Economia e sociale a Valenza negli anni duemila
L'ultimo periodo storico della città del gioiello nelle parole del professor Maggiora
VALENZA – L’economia italiana del terzo millennio è poco presente nei settori avanzati e i salari sono soffocati da una pesante tassazione, tra le più alte al mondo, necessaria per far fronte all’elevato debito pubblico. Siamo in un Paese fiaccato da anni di declino, con contributi sociali record, indispensabili per pagare le pensioni a una popolazione sempre più composta d’attempati. Cresciamo sotto la media europea con un basso incremento delle retribuzioni – oggi i lavoratori italiani guadagnano meno rispetto a trent’anni fa – un sistema scolastico e universitario poco competitivo e una pubblica amministrazione in larga parte inefficiente, che costa un occhio della testa e complica la vita al cittadino.
Ora il paese, dopo più di due anni di sussidi e smart working (2020-2022), sta colando a picco con diversi milioni di poveri. Riguardo alle aziende, pare si applichi una strategia darwiniana che elimina le più deboli.
Sono troppi i politici inadeguati che camminano con la poltrona incollata dietro, i mal di pancia sono permanenti, le conversioni lo stesso e si elogia sempre quello che non c’è. Nel 2018 i pentastellati sbancano nel mezzogiorno, svuotando gli altri partiti, Conte va a Palazzo Chigi con la Lega e poi, l’anno dopo, con il Partito Democratico, ma nel febbraio 2021 tocca all’ex presidente della BCE Draghi condurre la danza, con una singolare maggioranza composta da quasi tutti i partiti e finita da poco con imminenti elezioni . Infine, dopo la terroristica gestione della pandemia, nel 2022, il conflitto in Ucraina provoca pesantissime conseguenze economiche anche per noi. Ora, nell’estate del 2022, in un momento particolare di crisi sovrapposte che si cerca di risolvere con bonus e sussidi – ormai molti campano sulle spalle di tutti gli altri – tra pandemia ed economia di guerra, lo spettro degli anni Settanta è tornato ad aleggiare a causa della fragilità energetica del nostro sistema, scatenando la speculazione e l’inflazione.
Negli anni Duemila Valenza subisce una grande trasformazione, sia economica che sociale e ambientale: è un cielo che perde stelle e luminosità. Se l’economia italiana va male, quella valenzana va anche peggio. Il ritmo di crescita rallenta bruscamente, i ceti medi depauperati si livellano su fasce di reddito sempre più basse e l’occupazione perde colpi, provocando notevoli problemi di carattere sociale. Ma, dopo un lungo periodo di costante diminuzione della vendita di preziosi durato un quindicennio, in questi ultimi anni si verifica un’inversione di tendenza, con il fatturato di nuovo in crescita, a fronte di un calo del numero di imprese e di occupati nel settore. L’aspetto rilevante è che questa dinamica riporta il valore della produzione orafa a quello che era alcuni decenni fa.
Negli anni duemila, la classe media locale si assottiglia, rischiando di essere frantumata e di scomparire. La società valenzana si trasforma in un sistema duale: da una parte c’è un’élite sempre più agiata e più politicamente spostata, dall’altra una massa sempre più indigente spesso guidata dall’odio politico. In mezzo, più nulla. Recentemente, però, dopo l’esperienza della quarantena forzata, c’è anche chi, invece di alzarsi, preferisce girarsi nel letto, incassando il sussidio di emergenza o di cittadinanza.
Nel periodo che stiamo trattando, diminuisce la popolazione di più di un migliaio ogni decennio: al 31/12/2001 quella residente nel comune è di 20.831 unità (18.000 circa in città), al 31/12/2010 di 20.169 unità, al 31/12/2018 di 19.634 unità; solo nel 2021 –18.251 unità, di cui 9.572 femmine e 8.679 maschi – i residenti aumentano di 102 unità rispetto all’anno prima, nonostante un numero di decessi superiore a quello delle nascite. Osservando l’andamento della popolazione nei duemila si può dire che l’anno con un maggior numero di residenti, 20.849 unità, sia stato il 2004.
Invecchiamento della popolazione e crescita esponenziale della vecchiaia, meno nascite, più decessi, tanti anziani che muoiono in ospizio o in ospedale. Se nulla dovesse cambiare, fra non molto tempo dovremo immaginarci una città- gerontocomio, poco combattiva e con circa metà della popolazione formata da ultrasessantenni. Nel 2002 l’indice di vecchiaia – rapporto tra persone con più di 65 anni e bambini-ragazzi fino a 14 anni – è di 195 anziani su 100 giovanissimi, nel 2010 di 212 e nel 2019 di 265. Culle vuote, popolazione un po’ in là con gli anni, a cui l’attuale società sembra quasi imputare la colpa di non voler morire. Tutto questo significa suicidio demografico, eppure non si fa quasi nulla per porvi rimedio.
La gioventù è quasi prorogata fino ai 50 anni. La maternità è divenuta un optional poco gradito. L’indice di natalità, cioè il rapporto percentuale tra il numero delle nascite e il numero della popolazione valenzana residente, è di 8,7 nel 2002, di 7 nel 2012 e di 5,2 nel 2018.
Scompare l’ospedale ed è sempre più inadeguata la medicina territoriale. La sanità è sempre più nel caos, recentemente, causa Covid, domina l’autoritarismo sanitario con restrizioni inaudite; ormai le medicine molti valenzani se le comprano da soli come pure le terapie, i medici scarseggiano o non rispondono.
Negli ultimi vent’anni, Valenza conosce anche un sensibile mutamento nella composizione familiare: la tipologia prevalente, 33%, è quella con un solo figlio, mentre quella con due o più figli è al 20%. Nel 2003 la media dei componenti per famiglia è di 2,18 – 9.318 famiglie-20.443 abitanti – nel 2011 di 2,07 – 9.435-19.680 – nel 2018 di 2,05 – 9.027-18.634. Nel 2021 i nuclei familiari sono 8.774. Il rapporto tra i vivi e i morti è a favore dei secondi, 248 unità, un numero su cui ha inciso anche la pandemia. I nati sono solo 74, con un saldo negativo di 174 persone. I giovani dai 15 ai 29 anni sono 2.506, i ragazzi dai 7 a 14 anni, in fase scolare, sono 1.069. La classe più numerosa della popolazione è costituita dalla fascia d’età che va dai 30 ai 65 anni, seguita dagli ultrasessantacinquenni, che ammontano a 4.987 unità. La fascia più piccola, quella dei bambini dagli 0 ai 6 anni, comprende 729 individui.
Nei primi anni del duemila, ancora lastricati di buone intenzioni, molti portano a casa stipendi mediocri, che consentono ad altre persone – moglie, conviventi, figli o altri parenti – di campare dignitosamente. Negli anni successivi, però, parecchi sono cacciati dall’attività produttiva e il fenomeno è di gran lunga peggiore della vecchia situazione in cui era il figlio ad avere difficoltà d’impiego. Nel tempo si è passati da una disoccupazione da inserimento, concentrata tra i giovani con meno di 30 anni, a una sempre più adulta. In questi anni molti vivono alla giornata, senza troppe ambizioni. Spesso la stranezza non sta nel fatto che non trovino lavoro, ma nel fatto che non lo cerchino, finché hanno alle spalle una famiglia in grado di mantenerli o il reddito di cittadinanza a lasciarli sul divano.
Tutto deve essere comodo, immediato e ottenuto senza fatica, offendendo sempre di più la morale, la tradizione, i codici di comportamento e la religione.
Nel nuovo millennio è il boom della convivenza – vista come punto di partenza della vita a due – diminuisce il ricorso al divorzio e il matrimonio, molto gradualmente, torna a essere il sogno non troppo esplicitato di molti giovani valenzani. Andare fuori di casa non è considerata più un’attività maschile.
Nel 2001 la popolazione residente occupata è così distribuita: 132 nell’agricoltura, 4.926 nell’industria, 1.681 nel commercio, 110 nel trasporto, 605 nel credito-assicurazioni e 1.302 in altre attività. Il totale degli occupati è di 8.756 (nel 1981 era di 9.456 e nel 1991 di 9.139). Nel 2010 le imprese sono così divise: 1.111 manifatturiere, 225 di costruzioni, 798 commerciali e 552 di servizi. Nel 2020 l’industria locale occupa circa 8 mila addetti, il 60% del totale, i servizi circa 2.000 addetti, il 15% del totale, l’amministrazione circa 1.300, 10% del totale, e le altre il restante 15%.
Nel disperso popolo del lavoro i sindacati più che associazioni dei lavoratori diventano associazioni per ex lavoratori con più del 50% di pensionati a cui, con i loro enti intermedi (CAF, patronati), danno consulenze fiscali-previdenziali che, pur se finanziate dallo stato, sono una ghiotta fonte di ricavi e di iscrizioni. Senza di loro, però, causa la mala burocrazia italiana, non funzionerebbe quasi nulla, mentre per il pensionato, che ha versato parte dello stipendio per una vita e che deve pagare ancora, la solita beffa.
La Lega SPI (pensionati) della CGIL locale ha mediamente più di 2.000 iscritti, una percentuale molto elevata che spesso è la più alta della provincia. Anche la CISL FNP in questi anni cresce da poche decine a qualche centinaia di iscritti.
Nel 2009 le imprese orafe di Valenza sono 976, nel 2014 795, nel 2022 696, pari al 30% del totale delle imprese locali, e occupano oltre 4.200 addetti, mentre nel 2012 gli addetti erano 6.000. Sempre nel 2022 le aziende artigiane orafe sono 540, pari al 23% del totale delle imprese. Il distretto orafo di Valenza, che comprende anche i comuni di Bassignana, Pecetto e San Salvatore, conta 743 imprese orafe per circa 4.400 addetti; nel 2021 ha avuto un export attestato su 1,45 miliardi di euro, contro i poco più di due miliardi di euro del 2019 senza pandemia.
In questi anni, la manodopera orafa si riduce del 50%. Nel 2015, solo 1/4 dei lavoratori è occupato in un laboratorio orafo. Le piccole imprese valenzane sono sempre più gravate dai costi di gestione, che stanno diventando insostenibili: un giovane come può pensare di intraprendere la strada di artigiano orafo? E chi lavora in proprio come può assumere qualcuno innescando una catena distruttiva di obbligazioni?
Tutto ciò incide sul prezzo degli oggetti, che già subiscono la forte concorrenza dei prodotti fabbricati nei paesi orientali, dove i costi di manodopera sono molto bassi e, quindi, competitivi. Purtroppo al consumatore non frega niente dello sfruttamento della manodopera o della contraffazione; a lui interessa solo acquistare a basso costo.
Sono le aziende che producono oggetti di media fascia a subire maggiormente la crisi del settore. Se la cavano ancora quelli che hanno saputo articolare il ciclo produttivo in modo organico, diversificandolo all’interno e serbando la capacità di cercare clienti e mercati alternativi, anche se, recentemente, con l’emergenza pandemica e bellica l’incertezza sulle quotazioni dell’oro non permette di programmare a lungo termine.
Nel 2007, in un clima confuso, iniziano i lavori del nuovo centro espositivo, il Palafiere. Secondo l’opinione di sedicenti esperti, è la vetrina e la salvezza dell’economia valenzana. L’inaugurazione ufficiale avviene nell’ottobre del 2008, in occasione della XXXI edizione di “Valenza Gioielli”, con intenzioni eccellenti ma risultati scadenti. Il nuovo Centro Fieristico Expo Piemonte (Palafiere), volutamente esagerato e assurdo, ma pieno di fascino poiché è il più grosso investimento di denaro pubblico a Valenza negli ultimi decenni, sembra un feto adulto, decomposto senza essere mai nato. Sorge su un’area di 139.000 metri quadri; la struttura ha circa 8.000 metri quadri destinati all’esposizione e circa 4.000 metri quadri a quella commerciale e di servizio. Il costo finale è di una trentina di milioni di euro. Oggi è abbandonato. Si spera che la recentissima acquisizione del Palafiere, abbandonato dal 2014, da parte del Gruppo Damiani sia la riscossa dell’oreficeria valenzana dopo i troppi anni di crisi.
Nel 2017, a favorire l’occupazione locale con più stabilità e buste paga in parte anche più magre, in questa città s’insedia il più importante stabilimento di manifattura gioielliera in Europa: Bulgari. Inizia nel gennaio del 2017 con circa 400 lavoratori, salito presto a più del doppio e con il prossimo ampliamento si prevede di arrivare ad avere circa 1.400 addetti. Nell’aumento del grado di concentrazione della produzione del distretto, il salto di qualità pare inconfutabile, grazie a Bulgari, Damiani e altri eventuali brand internazionali (quali Cartier), nei i prossimi anni si prevedono 2.000 addetti in più nel settore orafo locale.
Dopo lo shock degli anni passati, ora Valenza sembra ripartire; nel 2021 ha avuto un + 24% di esportazione rispetto al 2020, con un importante incremento verso gli Stati Uniti, la Svizzera e gli Emirati Arabi.
Nel Duemila il piccolo mondo antico dell’AOV ha le vele sgonfie, scalda il cuore di pochi nostalgici, più per disperazione che per convinzione. Probabilmente, come diverse altre organizzazioni locali – spesso solo confraternite chiuse in falansteri dorati, scollegati dalla realtà, impegnate a proclamare pragmatismo e a praticare settarismo, con pericolose inclinazioni ideologiche – sperano che la crisi e la sfiga cessino per intervento divino: una passività rassegnata. Purtroppo, è un precipizio: di questi tempi svanisce tutto. I presidenti dell’AOV – efficienti o scomodi, con sostenitori e detrattori, a seconda dai punti di vista – sono: Vittorio Illario dal 2000 al 2006, Bruno Guarona dal 2006 al 2012, Francesco Barberis dal 2012; nel 2014 lui gestisce il passaggio da AOV a Confindustria e infine nel 2022, dopo dieci anni, lascia la guida degli orafi di Valenza. Dal maggio del 2022, per la prima volta, e per quanto sia audace ma in linea con la “identity politics”, gli orafi valenzani hanno una donna presidente, Alessia Crivelli, che rappresenta il Gruppo Aziende Orafe Valenzane di Confindustria Alessandria.
Nel Duemila, però, gli orafi continuano a portare il marchio impresso dell’evasore (moderna incarnazione del diavolo). Sono metodicamente perseguitati, come se fossero per forza frodatori fiscali indomiti, pur vessati da creditori volatili e da imposte bislacche che assomigliano a taglie medioevali. È pur vero che i valenzani non sono molto generosi con il fisco: nel 2010 solo un contribuente su 99 dichiara più di 100 mila euro di reddito al fisco e ben 1.512 sono sotto i 10 mila, fatto che ci rende gli ultimi tra i centri zona della provincia. Il reddito medio Irpef dichiarato, che nel 2001 è di 14.670 euro, nel 2016 si è ridotto a 14.395 euro. In periodo di pandemia, il reddito pro capite medio dichiarato dai valenzani nel 2020 è di 18.849 euro, con una variazione di 866 euro in meno rispetto al 2019.
I negozi sono sempre più vuoti e continuano a perdere di valore. I tanti supermercati, con molto personale esterno, danneggiano fino all’estinzione il vecchio commercio locale. Con il settore orafo in grave affanno, i soldi nelle tasche dei valenzani si sono rarefatti, con consequenziali effetti negativi anche sullo shopping.
La grande distribuzione ha sconvolto il tessuto commerciale della città e, con le aperture festive, il piccolo commercio non riesce a stare ai ritmi dei centri commerciali. Per le tasche dei valenzani c’è di che rallegrarsi, per Valenza un po’ meno. Ormai, nei giorni festivi, i pieni di gente si creano all’Esselunga, non più nel centro della città. Nei giorni di festa questi supermercati svolgono quasi un servizio pubblico: alle persone che devono sgobbare durante la settimana restano solo i giorni festivi per gli acquisti. Ma negozi, bar e similari non sono solo spazi di mero commercio, sono il luogo intorno al quale brulicava la vita di una piccola città. Crollano le aperture nel centro storico, con un gran numero di negozi sfitti in corso Garibaldi, la strada dello shopping, e nelle vie adiacenti. Anche il mercato coperto comunale viene chiuso nel 2012 con l’intenzione di venderlo all’incanto; ultimamente, in modo fantasioso, ne è stata perfino auspicata la trasformazione in casa della salute. Nel 2009 a Valenza ci sono 15 tabaccai, 5 farmacie, 9 edicole, 51 parrucchieri, 18 estetiste, 50 negozi alimentari e 276 non alimentari.
In questa fase c’è una crescente diminuzione del reddito nelle aziende agricole a causa della costante discesa dei prezzi all’origine della produzione. Gli investimenti in edilizia sono fermi al palo della crisi per tutto il ventennio, solo ultimamente riprendono grazie a confusi bonus e superbonus. In anni recenti i cartelli sotto le case sfitte o in vendita sbiadiscono al sole, a Valenza si registra un forte rallentamento del mercato immobiliare (la perdita di prezzo è stata più del 50% in vent’anni). Ormai, i tanti che possiedono una casa non la considerano più un tesoro, ma un fardello: non possono metterla in vendita senza liquidarla sottocosto e, se la affittano, non riescono a coprire i costi (tasse, manutenzione, ecc.) e spesso sono costretti a sfrattare gli inquilini per morosità rilevanti.
I giovani valenzani, disinteressati da ciò che avviene nel palazzo, sono disorientati, impauriti e sfiduciati: studio, ma troverò lavoro? Riuscirò a farmi una famiglia? Dovrò emigrare? A volte ingenui e a volte disincantati, sono disposti al tutto e condannati al niente.
La situazione generale delle iscrizioni alle scuole superiori si capovolge rispetto al passato: la quasi totalità dei giovani valenzani prosegue gli studi dopo la media inferiore (che sia una scelta o una via obbligata, è problematico dire). Resta il dilemma se fare una scuola selettiva novecentesca, oppure accettare risolutivamente la versione anglosassone costruita sul mondo del lavoro, non quella ambigua nostra che prepara a professioni che non ci sono più.
Nella popolazione scolastica valenzana gli alunni di anni 10 sono 143 nel 2002, 150 nel 2010 e 154 nel 2021; quelli di anni 14 sono 134 nel 2002, 157 nel 2010 e 144 nel 2021; quelli di anni 18 sono 147 nel 2002, 142 nel 2010 e 180 nel 2021. I laureati ora superano il migliaio e i diplomati i 5 mila.
Nel Comune, al 31 dicembre del 2008, la popolazione straniera è di 1.299 unità; in costante crescita, considerato che nel 2007 era di 1.182 e nel 2006 di 1.075. Interpretando questi dati in modo consolatorio, sembra che, dopo non troppi anni, la comunità valenzana sia veramente multietnica. Essendo Valenza diventata molto meno attraente a causa della crisi, ultimamente diversi stranieri valenzani hanno fatto di nuovo le valigie, e non solo loro. Nel ventennio la presenza straniera si mantiene su una percentuale del 7% e al primo gennaio 2019 gli stranieri presenti a Valenza sono 1.316, il 7,1% della popolazione residente. Nell’anno 2021 gli immigrati sono stati 530 e gli emigrati 505, con un saldo positivo di 25 persone. I residenti stranieri sono 1.356 con una prevalenza femminile rispetto a quella maschile; le femmine straniere, infatti, sono 762, i maschi 594. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dall’Albania con il circa il 25% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla Romania (17%) e dal Marocco (6%).
Nel 2001 la municipalizzata diventa una società per azioni, interamente di proprietà del Comune, denominata Azienda Multiservizi Valenzana spa. Nel 2002 viene costituita Chiara Gaservizi spa, che vende del gas metano, nel 2003 la Valenza Reti, che custodisce e gestisce le reti gas, le fognature, ecc. In queste istituzioni (strutture serventi di chi li comanda) è sempre l’amministrazione comunale a condurre la danza e a pagare il biglietto. Nel 2021, dall’unione di Azienda Multiservizi Casalese e Azienda Multisevizi Valenzana nasce AM+ la nuova società dell’idrico del Monferrato.
In circonvallazione Ovest sorge la Residenza Sanitaria Assistenziale per anziani non autosufficienti, inaugurata il 18/12/2006. Ha una capienza di 60 posti, è opera della fondazione Valenza Anziani, costituitasi nel 1997, e avrà un costo finale di circa 10 milioni di euro. Dopo una lunga opera di restauro, e troppi milioni spesi – è sempre agevole fare i prodighi con i soldi degl’altri – nel 2007 si rialza il sipario sul Teatro Sociale con un cincin di retorica. Resta fino ai giorni nostri il fastidioso acufene piscina comunale, fuori uso da una decina di anni e oggetto di disastrose depredazioni – giace nell’abbandono, degradata ormai a enorme rifiuto – ha condizionato non poco la “delikatessen” della politica locale, travestita, a secondo del caso, da statista o da rivoluzionaria, spesso teorizzando l’impraticabile e non riuscendo a mantenere il necessario.
Per i valenzani anche la vita religiosa si è complicata in questi anni: la diminuzione della natalità, la poca frequentazione della chiesa e l’età del clero in aumento hanno ultimamente portato ad affidare le cinque parrocchie valenzane e la cura delle anime a un unico prete. Le nostre “radici cristiane” sono ormai stranite, prive di tronchi, rami e foglie. Il cristianesimo è in agonia perché non c’è più il privilegio di avere una fede, anche se non dobbiamo fermarci ai soli dati della scarsità di fedeli alla messa poiché esiste una certa religiosità sommersa: una fede non praticata.
Insomma, ragioni di gaudio non ce ne sono. Probabilmente l’exploit degli anni fecondi della nostra amata città non è derivata da una maggior abilità o da un maggior impegno rispetto al resto del paese, ma da una congiunzione di eventi e di situazioni particolari. Sotto certi aspetti, è stata anche un’economia delle più avanzate, che rappresentava un futuro di crescita, in alcuni periodi tanto caldeggiata e applaudita. Un sistema che, per mezzo secolo, ha utilizzato il lavoro in forma individuale e non collettiva, in cui la ricompensa è stata rapportata alla produttività del singolo e non troppo ai meccanismi burocratici collettivi. Poi è andata come sappiamo e descritto; ultimamente la crescita del fatturato del distretto è dipesa prevalentemente dall’insediamento di brand mondiali, un tipo d’impresa orafa caratterizzata da una strategia basata sul forte investimento nel marchio e nell’immagine del prodotto. Un tipo d’impresa relativamente nuovo per il distretto in quanto le imprese di questo territorio, cavalcando l’onda, si sono sempre caratterizzate per avere una bassa visibilità sul mercato, non avendo mai privilegiato l’investimento sul marchio e sui canali distributivi diretti.
In questi ultimi anni abbiamo visto cose che non avremmo mai immaginato. Con il senno di poi, e dicendo quel che si è spesso taciuto, viene da chiedersi se le macerie del presente sono gli esiti del passato, se fosse vera gloria quella dell’oreficeria valenzana, se fosse reale e, soprattutto, se ritornerà: non ci sono basi certe per affermarlo, ma neanche per escluderlo.
Oggi scontiamo anche una fragilità inedita e il dubbio che non si valga nulla; i boomer rimproverano ai millennial di essere troppo nichilisti e rinunciatari, mentre questi biasimano i loro genitori per non essere stati abbastanza autorevoli nel difendere quanto avevano realizzato. L’arma del giudizio vale per tutti. In ogni caso, nessuno cresce senza ingombri, sfregi e amarezze.