Il pericoloso clima del 1898 a Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia della città del gioiello
VALENZA – Come in tutto il paese, anche a Valenza lo sviluppo economico di fine Ottocento genera un notevole fermento sociale. Nel movimento operaio socialista valenzano si è formata una mentalità progressista e battagliera che in parte si lega a una tradizione giacobina e risorgimentale e in parte a esperienze anarchiche, con un acceso anticlericalismo e un’ostilità verso la destra conservatrice, tradizionalista e liberale e, ben presto, anche verso i repubblicani, da cui provengono molti socialisti. Spesso le idee sono radicali, incoerenti e intrise di disprezzo e c’è ancora una visione sacrale e rituale del mondo, estranea al presente.
I liberali non hanno un partito organizzato, ma una consorteria di persone con principi e attese simili, chi per convinzione e chi per convenienza, che raggruppa le varie correnti in un’associazione. Sono gruppi conservatori, composti da quasi tutta la borghesia locale benestante e spocchiosa che ha abbandonato i grandi ideali dell’unità d’Italia, che frequenta assiduamente il circolo Casinò Sociale e ha anche una sala riservata al Caffè Mazzini. Sono appoggiati apertamente da una chiesa locale in fermento, ormai ammorbidita nei confronti dello stato laico.
È il tempo del positivismo che diventa religione, sia per le avanguardie liberali che per quelle socialiste, ma la città è politicamente divisa e ci sono due tribù in guerra permanente che domineranno la scena per più di un decennio.
A Valenza, in questi ultimi anni dell’Ottocento, si assiste al passaggio da un’economia tipicamente agricola a una di tipo industriale, caratterizzata da oreficerie, fabbriche di tomaie giunte, filande e fornaci.
La fabbrica reclama braccia e la campagna risponde all’appello. Sono molte le congetture per spiegare il passaggio dall’attività agricola a quella artigianale-industriale, ma è difficile trovare una ragione precisa. Hanno concorso la debolezza e la legnosità dei piccoli proprietari terrieri, refrattari alle innovazioni tecnologiche utili ad accrescere e a diversificare la produttività. Inoltre, il vino locale subisce la concorrenza francese e la filatura della seta non regge più la concorrenza del cotone.
Il nascente partito socialista ottiene buoni risultati grazie al dinamismo del gruppo dirigente composto da Giusto Calvi, Alfredo Compiano, Luciano Oliva, Carlo Balzano, Carlotta Garrone e altri. È un cenacolo di pensatori rivoluzionari, impegnati nella battaglia contro il capitale, che raduna intorno a sé un’élite sussiegosa che spesso ne offusca la ragione. Il periodico pseudo-socialista che si è presentato al pubblico valenzano il 5/4/1896 è il Gazzettino di Valenza FFV, stampato nella tipografia di Lorenzo Battezzati (1861-1933), sempre pronta a lanciare messaggi di rottura e di scontri frontali con un vitalismo che è croce e delizia di tanti.
Nel 1897, a Valenza, i socialisti sono numerosi e compatti: in poco tempo, si è formata un’associazione socialista di oltre 500 persone e nel circolo si tengono conferenze e riunioni di frequente. Anche l’Associazione degli operai orefici conta oltre 200 soci socialisti, anche donne.
In questi tempi la sezione locale del partito si dedica ad aumentare il numero di iscritti alle liste elettorali, anche istituendo corsi gratuiti per permettere agli analfabeti di acquisire le conoscenze e il titolo richiesto per essere elettori.
Infatti, l’obiettivo principale dei socialisti valenzani è la conquista del Comune, da lungo tempo amministrato da un manipolo di conservatori-liberali, che include alcuni esponenti ultraconservatori delle vecchie casate nobiliari e rappresentanti della fresca borghesia imprenditoriale e che raccoglie la maggior parte dei suoi voti nelle campagne e nella frazione di Monte Valenza. Più difficile, invece, è imporsi alle elezioni politiche, in cui i liberali possono contare sul numero di suffragi provenienti dagli altri comuni del collegio, grazie alla candidatura dell’avvocato e conte Lodovico Ceriana Mayneri (1857-1905), deputato dal 1892 e considerato dai conservatori quasi un nume. Lui è l’unico in grado di raccogliere il consenso di tutti i rappresentanti del collegio, formato dai comuni e dalle frazioni di Alzano, Alluvioni, Grava, Bassignana, Mugarone, Castelletto Scazzoso, Castelnuovo, Molino dei Torti, Guazzora, Isola S.Antonio, Lu, Monte, Montecastello, Pavone, Pecetto, Pietramarazzi, Piovera, Rivarone, Sale, San Salvatore, Villabella, che scorgono in lui, un competente possidente terriero osannato e riverito, un difensore dei loro interessi economici fondati totalmente sull’attività agricola.
A conferma di quanto detto, nelle elezioni politiche del 21 marzo 1897, i socialisti, pur presentando un personaggio noto quale Enrico Bignami (1846-1921), un fervente mazziniano e poi socialista, a Valenza raccolgono 299 voti contro i 722 di Ceriana Mayneri, mentre nel collegio il distacco è ancora più ampio: 4.085 al rieletto Ceriana Mayneri, contro i 1.445 del rivale.
Dopo lo scontro elettorale, i toni si alzano e il clima si infiamma: realtà e fandonia si mescolano continuamente. Già da tempo nella filanda di Vincenzo Ceriana, cugino del deputato e sindaco di Valenza dal 1892, regna lo scontento per le cattive condizioni di lavoro: le giovani filatrici, prossimi alla schiavitù, lavorano 12-14 ore al giorno, con le mani immerse nell’acqua bollente e tra esalazioni nocive insopportabili. Dopo un iniziale tentativo di ribellione, che causa l’allontanamento di alcune operaie discernitesi nella protesta, segue uno sciopero di tre giorni, organizzato da un centinaio di filatrici e identificato come qualcosa di pericoloso dall’autorità di pubblica sicurezza della provincia, che interviene. Il 6 e il 7 aprile 1897 si scatenano altri disordini che portano all’arresto, per eccitamento allo sciopero, di Ettore Cantatore, Angela Fava e Carlo Sannazzaro.
A seguito di questi eventi, ci si accorda per la riduzione dell’orario di lavoro di un ora e un quarto, ma nel mese di maggio, non essendo stato ancora messo in atto quanto concordato, le maestranze proclamano un nuovo sciopero, a cui il titolare Ceriana risponde con la chiusura della filanda, presentata come sacrosanta e necessaria ma che guadagna la ribalta e provoca una fervente indignazione.
Nel marasma che segue, Vincenzo Ceriana e il contabile dell’azienda e consigliere comunale Carlo Carones, barricati dentro dogmi padronali oppressivi e fuori dal tempo, presentano le dimissioni dal consiglio comunale, che il 25 settembre 1897 elegge Ferdinando Abbiati (1864-1943) nuovo sindaco di Valenza, con una maggioranza incompleta e una deliberazione di 18 voti contro 1 di Ceriana, 2 schede nulle e assenti gli altri. Dal 1988 il numero dei consiglieri comunali di Valenza è stato elevato dai 20 ai 30; essi restano in carica per 6 anni, salvo sorteggio per il rinnovo parziale che avviene ogni 2 o 3 anni.
All’inizio del 1898, in tutto il paese nascono una serie di proteste e di agitazioni che sfociano in scontri e manifestazioni di lavoratori; il fatto più grave si verifica il 6 maggio a Milano, quando la repressione condotta con armi e cannoni dal generale Bava Beccaris provoca 80 morti e centinaia di feriti.
Neanche Valenza resta immune al clima vessatorio e di abiezione instauratosi e, in un clima così arroventato, l’incidente è dietro l’angolo. L’occasione più propizia per lo scontro sono i festeggiamenti socialisti del primo maggio. Il programma collettivista locale prevede una passeggiata mattutina, una conferenza per invito a mezzogiorno e una cena alla sera. Se la passeggiata e la conferenza procedono in tranquillità, il banchetto nel circolo elettorale socialista ha un finale imprevisto e tumultuoso.
Accalorati e senza prudenza, forse anche a causa del vino trangugiato, i banchettanti intonano l’inno dei lavoratori con toni alti e parole fuori controllo da caciara, cosa che provoca l’irruzione del delegato all’ordine pubblico Basso, spalleggiato da una dozzina di carabinieri, e un tafferuglio in cui la razionalità è completamente soppiantata dall’impulsività e in cui alcuni partecipanti sono infine arrestati. Si tratta dell’avvocato relatore Riva, Giulio Forti, Carlo Balzano, Pietro Pavese, Enrico Bonzano, Menotti Sannazzaro, Ernani Cavallero, Giuseppe Ferro e Alfredo Baggio, accusati di aver trasgredito agli ordini dell’autorità. In fretta e furia, il giorno dopo Baggio e Ferro sono condannati dal pretore a 20 lire di ammenda e il 4 maggio si tiene il processo per gli altri sette arrestati, imputati di “essersi associati allo scopo di incitare all’odio fra le varie classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità e per grida e manifestazioni sediziose”. La sentenza assolve Riva e Forte e condanna tutti gli altri a 4 giorni di arresto, 5 per Sannazzaro perché recidivo. Ma il procuratore del re, che aveva chiesto 5 mesi e 6 giorni a testa, ricorre in appello e il 24 luglio 1898, nel processo che si tiene a Casale, le condanne diventano molto più grevi e impietose: 5 mesi per Balzano, Bonzano, Pavese e Cavallero, 9 mesi per Riva e Forti, mentre Sannazzaro è assolto per non aver partecipato al banchetto.
Pochi giorni dopo l’episodio, viene sciolto il Circolo elettorale socialista e sono perquisite numerose abitazioni di socialisti. Poi, il 2 giugno 1898, il prefetto scioglie anche l’Unione cattolica e il Comitato parrocchiale, e, per eccitamento al disprezzo della legge, il 28 maggio 1898 viene soppresso il Gazzettino di Valenza.
Le successive perquisizioni e gli interrogatori, con menzogne preparate e mezze verità sottaciute, portano a uno altisonante processo, che si tiene il 18 gennaio 1899 ad Alessandria. Gli imputati, che mantengono la loro autorevolezza anche nella burrasca, che non piegano la testa poiché convinti di essere i migliori, accusati di aver fatto parte di un’associazione, il circolo elettorale, “allo scopo di eccitare alla disobbedienza delle leggi ed all’odio tra le classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”, sono Carlo Balzano, Vincenzo Morosetti, Enrico Bonzano, Ettore Cantatore, Vincenzo Ceriana, Ferdinando Keller, Stefano Giordano, Adolfo Mazza, Pietro Pavese, Carlotta Garrone e, in contumacia, Edoardo Bonelli e Ernani Cavallero.
Gli avvocati, paladini degli oppressi, che siedono alla difesa sono il deputato Enrico Ferri, l’onorevole Alberto Merlani e Giuseppe Pugliesi. Il pubblico ministero cerca di dimostrare il carattere sovversivo dell’associazione affiliata al partito socialista, ormai scomposto; accusa gli imputati di aver aizzato allo sciopero, collegando il socialismo all’anarchia, e chiede 10 mesi di reclusione e 800 lire di multa per ognuno.
A difesa degli imputati, sono uditi esponenti conservatori-liberali valenzani di spicco – Giovanni Barbero, Carlo Angeleri, Carlo Carones e il presidente della deputazione provinciale Fedele Mayoli. Nell’occasione, sono tutti capitani coraggiosi e sussiegosi, concordi nel non ritenere gli antagonisti a processo dei fomentatori e nell’elogiare il clima in cui si svolge il contradditorio politico a Valenza; è un colpo di scena e un canto trionfale di misericordiosi, che fa sembrare quasi di essere in chiesa. Hanno tramutato subdolamente la malevolenza in venerazione.
Contestando la legittimità del provvedimento, il difensore Ferri afferma che la lotta di classe è sovversiva solo se barbarica, che lo sciopero non è reato, che cantare l’inno dei lavoratori non è un delitto e che gli imputati non sono anarchici, ragion per cui chiede l’assoluzione, che viene confermata con la sentenza poiché non è stata provata la reità.
Pochi mesi prima, il 25 ottobre 1898, a San Salvatore, ci sono stati gravi tumulti e scontri di piazza, iniziati a Frescondino, cavalcati con solidarietà ribellistica e imprudenza da esponenti valenzani, in un clima di guerra sociale, e aggravati dall’uccisione di 7 manifestanti da parte degli energicamente repressivi carabinieri. Nel consequenziale processo del 21 dicembre 1898, dove le imprecisioni e le forzature scivolano via senza intaccare la narrazione ufficiale, sono condannati 28 imputati a pene varianti da 25 a 75 giorni di reclusione, con diversi effetti collaterali e conseguenti, per resistenza alla forza pubblica e danneggiamento.
Le repressioni dei moti popolari del 1898 e la stretta liberticida allenta la crescita del PSI, che decide di promuovere un’alleanza di tutti partiti dell’estrema sinistra (socialista, repubblicano e radicale). La ragione politica può più delle vecchie ruggini, anche quelle personali, un vizio ancora tuttora in auge.