Il vino e la formazione della Cantina Sociale di Valenza
Una nuova pillola di storia del professor Maggiora
VALENZA – Valenza ha sempre basato le sue risorse economiche sull’agricoltura, o, più adeguatamente, sulla vitivinicoltura. Le vigne hanno sempre coperto buona parte del territorio.
Gli esportatori e i mercanti di vino greci e romani hanno fatto affari con i produttori di vino celti della nostra zona e forse è con loro che Valenza avvia la viticoltura. Plinio il Vecchio pone il vino al primo posto tra i prodotti di questa zona, sinonimo di festività, ubriachezza e convivialità.
Durante il Medioevo i conventi e le abbazie diventano dei veri e propri centri vitivinicoli. Si passa da un colore che tende al bianco a un rosso pallido, al colore di una rosa rossa e infine al rossiccio. Nell’Alto Medioevo, oltre alle chiese, alcuni ordini religiosi della nostra zona possiedono masserie che danno rendite di una certa entità, grazie alla raccolta del grano, del fieno e alla produzione di vino. Nel Basso Medioevo, quando il calore è ancora garantito dal camino e l’illuminazione dalla candela, la campagna valenzana si spopola, sale il costo della manodopera, si preferisce l’allevamento a certe colture e solo la produzione di vino si mantiene costante.
Durante tutta l’epoca medievale, il vino è la bevanda polivalente per eccellenza dei valenzani – la media giornaliera di consumo per persona supera il litro. Viene impiegata non solo per fini alimentari, ma anche terapeutici, diplomatici e liturgici. All’epoca non esistono strutture per la conservazione, la bevanda viene consumata giovane e i vini meno invecchiati sono ritenuti migliori! È facile supporre che il sapore non sia così squisito, motivo per il quale di frequente sono adottati certi accorgimenti per migliorarlo: con l’allume, o, se è troppo tenue, amalgamandolo con il mosto cotto. Qualcuno ha da ridire, ma il fine giustifica i mezzi. La pratica più impiegata per migliorarne il sapore è aromatizzare il vino con le spezie o la frutta.
Nel Cinquecento il convento valenzano di San Francesco dispone anche di vigne situate alle porte di Valenza, che garantiscono 400 brente di vino l’anno. Nel Seicento i principali prodotti agricoli locali sono il vino – più di 20.000 ettolitri annuali di qualità mediocre – e il grano – più di 3.000 quintali. Nel Settecento questo prodotto valenzano non è di qualità troppa eccelsa, è di colore nero con molto tartaro e viene venduto principalmente ai pavesi e ai milanesi come vino da taglio e trasportato con barche attraverso il Po. Verso la metà dell’Ottocento a Valenza se ne producono circa 30.000 ettolitri l’anno, percorrendo la solita strada.
Agli inizi del Novecento siamo agli albori dell’agricoltura moderna. La minaccia di una crisi vinicola turba l’animo dei tanti viticoltori di Valenza che, già provati dalla devastazione causata dalla fillossera e dalla drastica riduzione dei loro ricavi, vedono nei commercianti di vini dei veri e propri sfruttatori che guardano solo al profitto reprimendo una certa moralità commerciale.
I socialisti e i repubblicani valenzani – Calvi, Marchese, Melgara, Oliva, Pozzi, Repossi, Ferraris, Visconti, Compiano e altri – sono tormentati al loro interno: hanno tendenze diverse nella gestione delle attività produttive, che si approfondiranno nel corso degli anni con idee sempre più contrastanti. Nel circolo socialista, luogo di infinite chiacchierate, scambi di vedute e progettazione di cooperative sociali locali, ci sono i sindacalisti insurrezionali da una parte e i riformisti gradualisti istituzionali dall’altra. È proprio un gruppo di questi ultimi a occuparsi della produzione locale agricola e vitivinicola in forma associata come mezzo di superamento della piccola proprietà capitalistica individuale e mezzadrile, sostenendo sempre di più la realizzazione di una cantina sociale locale. Si naviga nel campo delle ipotesi, quasi una sintesi tra attrazione aziendale e spirito giacobino per la causa.
Finora la mancanza di strutture, tecniche e tecnologie moderne ha giocato a favore dei compratori e degli intermediari del settore vinicolo, che hanno potuto acquistare l’uva a prezzi irrisori risparmiando sul prodotto finito. Per ovviare a tutto questo anche il consiglio comunale di Valenza, in mano ai liberali costituzionalisti – Abbiati, Angeleri, Keller, Vaccari e altri – aderisce all’iniziativa di creare la cantina sociale. Ma il problema, come sempre, è passare dalle parole ai fatti; poi c’è anche qualcuno che ne denuncia l’inutilità e la faccenda diventa motivo di scontro e di avversione.
La genesi di questa nuova associazione di produttori va di pari passo con la presa di coscienza da parte dei piccoli coltivatori della propria forza produttiva durante questi primi anni del secolo XX. Questa presa di coscienza, unita alla cooperazione tra tutti i viticoltori della zona, dovrebbe far nascere una certa solidarietà tra gli associati e fornire una garanzia commerciale generale nell’affidamento del prodotto; anche se i più non lo sanno e a molti poco importa.
Finalmente, il 4 giugno 1905, viene costituita in modo ufficiale la “Cantina Sociale Cooperativa di Valenza”, definita come “una società anonima cooperativa avente lo scopo di confezionare colle uve dei soci e con metodi razionali una o più qualità di vino…” I soci costituenti sono i fratelli Francesco, Giovanni e Pietro Pozzi, Giovanni Marchese, Ferdinando Keller, Carl’Alberto Ventura, Pasquale Annaratone, Paolo Pozzi, Luigi Ferraris, Massimo Pozzi, Felice Stanchi, Giovanni Cassola, Vincenzo Cassola, Paolo Francesco Ferraris e Mario Soave.
Lo statuto prevede una durata di nove anni prorogabile. Il costo delle azioni è fissato a 25 lire e tutti gli utili derivati dalla vendita dei vini prodotti dalla cantina sociale verranno suddivisi in modo equo fra i soci, dedotte le spese di esercizio e gli accantonamenti.
Il primo consiglio di amministrazione provvisorio è composto dai valenzani Ventura, Keller, Pavese, Pozzi, Stanchi, Annaratone e Ferraris; nelle susseguenti elezioni sono eletti Pozzi, Ferraris, Annaratone, Ventura, Keller, Marchese e Accatino. Giovanni Marchese è nominato presidente, Francesco Pozzi vice e Mario Soave – un ragioniere commercialista che più avanti diventerà podestà della città – segretario. Il direttore tecnico è Carlo Angeleri – importante politico liberale, principale promotore e finanziatore dell’impresa collettiva – che concede in affitto gli impianti e le attrezzature della sua cantina (capacità di circa 7.500 ettolitri) per un canone di 0,50 lire/ettolitro, rinnovato a 3.000 lire annue nel 1906.
Nel primo anno sono conferite uve per 40.000 miriagrammi (400 tonnellate) con grado medio sui 17, il prezzo all’ingrosso oscilla tra le 26 e le 27 lire a ettolitro e il problema principale, che si protrarrà nei decenni a venire, è costituito dai soci che non conferiscono tutte le loro uve alla cantina a norma degli impegni statutari. Il successo sociale deriva dal fatto che la cantina può recepire uve da quei piccoli vigneti in cui difficilmente ci sono rallentamenti o prolungamenti delle fasi di potatura o di raccolta.
La cantina sociale di Valenza ha a disposizione ragguardevoli risorse, può contare su professionisti in campo agronomico ed enologico e il piccolo vignaiolo, socio conferitore della cantina sociale, in molti casi può disporre della consulenza dei tecnici della cantina. Ma queste facilitazioni e utilità non vengono comprese dagli incerti e dubbiosi contadini dell’epoca, che accettano più per necessità che per convinzione.
Il 2 settembre 1906 viene approvato il bilancio consistente in 98.063 lire di entrate e 53.424 lire di netto ricavo dalla vinificazione. Nella stessa seduta si procede al rinnovo delle cariche e sono eletti Keller, Travella, Marchese, Accatino, Annaratone, Ventura, Ferraris M. I sindaci sono Compiano, Repossi, Robbia e i probiviri Bonicelli, l’avvocato Compiano e l’avvocato Visconti. Il consiglio elegge Giovanni Marchese presidente, Ferdinando Keller vice presidente e Carlo Angeleri direttore, che sarà sostituito l’anno successivo dal figlio Giovanni con altri vari rimescolamenti. Il consiglio si augura di trovare una nuova ubicazione il più possibile vicina alla tramvia che dovrebbe essere costruita nel nuovo anno, il 1907.
Purtroppo, la cantina Angeleri è ben presto impossibilitata a ricevere tutto il prodotto, così si autorizzano i soci a vendere l’uva residua per conto della cantina. Si discute continuamente sulla costruzione di una propria cantina; dirlo non costa nulla, costerà invece molto passare dalle parole ai fatti. Il geom. Baccigaluppi elabora un progetto con una previsione di spesa di 55.000 lire, ma in modo disarmante, reprimendo certe motivazioni, vincono gli ostili ad azzardi e non se ne farà nulla.
Nel 1908 la cantina, che ha 70 soci e produce 3.000 hl di vino, si trasferisce in affitto, per 2.000 lire annue, nei nuovi locali di proprietà di Angelo Salvi del Pero in via Alfieri, con l’ingresso principale di fronte all’attuale vicolo Del Pero.
Nel 1909 la presidenza è assunta da Paolo Stanchi, a cui seguiranno Giuseppe Marchese nel 1910 e più avanti Angelo Vaccari, Giuseppe Accatino ecc. Le vendite vanno bene, il prezzo medio è di 15 lire a ettolitro. Alfredo Mallarini è l’enologo direttore della cantina e resterà per circa mezzo secolo.
Fondare una cantina sociale è stato importante per questa città, ha cambiato la vita di molti di quelli che ne hanno fatto parte e del luogo in cui è sorta. Essa ha fatto vedere un modo nuovo di lavorare: unirsi per avere più garanzie, per dare più concretezza alla propria attività e per accrescere il frutto di tante fatiche. La Cantina Sociale di Valenza ha svolto un compito importante, assorbendo la produzione vinicola della zona, specie negli anni di crisi, e impedendo così l’impoverimento dei vignaioli. Per lungo tempo è riuscita a tenere i piccoli produttori di vino valenzani legati al loro territorio, evitando quel degrado che si verificherà più avanti quando alcuni di loro, per svariati motivi e in modo variabile, abbandoneranno le vigne.