«Si vedeva la partita da don Giovanni perché era l’unico ad avere Telepiù»
Don Semino, un riferimento quando l?ospedale di Alessandria era una grande famiglia. I ricordi del chirurgo De Tullio (e il finto viaggio in Cina)
Tifoso del Torino con licenza di dimenticarsi di essere sacerdote, in caso di partite alla televisione. Ma, soprattutto, uomo di compagnia, abile organizzatore, uno che sapeva portare la Chiesa nella società e la società nella Chiesa.
Questo era don Giovanni Semino, cappellano dell’ospedale di Alessandria dal 1977 al 2010, morto 13 anni fa. Verrà omaggiato oggi (ore 17.30), durante la celebrazione per San Biagio, compatrono del nosocomio cittadino. Ma per i molti che l’hanno conosciuto, i ricordi vanno al di là della funzione. Sono racconti, aneddoti. E fotografie, come quella di questa pagina, scattata a Lourdes durante uno dei numerosi pellegrinaggi che il sacerdote organizzava.
Con lui, che svetta in piedi a sinistra, si notano il chirurgo ortopedico De Tullio; il dottor Prati, prematuramente scomparso (era l’aiuto del professor Maconi). E poi, sotto, il dottor Boverio; l’ex primario di Anestesia, Cassiano; il dottor Mengazzini con la moglie, dottoressa Zunino; medici di famiglia; la dottoressa Nota, andata in pensione di recente; il dottor Laguzzi, già primario di Geriatria.
Se c’era un santuario…
«Eravamo soliti partecipare alle gite che promuoveva don Giovanni, bravissimo a fare da collante» racconta Vito De Tullio, uno dei veterani dell’ospedale (è in servizio dal 1986).
Molte le trasferte a Lourdes con l’Oftal («in treno, un viaggio infinito») ma anche in mezza Italia, «ovunque ci fosse un santuario, anche se poi le nostre gite non erano certamente di carattere di religioso». Memorabile, in particolare, il viaggio in Israele, rimasto nel cuore di molti.
«Io – spiega De Tullio – ero molto legato a don Semino. Arrivavo da Genova, uno dei pochi non alessandrini in servizio al Santi Antonio e Biagio. Don Giovanni aveva l’appartamento accanto alla chiesa. È chiaro che per noi, che venivamo da fuori, fosse una sorta di punto di riferimento, perché conosceva ogni cosa dei reparti. Dovete però immaginarvi una struttura ben diversa da quella attuale: non un’Azienda ma un ambiente dal clima famigliare, in cui i rapporti umani erano privilegiati».
Si faceva gruppo
Lo dice con un filo di rammarico, ma tant’è. Sa bene, De Tullio, che i tempi sono cambiati in ogni ambito. E che la nostalgia può giocare brutti scherzi.
Però che belle quelle serate domenicali a casa di don Semino… «Era uno dei pochi ad avere Telepiù, cioè il primo canale a pagamento che trasmetteva le partite di calcio. Si andava a tifare, lui per il Torino, io, naturalmente, per il Genoa che all’epoca era gemellato col Toro. Adesso, però, abbiamo legami con i Grigi e va benissimo così».
Aggregazione e compagnia erano le parole d’ordine del sacerdote. Le gite venivano organizzate proprio per «fare gruppo» e rinsaldare i rapporti. Anche gli scherzi, tutto sommato, avevano questa finalità: «Una volta – conclude il medico – appesi un cartello davanti alla chiesa dell’ospedale, annunciando un viaggio in pullman fino in Cina, naturalmente a prezzo stracciato. Scrissi in calce il numero di don Giovanni, che venne subissato di telefonate da gente che voleva partecipare».