Il santuario e l’effige di Nostra Signora della Pietà a Valenza
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – L’immagine dipinta della Madonna della Pietà, situata nel santuario di Nostra Signora della Pietà a Valenza, è di origine e tradizione iberica. Sin dal suo cammino iniziatico, la Sacra Effige (Maria SS. della Pietà) era collocata fra gli apostoli Giovanni (sempre) e Pietro (non sempre) ai piedi della croce, così come raffigurato a suo tempo nell’affresco dipinto sulla parete di un rustico privato nella campagna valenzana.
A ragione, si può immaginare che tale dipinto sia stato realizzato da uno degli spagnoli che a fine Seicento dimoravano a Valenza, poiché in quella nazione erano soliti dipingere la Vergine della Pietà con l’Apostolo San Pietro a lato insieme a San Giovanni, come si ammira nel nostro dipinto. È difficile esprimere una datazione certa dell’opera, che pare fosse stata dedicata al governatore di Valenza don Francisco Colmenero, eroe nell’assedio del 1696. Ciò lascia intuire che in quegli anni, e anche prima, questa venerazione fosse percepita assai dai valenzani e senz’altro legata ai militi spagnoli risiedenti.
Una certa confusione viene da una ricerca fatta su documentazione parrocchiale, dalla quale sembra che per tutto il Seicento ci siano state devozione e visite pastorali a quest’effige, cosa che smentisce la realizzazione dell’opera alla fine di questo secolo.
Il ducato di Milano, di cui Valenza fa parte fino al 1707, è a dominazione spagnola e molti ispanici, militari o civili con le loro famiglie, negli anni precedenti si sono trasferiti a Valenza, portando qui costumi, abitudini e pratiche religiose della loro terra. Siamo in un mondo bigotto ed etereo, con disparità socio-economiche palesi, parecchio lontano da quello d’oggi, indebolito da tanta indifferenza e delusione.
L’affresco della Vergine addolorata per le pene del figlio era realizzato su una costruzione murale rustica, o forse in un’edicola di campagna meta degli agricoltori; infatti sussiste l’eventualità che già da diverso tempo ci fosse una cappelletta con qualche banco per i fedeli. Alla fine del secolo XVII i proprietari di quel bene agreste sono i fratelli Cornetti.
A dispetto della distanza dal centro abitato, del lungo sentiero poco praticabile da percorrere in quel tempo, dell’insicurezza del luogo solitario e di altre difficoltà, l’adorazione alla Sacra Effige non viene a mancare; anzi, col passare del tempo, aumenta sempre di più il fervore spirituale che attira molti devoti anche dalla vicina Lomellina e dal Monferrato.
Il luogo ha una capacità di coesione popolare, è un momento aggregativo importante per la società del tempo e per gli impulsi che ne conseguono. Sospinto da diversi componenti, il sentimento di devozione alla Madonna acquisterà una forza autonoma di coinvolgimento interiore e diventerà un modo particolare di vivere, di ritrovarsi e di rinnovarsi nella fede cristiana.
Per la Chiesa locale è ormai indispensabile intervenire. Grazie alle tante offerte ricevute e per il numero sempre crescente di devoti, nel luogo si rende necessaria la costruzione di una piccola chiesetta o cappelletta, più tardi ampliata, che resta tuttavia a carattere privato.
Le elemosine che qui il popolo offre sono simili a quelle che si raccolgono nelle chiese comuni e per questo costituiscono un’anomalia che viene sanata in parte con un accordo tra il nuovo proprietario e la chiesa valenzana verso la fine del Settecento. Ma la parola definitiva è problematica da pronunciare e quando concretata confonde ancora di più le acque. Si tratta di una conquista e di una perdita, poiché la nuova cappelletta contenente l’affresco ora ha due possessori disorientati: il proprietario del sedime e del fabbricato con l’affresco della Vergine della Pietà e la Chiesa locale con i custodi della cappelletta, i padri cappuccini a cui va parte delle copiose elemosine. Va messo in evidenza che la formula ambigua conseguita è un incrocio fra diritto privato e diritto pubblico ecclesiastico, perciò tutto resta in uno stato fluido e confusionale.
Inefficace o quantomeno frustrante anche l’azione negoziale dei parroci di Valenza nel nuovo secolo che sono: Giulio Stefano Lana dal 1685 al 1713, Giovanni Battista Zucchelli dal 1713 al 1742, Francisco De Cardenas dal 1742 al 1781 e Giuseppe Zuccaro dal 1781 al 1798.
Nel 1832, alla morte del proprietario Alessandro Cuniolo, don Giuseppe Pellati – parroco del Duomo dal 1831 al 1850 – succeduto un anno prima a don Francesco Marchese – parroco di forte impronta sociale e popolare dal 1798 al 1831, sempre pronto a calibrare l’azione in base il contesto – con una tessitura minuziosa e accurata, inizia la trattativa per l’acquisto della Cappelletta e di alcuni terreni attigui, regioni Cappelletta e Cornaretta, con Vincenzo Cuniolo, l’erede del bene, che, dopo fibrillazioni e vivaci discussioni in seno al poco convinto Capitolo della Collegiata – che già nel 1807 dichiarò opposizione – si conclude avvalendosi di un prestito ricevuto dalla Chiesa nel 1845, trasformando finalmente le intenzioni in realtà.
Un anno dopo si ha l’azione decisiva. Su progetto dell’ingegnere Boeri, si gettano le fondamenta della nuova chiesetta campestre dell’Addolorata, affrescata dal valenzano Borra, nella quale il muro con la rappresentazione della Sacra Effige, collocata in un luogo più congruo alla devozione, è mantenuto intatto in qualità di icona dell’altare, com’è ancora ricordato dall’iscrizione sul frontale della chiesa.
Ma bisogna acquisire un terreno attiguo e, per soddisfare questa necessità, nel dicembre del 1844 l’Opera Pia Pellizzari aveva già ceduto gratuitamente un terreno, un regalo inatteso, mentre nel 1946 e nel 1854 vengono acquistati altri terreni vicini.
Con una certa sobrietà, la nuova costruzione è solennemente dedicata alla “Madonna della Pietà” da monsignore Dionigi Andrea Passio, vescovo di Alessandria dal 1833 al 1854.
Nel 1862-1863, dopo una controversia pelosa che suscita indignazione e imbarazzo con l’erede dello scomparso don Pellati che ha contribuito all’opera con beni propri, il prevosto don Domenico Rossi, parroco di Valenza dal 1850 al 1894, un beneamato assai esposto sul caso, si prodiga ampiamente per abbellire la sacra costruzione – per i valenzani “la Maduni-na” – in circostanze spesso difficili. Egli, nel 1863, fa erigere un piccolo stabile unito alla medesima a uso del rettore del santuario.
Con il passare degli anni e il miglioramento della strada di accesso, i pellegrini aumentano al punto che il nuovo prevosto don Giuseppe Pagella – parroco dell’unica parrocchia esistente in città dal 1896 al 1925 – ritiene doveroso far eseguire altri lavori per la celebrazione del 50° anniversario dalla costruzione. Alla cerimonia nel 1896 interviene il vescovo di Alessandria Giuseppe Capecchi.
All’inizio del XX secolo, si terminano le decorazioni della cupola della chiesetta a opera del pittore Antonio Bertoli, è rinnovato il pavimento interno voluto da don Luigi Nebbia di Casale e il piccolo campanile viene fornito della campana da parte di Luigi Stefanino di Moncalvo. Dovevano essere delle semplici novità, ma invece risultano iniziative sostanziali come altre inanellate nel corso degli anni.
In questa piccola chiesetta di sagoma ottagonale dalle sembianze di una bomboniera, che favorisce il più intimo rapporto di credenza con la sacra immagine della Pietà, si recano in molti per trovare speranza e conforto nei momenti difficili della vita; da qui i voti elevati e le grazie richieste. Si rinnova l’atmosfera di preghiera e di fede, la spinta comune al mantenimento di un patrimonio spirituale e materiale che si tramanderà nel tempo.
Le pareti della chiesa sono ormai totalmente ricoperte d’ex voto e d’altre ostentazioni di riconoscenza per grazie e favori ricevuti. Tanti quadretti di arte popolare e tante candele votive accese dai fedeli, il cui fumo col tempo annerisce le pareti e ricorda diversi casi gravi risolti miracolosamente e le molte richieste di aiuto.
Il santuario – così da tutti chiamato sebbene non consacrato – non è più idoneo a contenere la quantità sempre più numerosa di fedeli e di pellegrini pervasi di fede e redenzione. Pertanto, nel 1931, don Giovanni Battista Grassi, parroco dal 1926 al 1967, succeduto a monsignor Pagella, del quale è stato vice parroco, e che per molti anni sarà l’anima profonda della comunità dei credenti valenzani, acquista nel 1931 la casa e il terreno adiacenti alla chiesa da donna Maria Ceriana con lo scopo di fare l’ampliamento della stessa e di costruire ampie sale e porticati per i pellegrini. Una missione ardua e anche un’effimera illusione, poiché l’attuazione del progetto dovrà essere rinviata a causa della devastante guerra. Nel 1934 Ettore Balbi ha donato ben 15 milioni per i lavori.
Appena terminato il conflitto, monsignor Giovanni Battista Grassi, un profondo conoscitore dell’animo umano che riunisce intorno a sé ogni potere religioso locale, tanto devoto alla Vergine addolorata, organizza, con grande enfasi e con la collaborazione d’alcuni solleciti parrocchiani, manifestazioni celebrative che interessano tutta la popolazione del territorio.
La prima giornata lourdiana diocesana, organizzata dall’O.F.T.A.L. locale e svolta il 14 luglio 1946, e la celebrazione del centenario del santuario “Madonna della Pietà” (Madonnina) congiuntamente al congresso mariano diocesano, nel settembre del 1946, sono avvenimenti che richiamano a Valenza un numero notevole di fedeli dalle diocesi vicine e molte autorità, non soltanto religiose. Il successo delle manifestazioni è esaltato dalla notizia di un’improvvisa guarigione da una grave infermità di una suora durante la benedizione degli infermi del 14/07/1946.
Alla settimana celebrativa del 22-29 settembre 1946 partecipano celebri oratori catto-umanitari e importanti personalità del pensiero spirituale quali Oscar Luigi Scalfaro, Luigi Pazzaglia, i vescovi Angrisani, Allorio, Gagnor e monsignor Pietro Damiano Civera. Migliaia di persone partecipano alla processione di chiusura che, partendo dal duomo e attraversando corso Garibaldi e viale Santuario, riporta un quadro dell’addolorata alla sede di provenienza.
La risonanza degli eventi spiana la strada alla realizzazione di un centro religioso evoluto e spazioso, e non più ristretto, per una zona di Valenza a questo punto completamente trasformata dalle innumerevoli costruzioni residenziali.
Mentre il santuario è continuamente sottoposto a lavori di restauro, nel 1961 lo scrupoloso rettore don Antonio Molina dà inizio in modo perentorio ai lavori d’ingrandimento, grazie alla generosità di Ettore Balbi, su progetto del geometra Enea Reggiardi e a esecuzione dell’impresa edile F.lli Demartini.
Si procede all’ampliamento e al prolungamento della costruzione con profonde trasformazioni rispetto alla struttura esistente, un impegno faticoso che fa sorgere qualche interrogativo legato ai costi e che suscita alcuni tentativi scomposti di intralcio. L’antico muro con l’immagine della Madonna è abbattuto dopo la rimozione difficoltosa dell’affresco da parte del professor Torsegno per ricomporlo sopra al vecchio raffinato altare ricostruito nel nuovo presbiterio.
E, come per magia, la nuova splendida costruzione favorisce l’elevazione a parrocchia di “N.S. della Pietà”, in una proclamazione canonica, nel luglio del 1966. La solenne cerimonia, con i proverbiali squilli di trombe, avviene il 16 settembre dello stesso anno, durante la festa della patrona del santuario, alla presenza del nuovo parroco don Mario Cermelli, che, cauto e responsabile, ne sarà uno dei conduttori più efficaci. Morto il parroco monsignor Grassi, nel duomo gli succede il suo inossidabile vice don Luigi Frascarolo, dal 1967 al 1993.
Elevata a parrocchia, ben presto quest’antica e celebre chiesetta-santuario, affiancata da un grandioso oratorio, inizia a dare sostegno ai nuovi bisogni collettivi di Valenza. Con minuziosa attenzione ed enorme alea, esalta la sua forza mettendo sottosopra tutto quanto, in poco tempo si creano una scuola elementare e una materna, un centro per le famiglie, palestre, campi di gioco, un bar-circolo ricreativo e altro. Un impegno straordinario e condiviso da fedeli collaboratori che sembrano attraversati da una scarica elettrica e che marciano spediti con la testa, le braccia e il cuore. Un groviglio armonioso, una comunità civile parrocchiale che si ritrova in ogni manifestazione, unita nel fervore dei preparativi e nella conduzione. Il tutto è curato con entusiasmo e generosità.
Il santuario viene completato con un bel campanile che svetta per 26 metri circa e che esibisce una pregevole croce di ferro lavorato a giorno, alta circa 2,20 metri sopra alla cella campanaria a bifore. Rimarrà, però, privo di campane fino alla fine del 1998.
Infine, dopo la scomparsa di don Mario al termine del 1998, sopraggiunge don Abele Belloli, che recentemente è stato trasferito ad Alessandria e ha lasciato sguarnito il prodotto. In più di vent’anni don Abele è stato capace di imporsi in modo diretto in questa città, trasformando molte intenzioni in realtà, aprendo porte che sembravano sbarrate e instaurando un solido e caloroso legame con i fedeli e i molti giovani praticanti sportivi.
La facciata della chiesa e tutta la parte anteriore hanno mantenuto l’aspetto primitivo con il frontone triangolare raccordato ad alta trabeazione con cornici e dentelli. Il corpo principale a muri portanti è a tetto capanna, mentre la sezione laterale è su pilastri. La vecchia struttura è stata mutata con un nuovo braccio che forma una sorta di tronchetto sulla destra. Il presbiterio è dominato dal pregevole altare acquisito alla fine dell’Ottocento. Sopra il tabernacolo compare l’antica e miracolosa effige.
In questo luogo sacro più volte restaurato, convivono diversi incanti culturali e religiosi della città, testimonianze di una fede salda e radicata. Ai giorni nostri questa lunga vicenda di culto, di venerazione, d’impegno pratico e di opere di misericordia sarebbe fuori dal tempo e non più replicabile, ma esala tristezza.
Ormai il santuario, in declino nella celebrazione di sacramenti, ha perso molto fervore, e ciò ha annullato l’abituale e preziosa socialità che, in ogni epoca, si è sempre nutrita di simboli e di tradizioni religiose. Con il più grande rispetto per i fedeli che lo hanno frequentato in passato, si ha la netta sensazione che la nostra generazione stia spezzando un filo durato secoli, distruggendo la memoria collettiva.
Viviamo ormai in una società dove essere cristiani è quasi disdicevole, come retaggio di epoche superate. La sacra effigie della Madonna col Cristo deposto dalla croce, dipinta sopra all’altare, è sempre meno oggetto di venerazione da parte dei fedeli e nulla è più paragonabile ai grandi donativi fatti a questa divina Vergine Santissima in ogni tempo.
Della parrocchia e delle altre di Valenza si occupa oggi, in tempi di Covid e caro bollette, non più tanto ordinari, don Santiago Ortiz.