nei suoi aspetti sadomasochistici, bassamente carnali, disordinatamente scomposti o grotteschi, ma anche un’attenzione ai limiti del maniacale per i rapporti genitori-figli, anche questi ultimi spesso all’insegna del paradosso, della perversione o di una conflittualità esasperata.
In “The Whale” – come già in “The Wrestler” – Aronofsky lavora sulla fisicità dei suoi attori, piegandola e distorcendola ai fini della narrazione, così da cambiare letteralmente i connotati al loro volto divistico: Brendan Fraser, dunque, appena premiato con l’Oscar per la sua interpretazione di Charlie, ex insegnante di letteratura appesantito e stanco, come il Michey Rourke che si cuce addosso la maschera dolorosa e irriconoscibile di Robin Ramzinski, ex campione di wrestling cardiopatico e senza più futuro.
Entrambi questi personaggi si ritrovano a fare i conti con una paternità complicata, respinti dalle proprie figlie (Ellie/Sadie Sink in “The Whale”, Stephanie/Evan Rachel Wood in “The Wrestler”) dopo averle abbandonate.
Entrambi i film raccontano, al di là della trama principale, anche il doloroso e improbabile tentativo di riconquista dei figli da parte di padri devastati, assenti, in crisi.
Tratto dal dramma teatrale di Sam Hunter, “The Whale”, girato in formato 4:3 per rendere il senso di costrizione e di soffocamento di un uomo di quasi 300 kg che si lascia lentamente morire per depressione e senso di colpa, recluso in casa propria, ha richiesto una decina d’anni di casting per trovare l’interprete adatto: «Quando otto anni fa ho visto lo spettacolo di Sam Hunter, mi sono meravigliato della profondità dei suoi personaggi, soprattutto di Charlie, e mi è venuta l’ispirazione di usare il grande schermo per mettere il pubblico nei panni di Charlie, per immergermi nei suoi pensieri più profondi, nei suoi rimpianti e nelle sue speranze. Ma dove avrei trovato il mio Charlie?
Avevo bisogno di un grande talento che potesse risplendere attraverso il trucco, un attore con un cuore immenso e un’anima pura. Non appena incontrai Brendan, capii immediatamente che avevo trovato il mio protagonista. In lui vi è qualcosa di ineffabile che dà vita al personaggio e ci trasporta – mente e cuore – in ciò che avrebbe potuto essere inconoscibile», ha raccontato Aronofsky.
Fraser – tornato al cinema dopo anni difficili sia sul piano privato che professionale – è realmente efficace in un ruolo impegnativo, che limita al massimo i movimenti del corpo, gravato da protesi piuttosto ingombranti: la sua recitazione punta sulla mimica del volto, sulle variazioni d’espressione dello sguardo, quello mite, rassegnato e contrito di un uomo che ha pagata cara una scelta amorosa radicale e si lascia consumare dal rimorso, annichilito dalla personale cognizione del dolore.
Efficace il riferimento letterario, che già a partire dal titolo evoca per analogia e l’imponente figura della balena di melvilliana memoria, e, per traslato, il corpo obeso di Charlie; mentre il ricordo di “Moby Dick” accompagna, scaturito da un tema di Ellie ragazzina, gli ultimi giorni di vita del padre e il suo finale ergersi maestoso e simbolico, come forma di riscatto da una vita degradata.
Del resto, la letteratura è presente in “The Whale” anche nella citazione del “Song of Myself” del poeta Walt Whitman, oggetto di una tesina assegnata alla stessa Ellie; così come la solitudine siderale che emana lo schermo del pc usato da Charlie per fare lezione on line, con quel riquadro buio corrispondente alla sua figura.
Nonostante qualche scivolone nel melodramma più insistito (vedi la storia di Liz, amica e infermiera di Charlie, sorella del suo amore perduto Alan; e quella di Thomas, giovane pseudo missionario di una setta religiosa che fortuitamente si trova a bussare alla sua porta mentre è preda di un grave attacco cardiaco), “The Whale” si configura come un’ottima prova, soprattutto d’attore, nella costruzione di un personaggio complesso e sfaccettato.
«Charlie è l’uomo più eroico che abbia mai interpretato», ha dichiarato Brendan Fraser. «Ha un superpotere: vede il bene nelle persone. “The Whale” racconta una storia drammatica, è vero, ma è soprattutto un inno alla diversità e al perdono».
«C’è del cinismo nella pellicola, ma è costantemente in lotta con la speranza di Charlie e la sua visione del mondo», ha sottolineato Aronofsky. «La frase “le persone sono davvero incapaci di non avere a cuore gli altri” è il motivo per cui ho fatto il film. Questo è il messaggio più importante da mettere nel mondo adesso. Tutti abbracciano il lato oscuro e il cinismo, ma quello di cui abbiamo bisogno di capire è che dobbiamo credere negli altri. Dobbiamo aggrapparci a questo».*
* Per le citazioni di Aronofsky e Fraser: www.greenme.it
“The Whale” (id.)
Origine: Stati Uniti, 2022, 117’
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Samuel D. Hunter
Fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Andrew Weisblum
Musica: Rob Simonsen
Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton, Sathya Sridharan, Jacey Sink, Wilhelm Schalaudek
Produzione: A24
Distribuzione: I Wonder Pictures