Gli statuti di Valenza del Trecento
Un nuovo approfondimento sulla storia della città
VALENZA – Nella società chiusa del Medioevo, gli statuti del Comune di Valenza (Contea di Pavia), che uniscono definitivamente la città al ducato milanese, fissano le norme legislative che regolano la vita collettiva, sia nell’ambito pubblico che privato. Essi sono stati approvati l’1 dicembre 1397 da Gian Galeazzo Visconti Signore di Milano, con Ottobono dei Salimbeni di Piacenza come podestà locale.
Dopo l’istituzione del ducato milanese nel 1395 e l’estensione dei poteri a tutti i domini viscontei nel 1396, gli statuti servono per giustificare, legittimare e definire la potenza ducale, nel fragile equilibrio diarchico tra i poteri del signore e l’autonomia della città, anche se gli interessi economici e geopolitici sono sempre stati difesi soprattutto con le armi.
Gli statuti valenzani regolavano la vita politica, amministrativa, commerciale, sociale e religiosa dei cittadini. Essi contengono un senso d’umanità e di forte concretezza e ci stupiscono per la loro chiarezza legislativa e la loro preveggenza; già allora, infatti, c’erano regole che ponevano limiti invalicabili all’arbitrio di chiunque. Gli statuti mettono in dubbio alcuni capisaldi della società feudale, proponendo più diritti e una maggiore giustizia per il popolo.
In alcuni punti appaiono più ponderati e lungimiranti dei loro tardi omologhi, a tratti sono costrutti fragili a causa di dettami che a volte fungono da sostegno e altre da ingombro nella vita di tutti i giorni, un difetto giunto fino ai tempi nostri in cui molte norme ci impediscono di capire non cosa sia un reato, ma cosa non sia.
All’epoca valevano più di un trattato sociologico, erano un intreccio di sacro e profano, considerati dalla chiesa e dal rigoroso pauperismo francescano locale un vangelo supplementare. In alcuni dei loro punti, l’ingegnosità e la malvagità si confondono. Sono anche un codice penale che prevede pene e punizioni per ogni tipo di crimine e di reato e contengono alcuni articoli che, pur ispirati a nobili ideali, saranno padri illegittimi di tanti scherzi futuri.
Seguono alcune norme e sanzioni comportamentali contenute negli statuti, esempi di dura lex, sed lex. L’evasore fiscale è posto in bando perpetuo dal Comune e dichiarato infame – la guerra è la motivazione più potente per chiedere denaro ai contribuenti. È proibito ai rivenditori di prendere il pane con le mani e gli si prescrive di far uso di una “virgeta”, cioè un bastoncino o paletta. Prima di iniziare una costruzione qualsiasi, ne si deve fare una regolare notifica al podestà o al giudice e questi ha l’obbligo di nominare una commissione di sei esperti, due per ogni terziere, con il compito di definire e delimitare ogni diritto reciproco. Sono comminate forti multe e pene ai consiglieri che disertano le assemblee del Consiglio Generale della Città ingiustificatamente. Sono multati coloro che gettano pietre contro persone o che tolgono il copricapo a qualcuno. Al rettore o al podestà è proibito sottoporre a tortura qualsiasi cittadino di Valenza, salvo che per alcuni reati gravissimi quali il tradimento, l’incendio e il ratto delle donne; se al ratto segue la violenza carnale, la punizione è la decapitazione sulla pubblica piazza. Il sequestro di persona è punito con una multa di 500 lire pavesi e con il risarcimento del danno al sequestrato, altrimenti il reo viene impiccato. Gli scippatori sono puniti con una multa e con il risarcimento del danno alla vittima nella misura del doppio, altrimenti viene loro tagliata la mano. Il piromane maschio è “sospeso per la gola finché muoia” e, se femmina, “posta al rogo finché muoia”. Al falso testimone è tagliata la mano, se non versa una multa sostanziosa. Ai notai e ad altri pubblici ufficiali che commettono il reato di falsità gli viene tagliata la mano e sono dichiarati infami in perpetuo.
Come si può notare, i ladrocini sono puniti con una certa severità; con loro si pensa, si decide e si agisce in fretta, ma spesso il furto é dovuto alla povertà della gente che ruba per continuare a vivere. Le pene, così, bastonano i più poveri. Molti, poi, spaventati e vessati crudelmente, non sanno nulla della legalità, poiché non sanno leggere gli ordinamenti che sono esposti al pubblico sulla porta del Comune come un sacramento laico.
Per quanto concerne la circolazione stradale – le strade, in terra battuta o inghiaiata, sono percorse a piedi, a cavallo e con carri trainati da animali – il podestà è tenuto a controllarle e a farle riparare e i proprietari a tenerle pulite per tutta la lunghezza della loro casa e per circa un metro di fronte. I conducenti di carri agricoli non possono circolare nelle vie della città stando seduti sul carro, ma devono seguire l’andare degli animali camminando con essi. È proibito portare in mano o in spalla carichi sporgenti quali pali, pertiche o legni, portare con sé armi o corpi contundenti di notte, uscire di casa senza un lume dopo il suono della campana grossa, divieto che esclude fornai, medici, barbieri, che sono anche chirurghi, o chi accorre o torna dallo spegnimento d’incendi o dal capezzale di un malato.
In questa società chiusa e autarchica, gli statuti di Valenza prevedono anche divieti d’esportazione di prodotti locali e divieti d’importazione da località che si trovano al di là delle mura cittadine o quasi; gli scambi per certe merci, dunque, sono circoscritti ai soli appartenenti alla cittadinanza locale.
Ci sono anche norme che riguardano il diritto privato e il diritto di famiglia, ma sono poche e snobbano le questioni sociali perché molto resta affidato alle consuetudini non scritte, agli accordi tra i privati e al diritto romano. Ad esempio ci sono alcuni aspetti che coinvolgono la dote e la trasmissione dei patrimoni familiari, che il Comune sente il bisogno di regolare.
Negli articoli dedicati alla gestione del Comune, si trovano diverse figure: il rettore o podestà, ufficiale proposto all’amministrazione della giustizia che regge le sorti del Comune; anziani o sapienti, uomini che affiancano il podestà in molte funzioni e facenti parte degli “illuminati”, secondo i quali coloro che non hanno le loro stesse idee sono inferiori; consiglio generale, composto da tutti i capi di casa, in conflitto sistematico; i notai, che redigono tutti gli strumenti, scritture, ecc.; gli archivisti, che provvedono alla stesura degli atti scritti; i clavari, tesorieri del Comune; il camerario, che maneggia il denaro pubblico ed esige i crediti; gli stimatori, che stimano cose e beni; i saltari, altre figure che operano con equilibrismo nel Comune; il custode del campanile, i custodi della riva del Po, il custode delle porte, il maestro di grammatica e i campari, preposti alla custodia dei fondi, dei fabbricati rurali e altro.
Rivendicando sempre più autonomia e autorevolezza politica, gli statuti comunali del 1397 e i connessi cambiamenti del periodo 1494-1496, a opera dell’Ordine dei Barni, del 1553, a opera di Lodovico Moresino, e del 1584-1586, a opera di Vincenzo Annibaldi, un alchimista della politica locale, e Oliviero Panizzone Sacco, approvati da tutti i capi famiglia e durati fino all’annessione sabauda, hanno rafforzato il Comune come istituzione. Essi costituiscono la più chiara testimonianza della lotta per il possesso condotta dell’amministrazione cittadina e sostenuta dal popolo valenzano per circa due secoli nel tentativo di modificare la condotta dei ceti abbienti, una supponente classe magnatizia ingessata in una dimensione unica, nell’ambito del governo locale.