Ritratti di donna: “After Love”
«L’amore è donare quello che non si ha a qualcuno che non lo vuole»
(Jacques Lacan, Seminario VIII, 1960)
“After Love”, esordio nel lungometraggio del regista inglese di origini pakistane Aleem Khan (già autore di tre corti molto apprezzati), premiato con sei British Independent Film Awards, con quattro candidature ai BAFTA, è un film in cui il femminile si spoglia, si frantuma e poi ricompone, alla perenne ricerca di un ritrovato senso dell’identità e di un nuovo modo di stare nel mondo.
Mary (l’attrice inglese Joanna Scanlan, di un’eccezione intensità nella compostezza tutta britannica del suo personaggio) – Fatima per la famiglia musulmana che ha acquisito dopo essersi sposata, da giovane, con Ahmed (Nasser Memarzia) ed essersi convertita alla religione islamica – è, per una manciata di istanti all’inizio della storia, una donna sicura di sé, del marito e della propria vita.
Subito dopo, con un rovesciamento narrativo vertiginoso che la macchina da presa coglie collocandola, vestita interamente di bianco (per la cultura islamica il colore del lutto), al centro dell’inquadratura, seduta tra due parenti che stanno piangendo con lei la prematura morte di Ahmed, la condizione esistenziale di Mary si ribalta e, improvvisamente, la donna non sa più chi è, qual è stato il suo ruolo di anni all’interno della compagine domestica.
Ahmed se n’è andato in silenzio (la rarefazione dei dialoghi è parte integrante e significativa del film), lasciando dietro di sé, oltre al dolore, la memoria di una doppia vita (incarnata da Geneviève, un’altra donna che l’ha amato, e dal loro figlio Salomon) e parecchie situazioni irrisolte. La separazione tra le due vite è abissale e, nello stesso tempo, irrisoria: si concentra, in dimensione spaziale, nella distanza che separa Dover (dove Mary è vissuta con Ahmed) da Calais (dove Geneviève ha trascorso i suoi anni con Salomon e con le sporadiche manifestazioni di un compagno fantasma).
L’Inghilterra e la Francia separate appena da un lembo di mare, ma profondamente lontane per lingua, tradizioni, cultura, come l’incontro tra Mary e Geneviève attesta, con quell’ironico e doloroso fraintendimento legato al tradizionale abbigliamento delle donne musulmane che porta la seconda a scambiare la moglie del suo amante per la donna delle pulizie che deve aiutarla nel trasloco in una nuova casa.
Tutto sembra volersi sgretolare, sfaldare: l’immensa parete di scogliera, accecante nel suo nitore e nel suo crollo davanti allo sguardo esterrefatto di Mary; l’intonaco sul soffitto della vecchia casa di Geneviève, come amplificazioni tangibili del disordine di emozioni e sentimenti in cui sono scivolate le vite di entrambe.
E conoscere la verità spesso non si rivela né risolutivo né una panacea al dolore.
«Ho un rapporto molto personale con il paesaggio perché i miei nonni vivevamo a Dover e ho passato la mia infanzia su quelle scogliere scorgendo all’orizzonte Calais», racconta Aleem Khan.* «Sono nato in una famiglia numerosa e in vacanza andavamo proprio lì. Crescendo ho visto le due prospettive opposte dello stesso specchio d’acqua. Sono vicine eppure lontane, come sorelle che si guardano. Il crollo della scogliera visto da Mary è aperto ad interpretazione. […] Ho scritto il film durante la Brexit e la crisi dei rifugiati in Europa e tutte queste cose mi hanno fatto pensare al concetto di identità, nazionale e personale. […] Il film parla di come ci decostruiamo, degli strati differenti, dei sedimenti che ci rendono umani. Ogni tanto dobbiamo romperci per poter vedere la verità e la realtà delle situazioni».
Il regista spiega di essersi ispirato per il personaggio di Mary – figura centrale del film, tangibile eppure metaforica nella sua missione di elemento unificatore degli opposti, risolutore dei conflitti, anche interiori – a sua madre: «Abbiamo trascorso molto tempo lavorando insieme per sviluppare il personaggio. Io vengo dalla cultura e dal background di Fatima, a differenza di Joanna. Era importante che capisse quel mondo, così le ho dato molto materiale da leggere, fotografie, libri. Ha anche conosciuto mia madre che le ha insegnato a cucinare i piatti che si vedono nel film. È stata un’esperienza incredibile perché ha potuto assorbire tutto da mia madre che ha ispirato il personaggio. “After Love” non è un film autobiografico, ma il personaggio di Mary/Fatima è stato ispirato da lei».
Entro una pellicola disseminata di silenzi, atmosfere rarefatte, epifanie di un quotidiano diventato spinoso e quasi incomprensibile sia per Mary, sia per Solomon e Geneviève, la visione finale, quella panoramica amplissima che si spalanca sul’’abisso di granito della scogliera, è allo stesso tempo una riflessione vertiginosa su ciò che rimane dopo l’amore.
Il film è fruibile sulle principali piattaforme di streaming.
*Manuela Santacatterina, “Hot Corn”, 10/02/2022
“After Love” (id.)
Origine: Gran Bretagna, 2020, 89’
Regia: Aleem Khan
Sceneggiatura: Aleem Khan
Fotografia: Alexander Dynan
Montaggio: Gareth C. Scales
Musica: Chris Roe
Cast: Joanna Scanlan, Nasser Memarzia, Nathalie Richard, Seema Morar, Talid Ariss, David Hecter
Produzione: Natascha Wharton, Matthieu de Braconier, Vincent Gadelle, Gerardine O’Flynn, Gabrielle Dumon, Dylan Rees, Rose Garnett, Eva Yates
Distribuzione: Teodora Film