Valenza e il Teatro Sociale
Uno dei luoghi simbolo della città del gioiello
VALENZA – La storia del Teatro Sociale di Valenza inizia in piena epoca risorgimentale, quando la città fa ancora parte del Regno di Sardegna, a cavallo dell’Unità d’Italia. Costruito in stile neoclassico, il teatro è collocato dove prima sorgeva la chiesa di San Francesco, una costruzione in stile gotico lombardo a tre navate, sorta a sua volta su un’antecedente chiesa romanica risalente al Trecento.
Il 5 settembre del 1842 il convento e la chiesa di San Francesco prendono fuoco e si salva solo una parte delle mura perimetrali, pare che vi fosse già stato un incendio nel 1834. Il complesso religioso occupava l’area dell’attuale piazza Verdi, adiacente a corso Garibaldi, la Contrà Granda, e la sua sagrestia e l’educandato corrispondevano all’attuale teatro.
Facente parte della Provincia Francescana di Genova, il convento aveva due chiostri porticati e un orto. Dopo la soppressione napoleonica degli ordini religiosi del 1802, i francesi adibiscono la chiesa a scuola, ma dopo la distruzione causata dall’incendio, la chiusura completa e l’allontanamento dei religiosi, il Comune accetta la proprietà e, facendo a una brutta figura, affitta i resti della chiesa come magazzino e quelli del convento come abitazione, aprendo una controversia con il Demanio, che contesta la proprietà comunale .
La causa si conclude nel 1847 con la cessione definitiva dell’immobile al Comune, che ha poche idee su che cosa fare e pure quelle sono confuse. Dopo alcune mire e richieste del Comune non andate a buon fine, la situazione s’ingarbuglia e non si riesce a trovare una soluzione. Infine, sette anni dopo l’incendio, il terreno e le relative rovine sono messi all’asta dal sindaco Alessandro Cassolo. Ma, purtroppo, l’incanto va a vuoto e questo scatena una polemica intestina e si comincia a riflettere sull’idea di dotare la città di un teatro, secondo i sentimenti del periodo. Sono tempi in cui si afferma la lirica e ogni città smania di possedere un teatro. Una bramosia venuta ragionevolmente a rivelarsi ormai anche a Valenza.
Pur con idee un po’ vaghe in materia, gli amministratori comunali si persuadono che l’apertura di un teatro possa essere un segno di adeguamento e di modernità per la città, utile anche alla crescita urbanistica dell’epoca, che sta avvenendo lungo la Contrada Maestra, Il teatro verrà considerato uno dei principali interventi di sviluppo dell’area centrale della città. Alla fine il Comune accetta di cedere l’area, a canone puramente nominale, a una costituenda associazione locale, la Società del Teatro, nata il 26 febbraio 1856 e con presidente facente funzioni Pietro Ceriana (1812-1883). L’associazione è composta dalle famiglie più abbienti della città, che sponsorizzano la costruzione del teatro cittadino soprattutto mediante la vendita dei palchi, un’iniziativa ammirevole per la sua temerarietà economica. Tra i politici qualcuno batte le mani e qualcuno storce il naso, ma il teatro, pur essendo in mano a una società privata, è considerato un servizio pubblico dall’amministrazione comunale, con una conseguente serie di vincoli e di obbligazioni, talune inapplicabili, più speculative che produttive. La sua gestione, però, sarà nelle mani della Società del Teatro, che accoglie i detentori dei palchi e che guiderà le scelte e i modi di agire in modo coattivo, piegando la realtà nella direzione voluta: un’imposizione “de facto”.
Il 23 Novembre 1856 Re Vittorio Emanuele II dichiara il nulla osta alla realizzazione, con un proprio decreto controfirmato da Urbano Rattazzi. Il regolamento del teatro viene approvato dall’assemblea dei soci palchettisti finanziatori e l’incarico per la direzione dei lavori è affidato all’ingegnere alessandrino Ernesto Clerico, che aveva già redatto un progetto nel 1853. I lavori cominciano nel 1857-1958 e il teatro è inaugurato nel 1861, a unità d’Italia compiuta. La tipologia della costruzione rispecchia quella tipica del teatro nostrano, dalla planimetria tripartita: una parte è riservata ai servizi, un’altra centrale è destinata agli spettatori e una terza al palcoscenico. A pianta ferro di cavallo, la sala comprende tre ordini di palchi. Gli ingressi sono rivolti verso l’attuale corso Garibaldi, con un atrio a colonne corinzie e il fronte laterale con un porticato ad archi. Lo stile delle decorazioni interne mostra contaminazioni neobarocche e neorococò. È annesso un ridotto con un salone per feste da ballo situato al piano nobile sopra l’atrio.
Quest’opera rientra nei disegni della borghesia industriale e commerciale locale che nel decennio pre-unitario s’impone nella città accanto alla tradizionale classe dei proprietari terrieri e in cui spiccano i nomi dei Menada, dei Terraggio, degli Abbiati, dei Trecate e dei Reverdy. È una classe sovrastante che darà dinamicità alla vita economica valenzana grazie ad investimenti ragguardevoli nell’oreficeria, nel tessile e nel calzaturiero.
Per alcuni anni la gestione è oggetto di dibattito e di contese tra la Società del Teatro, l’appaltatore e l’amministrazione comunale, che continua ad accampare diritti e franchigie sull’area. Nel frattempo gli spettacoli si susseguono e avvincono il pubblico. Sono ospitate periodiche rappresentazioni di opere teatrali e liriche, anche di un certo rilievo in rapporto al pubblico di un piccolo centro come Valenza. Si svolgono anche attività diverse, quali riunioni, banchi di beneficenza e balli di società.
Vent’anni dopo l’inaugurazione, nel biennio 1882-1883, il teatro è sottoposto al primo ciclo di restauri a cui seguono rigide prescrizioni prefettizie e un regolamento teatrale decretato dal sindaco Carlo Annibaldi Biscussi nel 1887, quindi nel 1908 viene dotato di un cinematografo che rappresenta una grande novità. Il Teatro Sociale riflette gli ideali e le ambizioni della nuova borghesia valenzana, il fulcro culturale e mondano della vita cittadina d’inizio Novecento.
La guerra rallenta un po’ tutto, ma poi, dal 1917 al 1919, mentre la programmazione teatrale è completamente interrotta, il cinema riscuote sempre di più le simpatie dei valenzani.
In questi anni di fibrillazione, non manca la polemica politica nei confronti dei palchettisti che appartengono alla borghesia liberale, un ceto sociale destinato a finire nel tritacarne dell’esuberante sinistra locale, al potere della città. Per un imperativo morale o per placare la polemica, nel 1923, mentre si sta consolidando il regime fascista e un certo dirigismo politico, si eseguono alcuni interventi sulla platea e sulla volta della sala, parti che rimarranno sostanzialmente invariate fino agli ultimi e più recenti interventi. La platea smette di essere uno spazio per il popolo più minuto e diventa un luogo attraente anche per le classi più agiate. I palchi restano un simbolo di prestigio sociale, ma perdono la funzione di luogo d’incontro consacrato a certe famiglie.
Durante il fascismo il Teatro Sociale, grazie anche alla rivista e alla prosa, ottiene molte affermazioni, ma il pubblico valenzano ha ormai preso la via del cinema, che irrompe sempre più nella vita quotidiana. Dopo la seconda guerra, il Sociale inizia a ospitare spettacoli di rilievo. Tra gli artisti che si sono esibiti qui, ricordiamo Vallone, Valli, Buazzelli, Carraro, Tofano, Valeri e altri famosi. Ci sono anche molti avanspettacoli di provincia con compagnie minori.
Più tardi arriva la televisione, che prende posizione in modo crescente. Resiste il cinema, a Valenza sono tre, poi gli spettacoli dal vivo e pure quelli cinematografici vengono ridotti in modo drastico.
Negli anni Ottanta la tradizione è dispersa del tutto e il locale è utilizzato solo per pochi spettacoli teatrali all’anno, organizzati dal Centro Comunale di Cultura. C’è un incessante calo degli abbonamenti teatrali e una povertà di entrate. All’interno del teatro funziona ormai l’unico cinema di Valenza, ma con orari ridotti. Questa è la rappresentazione speculare di una disillusa città dormitorio, che ha relegato il suo già pregevole teatro a un ruolo marginale.
Tra il rassegnato e il bistrattato, nel 1986, il sopravanzo della Società del Teatro stabilisce, in modo poco concorde, di liquidare le proprie quote di proprietà, 51 totali, al Comune di Valenza, che nel novembre del 1988 ne acquisisce 41 dai singoli soci disponibili alla transazione e nel dicembre del 1990 conclude l’operazione con l’acquisizione delle 6 restanti, divenendo l’unico proprietario del malconcio teatro, reperto di una tradizione radicata e di un antico trascorso luminoso.
Provando a non affossarlo ulteriormente e a mantenere in piedi l’illusione, l’amministrazione comunale, tramite il Centro Comunale di Cultura, continua a proporre stagioni di alto livello; sono di rilievo anche certi concerti di jazz. Nel frattempo si discutono le linee d’intervento per il recupero e il restauro dell’opera, trascurata da troppo tempo e ridotta in prestigio. Il cantiere viene aperto nel 1994 e sarà a durata “permanente” e a costi “copiosi”. Terminerà dopo molti anni (a costruire il vecchio teatro a metà Ottocento ne sono bastati tre) causando avventati vaticini e un’indignazione spiacevole nella città. La nuova saletta cinematografica di 98 posti viene costruita nei nuovi spazi sul lato di piazza Verdi e aperta al pubblico nel novembre del 2000, mentre si attende ancora la conclusione dei lavori dell’opera completa, che viene inaugurata con enfasi il 19 gennaio 2007 con un’emozione generale e il sollievo degli amministratori comunali per i costi, che coinvolgono tutta la polis, non soltanto i pochi che vanno a teatro. Tutto questo, condito da una spiccata retorica di carattere politico.
Il nuovo complesso architettonico occupa un’area di 1.150 metri quadri. La sala del teatro è alta 12,08 metri, ha una pianta a ferro di cavallo e dispone di 475 posti, di cui 204 in platea, 67 per ciascuno dei tre ordini di palchi e 70 nel loggione. Il palcoscenico ha una superficie complessiva di 144 metri quadri. I locali accessori al palcoscenico e quelli funzionali alla gestione del teatro sono stati ricavati in parte riorganizzando gli spazi originali e in parte sfruttando zone dell’adiacente complesso delle ex-carceri, prospicienti il medesimo cortile di servizio del teatro.
Un accordo con l’Azienda Teatrale di Alessandria, che poi diverrà T.R.A. Teatro Regionale Alessandrino, affida la gestione ai cugini, in un sistema integrato, e rende complementari le programmazioni. Seguono gestioni su piani diversi, ma che portano allo stesso risultato: uno stravolgimento costante e la scomparsa di buona parte di ciò che era tradizionale. Certi facili ardori sull’utilizzo di questo luogo storico di incomparabile bellezza estetica, simbolo della comunità valenzana, lasciano il posto a formule enfatiche che non portano a nulla e a un certo pessimismo intriso di nostalgia, invece, dimostrando una buona dose di pragmatico buon senso, sono diverse e di successo le iniziative di spettacoli per le scuole, di concerti, di recite locali e altro, pur se sporadiche.
L’ultima stagione è firmata dalla Coop CMC/Nidodiragno e dalla Fondazione Piemonte dal vivo, sotto l’egida del Comune di Valenza, che sta facendo di tutto per garantire continuità. Ma una parte del teatro (alcuni palchi chiusi) da qualche tempo è nuovamente inagibile, con i soliti insoluti lavori in corso e un evidente segno di rassegnazione.
Oggi, e forse anche domani, dopo una pandemia che ci ha ibernati per lungo tempo, che ci ha costretti a una vita virtuale e priva dell’umanità dei volti, una pandemia caratterizzata da una serie di chiusure forzate e di riaperture intermittenti, mentre siamo nel pieno di una crisi energetica e bellica che sta portando i costi alle stelle, viene da chiedersi che cosa ne sarà degli spettacoli teatrali dal vivo diffusori d’emozioni e dei troppi soldi dissolti negli ultimi interventi senza sortire il fine verbale e non verbale fantasticato. Ma “al destino che vien rassegnarsi convien”.