Valenza e le battaglie di Bassignana nel Settecento
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – All’inizio del Settecento a Valenza centro ci sono circa 2.000 abitanti, in campagna ci sono 15 grandi cascine – approssimativamente con 500 dimoranti – il piccolo borgo di Monte ha quasi 300 abitanti e le varie case sparse ne hanno altrettanti. C’è il castello-rocca, con le fortificazioni interne ed esterne rovinate e migliorate più volte; questo è stato trasformato in cittadella militare, diverso dalla costruzione medioevale residenza dei feudatari demolita verso il 1557. C’è un numeroso presidio di soldati spagnoli, una grande piazza (oggi piazza XXXI Martiri), un podestà comunale, 2 notai, 4 medici salariati, 2 fanti comunali (polizia urbana), un prevosto, 8 canonici, un curato, 20 cappellani, 3 conventi di frati e 2 di monache (quasi più religiosi che anime da salvare).
Ormai qualsiasi iniziativa dei governanti spagnoli risulta aberrante agli occhi dei valenzani ed essi cominciano a non sopportare più questa satrapia con le troppe angherie e i troppi privilegi. La classe fortunata è sempre quella dei blasonati che detengono il potere politico, poi c’è il popolo sottomesso diviso tra il proletariato che vive stentatamente e la borghesia che è la classe media artefice del susseguente mutamento generale.
Nella prima metà del Settecento l’Europa è lacerata dalle guerre di successione – spagnola, polacca e austriaca – al termine delle quali si raggiunge un certo assetto, poi scombinato dalla bufera napoleonica. Tutte le guerre scoppiano sempre per interessi e supremazia e tutti gli imperi sono destinati a declinare e a cadere, è solo questione di tempo; i nostri avi hanno costruito gli imperi invadendo, uccidendo e saccheggiando.
Nel 1700 muore Carlo II di Spagna senza lasciare eredi e si solleva la guerra per la successione, dal 1702 al 1714. Dopo aver rotto con la Francia, il duca Vittorio Amedeo II di Savoia si allea con l’imperatore austriaco e libera Torino dopo quasi quattro mesi d’assedio, nel 1706, mettendo in rotta l’esercito francese-spagnolo. Proseguendo la corsa verso Milano all’inseguimento delle formazioni borboniche, Eugenio e Vittorio Amedeo II penetrano nel territorio ducale, occupandone i centri abitati e mettendo sotto assedio le principali piazzeforti, tra cui Valenza – presidio franco-spagnolo – che si arrende senza troppo combattere. Ben presto francesi e spagnoli se ne vanno dall’Italia e Valenza resta ai Savoia, con ogni suo derivato tossico. Il consiglio della città giura fedeltà ai nuovi sovrani. Podestà del momento è G. M. Arrigoni.
Terminata l’appartenenza di Valenza al Ducato di Milano, durata poco meno di quattro secoli – 1370-1707 – anche la vicina Alessandria entra a far parte del nuovo Regno di Sardegna. Il trilatero di fortezze spagnole a sud del Po (Valenza-Alessandria-Tortona) è definitivamente scomparso; spia paradigmatica della nuova aria che tira. Nel corso del tempo questi popoli, che hanno dominato per secoli l’Europa, hanno portato usanze, costumi e alcune espressioni del linguaggio dialettale che ancora sussistono nella nostra città.
Con il Trattato di Utrecht del 1713, Vittorio Amedeo II si assicura definitivamente la nostra città e tutto il Monferrato: nasce il Regno Sabaudo. Per raffreddare una situazione locale incandescente, conferma i titoli e le franchigie di cui Valenza già godeva, le rinnova il titolo di “città” e la elegge capoluogo della provincia di Lomellina, una qualifica che durerà poco. In seguito Vittorio Amedeo II le conferma alcuni antichissimi privilegi: due fiere all’anno, un mercato settimanale con esenzione di dazio, il divieto d’introdurre in città vino forestiero, la possibilità di cacciare liberamente nel proprio territorio comunale, l’abolizione della tassa sul frumento e sul vino. Sostanzialmente è una cortina d’incenso sparsa “ad abundantiam”. Nel 1707 il Conte di Viancino è nominato comandante della piazza; lascerà il posto a Paolo Emilio Vellati dal 1709.
La città è costretta a fornire una decina d’uomini dai 18 ai 40 anni al nuovo esercito, il reggimento nazionale d’Asti, e, più avanti, al reggimento di fanteria provinciale Casale. La scelta delle reclute è affidata al consiglio comunale secondo il criterio della famiglia d’appartenenza, ma nessuno è scelto tra quelle più benestanti. Più complicati sono i rapporti tra casa Savoia e il vicariato di Valenza della diocesi di Pavia. Il Re di Sardegna non è contento che una parte del suo clero sia amministrata dallo straniero – Pavia è austriaca, avvinta dal giansenismo.
Come in una commedia surreale, dove conta solo l’esteriorità, in questi anni di finto quietismo dittatoriale, per formulare le varie giaculatorie di fedeltà e di lealismo, vanno a scodinzolare davanti alle ciabatte della corte di casa Savoia diversi parsimoniosi e decorosi rappresentanti valenzani che stanno nel cerchio magico. Gli omaggianti iniziali del 1707 sono: Ottaviano Capriata, Carlo Del Pero, Marc’Antonio Bombello, Alessandro Romussi, Gaspare Cagno, Alonso de Cardenas. Più avanti, dopo il 1746, Camillo Capriata, Stefano Piazza, Vincenzo Salmazza, Carlo de Cardenas, i sindaci Dardano e Del Pero.
Nel 1722 sorge la Congregazione di Carità con il fine di distribuire il pane ai poveri, i benefattori dell’iniziativa sono i Salmazza. Sembrerebbe una crociata in difesa dei derelitti, ma in realtà è utile per essere proclamati e procacciarsi autorevolezza nella città. Dal 1727 si dà luogo a nuove importanti opere di fortificazione in cui sono impiegati ben 250 lavoranti. Nel 1730 il consiglio comunale elegge due valenzani al Real Senato di Torino, sono gli avvocati D. Alonso De Cardenas e Ottaviano Capriata dalla retorica potente e suggestiva.
Gli anni 1742-1743 sono ingarbugliati a causa della questione Monte. Il re Carlo Emanuele III rifiuta al feudo-sobborgo, forse il luogo del primo insediamento di Valenza, di costituirsi comune indipendente. È un umiliante schiaffone in faccia che fa evaporare le ultime speranze di alcuni preminenti locali, per vocazioni diffidenti. Allora Valenza decide di acquistarne il dominio, che già amministra. Grazie al talento e a un uso sapiente della filosofia da martire, il delegato valenzano alla trattativa con il governo di Torino, Giuseppe Campi – quasi trasformato in santo laico – chiude per 7.500 lire che i sindaci Luigi Mario e Dardano – dal 1726 il consiglio comunale unico elegge due sindaci “gemelli” che non paiono certo a Castore e Polluce – messi maluccio come cassa, ottengono in prestito dai consiglieri Vincenzo Salmazza (Priore dello SS. Sacramento), Bartolomeo Campora e da un personaggio casalese. Sostanzialmente il feudo è ricongiunto, Valenza diventa “Contessa di Monte”, titolo comitale che manterrà fino al 1798. Nasce la cattiva abitudine di contrarre debiti, con pericolo d’insolvenza, che non abbiamo mai perso.
Nel 1722 Lazzarone riceve dall’Augusta Casa una patente speciale per reggersi come comune e resterà così fino al 1929, ultimi atti trasferiti nel 1938, quando dovrà passare sotto l’amministrazione di Valenza. Molti Te Deum sono cantati nelle chiese valenzane per lo scampato pericolo dei turchi penetrati in Europa, grazie alla stretta alleanza tra Russia e Austria. Ma negli anni 1745- 1746, c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, Valenza subisce ancora deplorevoli assedi che perpetuano gli antichi fantasmi.
Durante la Guerra di successione austriaca, il 27 settembre 1745, una certa realtà torna a bussare in modo tragico e irriducibile, e per la popolazione non c’è scampo. Nella nostra zona ha luogo la famosa battaglia di Bassignana tra l’esercito franco-spagnolo – composto di 70.000 uomini agli ordini del maresciallo Jean-Baptiste François Desmarets marchese di Maillebois, dell’Infante Filippo e di Jean Thierry Dumont conte di Gages e quello sardo-austriaco di circa 50.000 effettivi al comando del re di Sardegna, Carlo Emanuele III di Savoia, tra cui 15.000 austriaci comandati dal generale Matthias Johann Graf conte di Schulenburg. Gli austriaci, però, sono accampati al di là del Po, a Pieve del Cairo, e diventeranno spettatori impotenti poiché impediti a intervenire dall’incendio dei ponti di barche sul fiume. Ben presto si allontaneranno per andare a proteggere Milano, lasciando Carlo Emanuele III da solo, schierato sulla riva sinistra del Tanaro, con l’ala destra delle forze a Pavone e l’ala sinistra a Bassignana. I piemontesi schierano 28 battaglioni di fanteria, 61 compagnie di cavalleria e 27 pezzi di artiglieria, posizionati alle pendici delle colline circostanti; combattono all’incirca 22.000 fanti e 3.500 cavalieri. Le forze franco-ispaniche hanno approssimativamente 60.000 fanti, 8.000 cavalieri e 30 cannoni.
Il fiume Tanaro in magra non ostacola i franco-spagnoli provenienti dalla zona Piovera-Alluvioni e diretti a Valenza. Il marchese di Maillebois e il conte di Gages attaccano all’alba con 65.000 francesi spagnoli e napoletani e, in una battaglia cruenta, sorprendono la fanteria sabauda nei loro campi e conquistano il passaggio sul Po presso Bassignana e quello sul Tanaro a Rivarone-Montecastello. Gli attaccanti occupano presto anche gli stessi paesi di Rivarone, Moncastello e Bassignana. Nello scontro i carabinieri e i granatieri della guardia reale spagnola si distinguono per la loro efficienza.
Di fronte al numero sopraffacente del nemico, l’esercito sabaudo è inesorabilmente messo in rotta. Anche la cavalleria piemontese è ferocemente annientata da quella spagnola nella frazione Pellizzari, così la fuga dei valorosi sabaudi verso Valenza diviene generale. Sotto le mura di Valenza i fuggitivi si fermano e provano a riordinarsi. Nel tardo pomeriggio Carlo Emanuele III crea una linea di resistenza, addossandosi alle fortificazioni cittadine e disponendo i suoi soldati su più ranghi in una zona compresa tra l’attuale viale Oliva e il poggio di Mazzucchetto. I franco-spagnoli evitano un ulteriore scontro e ripiegano verso Bassignana, dove allestiscono il campo per la notte. La battaglia pare ormai terminata, è durata un solo giorno.
L’esercito franco-spagnolo dunque va ad assediare Alessandria difesa dal marchese Isnardi, il quale, dopo una certa lotta, abbandona la città al nemico e si chiude con il presidio nella cittadella. Bloccata questa, i franco-spagnoli muovono nuovamente contro Valenza, difesa dal comandante governatore sabaudo marchese Balbiano, il quale, dopo una vigorosa resistenza, non potendo continuare a tenere testa agli assalitori, distrugge le artiglierie e si ritira a Casale nell’ottobre del 1745.
Nel frattempo il Re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia ha tenuto a Valenza un consiglio di guerra austriaco-piemontese con il quale lascia una sola guarnigione di truppe sarde a difesa della città, che in questo modo non riesce a resistere alle forze preponderanti dei franco-spagnoli.
Nonostante i molti movimenti e i molti scontri, nella battaglia di Bassignana le perdite non sono state troppo elevate. In questa giornata disastrosa, per l’esercito piemontese le perdite sono state di circa 300 morti e i feriti e i prigionieri 1.200. Per i vincitori i deceduti sono stati 200 e i feriti 300. Nella notte tra il 27 e il 28 settembre 1745, nell’accampamento dei militari francesi e spagnoli a Rivarone, si irride alla disfatta del Re Carlo Emanuele III e dei suoi “mangiapolenta” ignorando che, dopo meno di un anno, i mangiapolenta li cacceranno definitivamente da tutto il territorio.
Pochi mesi più tardi, il 4 maggio 1746, dopo 13 giorni d’accerchiamento e ripetuti violentissimi attacchi, le truppe del restaurato esercito piemontese agli ordini dell’autocratico barone Leutrum – Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum – ottengono la resa della città – quartiere generale iniziale del comandante francese Maillebois, giunto a sostegno in ritardo – e la riconquista di quanto perduto. È l’ultimo reale assedio di questa città, una sorta di resa dei conti finale e di riscossa implacabile con il ritorno allo status quo ante della città sotto il potere del Piemonte. Valenza, che non si lascia mai conquistare docilmente, è stata difesa valorosamente dallo ieratico governatore spagnolo don G. Giovanni Scoques, zavorrato da mediocri e controversi compagni di lotta.
Altri avvenimenti tragici di lotta armata si sono compiuti nelle soste tra tutti gli assedi descritti, in cui buoni e cattivi si sono sempre confusi tra gli arzigogoli dei potenti sempre in lotta per disarcionare qualcuno, facendo soffrire a lungo questa città oltremodo attaccabile, ma, forse, troppo altera.
Nella seconda metà del Settecento, mentre i proprietari terrieri e i commercianti accrescono le loro ricchezze, sboccia la borghesia industriale. Due mondi che sembrano destinati a non incontrarsi mai. Una borghesia che, secondo i vari punti di vista, sarà illuminata o conformista – molti di questi nuovi ricchi vengono identificati come “furbi”, che spesso è un sinonimo di ladri. Cresce l’inquietudine e il morale della maggior parte dei valenzani è sotto i tacchi. O, più banalmente, tra l’umile manovalanza cresce la voglia di impugnare i forconi. È cambiato lo stile della politica governativa ma ne è rimasta intatta la sostanza, o meglio la disuguaglianza. La miseria assilla ancora gran parte della popolazione; non è insolito incrociare pezzenti e mendicanti sulle strade. La povertà galoppa ovunque, come la fame, ma anche questo conta poco per chi comanda. Come inevitabile conseguenza dell’indigenza e delle ristrettezze economiche, cresce il fenomeno del brigantaggio; non solo quello organizzato, ma anche quello degli agguati improvvisati e delle rapine. La strada che collega Valenza ad Alessandria è presa di mira da fuggiaschi e da criminali di ogni genere. Ne subiscono maggiormente le conseguenze i numerosi mercanti e uomini d’affari che necessitano di collegarsi con le due città.
Nel 1773 Valenza conta 4.500 abitanti divisi in tre classi: la prima è composta da 435 proprietari, 1.500 agricoltori e 250 artigiani e negozianti; la seconda da 452 persone tra ecclesiastici, notai, medici e servi; la terza da 80 poveri e mendicanti. Il resto è formato da regi impiegati, donne, minorenni e giovanissimi.
Nel 1788, con decreto vescovile del 24/08/1787, nell’antico convento prima dei Francescani e poi dei Domenicani eretto a fine Cinquecento e dedicato a S. Giacomo – ultimamente scuole Carducci – viene aperto il seminario per i chierici, circa 40, di quella parte della diocesi di Pavia che si trova sotto casa Savoia. È una prima vera organizzazione locale di studi, frequentata da allievi interni ed esterni, di cui maggiore promotore è stato il vicario Orazio Cavalli e primo rettore don Vincenzo Poli.
Si chiude la Rivoluzione Francese con l’ascesa al potere di Napoleone, che dopo pochi anni si proclamerà imperatore, con buona pace della Repubblica rivoluzionaria.
Dopo l’armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, i francesi ottengono alcune piazzeforti, tra cui Valenza, utilizzata dallo stesso Bonaparte sino alla battaglia di Lodi del 10 maggio 1796 per minacciare i vicini austriaci, con effetti di guerra in “stand by”.
Dal 1796, a periodi brevi e alterni, Valenza viene occupata più volte da Austria e Francia con scomparsa e riapparizione degli impresentabili. Ci sono migliaia di soldati che, come cavallette, divorano le risorse di questo territorio e ufficiali che si fanno ospitare dai vip valenzani dell’epoca, lasciandosi dietro spiacevoli memorie.
Sebbene una minoranza ristretta dei valenzani resti sempre devota alla monarchia sabauda, sia ligia agli antichi ordinamenti, sia poco desiderosa di novità e di rivolgimenti, ogni sforzo del re Vittorio Amedeo III per tenere i piemontesi immuni dalla “lebbra” dei nuovi principi sparsi dalla Rivoluzione Francese sarà inutile. Alla sua morte, ottobre 1796, il sindaco avvocato Filippo Bolla e D. Carlo Francesco Annibaldi-Biscossa si recano a Torino per porgere il cordoglio di Valenza al nuovo re Carlo Emanuele IV.
Il popolo, invece, si è affrettato ad accettare i costumi di Francia, a trovare le nuove idee serie e incantevoli, ma ben presto appare chiaro a tutti che i francesi, grandi appassionati di libertà, non lo sono troppo di quella degli altri. L’ingresso nell’orbita francese, però, ha molte conseguenze positive anche per Valenza, come lo svecchiamento di forme decrepite di costume e un’idea della politica aperta e non più chiusa nel segreto di un gruppo ristretto.
Nel dicembre del 1798 si forma la “municipalità valenzana” – Dipartimento del Tanaro sino al 1799 – di tipo francese. Non piace quasi a nessuno, quindi in pratica non conta nulla. Troppo ammalata di manicheismo, è composta dai cittadini Vittorio Lebba, il presidente, Angelo Foresti, Pietro Chiesa, Menada, Maria Marchese, Giovanni Oliva e Tommaso Ricchini; il segretario è La Thuille e il sottosegretario Giovanni Battista Quaglia. Sono quasi tutti gli stessi attori di prima, che, con brillanti capriole, ora recitano un altro copione, in un frullato di contraddizioni gonfie di ipocrisie trionfalistiche. Sono situazionisti, per non dire furbacchioni.
Da un lato alcuni borghesi e intellettuali si schierano a favore del nuovo governo valenzano-francese, scoprendo improvvisamente le virtù dei nuovi dominanti, prima ignote; o forse sono solo timorosi di perdere i propri privilegi. Dall’altro le forze contadine, istigate dal clero locale – non troppo dal parroco Francesco Marchese, un illuminato teologo – danno vita a un moto reazionario ostile ai francesi che si fa sempre più intenso ed entra nel vivo nel 1799 con una ribellione devastante in città. Viene ordinato di ristabilire le amministrazioni pubbliche. La nuova municipalità, forgiata da due poco disinvolti commissari–cittadini organizzatori del dipartimento del Tanaro di Alessandria, è rinnovata, ma non durerà molto. I membri sono Angelo Foresti, il presidente, Carlo Biscossa, Fedele Majoli, Marc’Antonio Mazza, Giovanni Antonio Pastore, Tommaso Ricchini, Francesco Antonio Terraggio; il segretario è Vittorio Lebba e il consegretario Giovanni Battista Quaglia.
Intanto, mentre Napoleone è in Egitto, tra il 1798 e il 1799, si è ripristinata l’alleanza europea tra Austria, Inghilterra e Russia contro la Francia e riprende la guerra. I soldati francesi sconfitti sull’Adige, sul Mincio e a Cassano d’Adda dai russo-austriaci nell’aprile-maggio 1799 si ritirano dalle nostre parti, guarnendo con una catena d’avamposti le colline intorno a Valenza. La divisione di Grenier è ripiegata verso Novara, mentre le forze dei generali francesi Victor e Laboissière sono arretrate a Valenza.
Per stanare l’Armata francese, 20 mila uomini tra Valenza e Alessandria comandati dal generale Jean Victor Marie Moreau, dalle sue posizioni il comandante degli eserciti austro-russi Alexander Suvorov (Suwaroff) ordina al generale russo Andrei Grigorevich Rosenberg di assalire i francesi a Valenza, attraversando il Po a Mugarone. Lo scontro brutale si svolge nuovamente tra Bassignana, Mugarone e Pecetto dove migliaia di combattenti perderanno la vita e con effetti devastanti sul territorio.
Così, a Bassignana, dopo circa mezzo secolo, il 12 maggio 1799, nell’ambito della guerra del secondo gruppo delle guerre rivoluzionarie francesi, si vive lo scontro tra le truppe francesi del generale Paul Grenier comandate dal generale Colli – 4 mila soldati provenienti da Valenza – e le truppe russe del generale Pëtr Ivanovič Bagration.
Mentre gran parte dei Francesi, 12.500 uomini, sono ancora ammassati nei dintorni di Valenza, il generale russo Rosenberg stabilisce una testa di ponte al di là del Po, all’altezza di Bassignana, nei pressi della confluenza con il fiume Tanaro. Settemila russi comandati dal generale Suwaroff passano il fiume e attaccano la brigata francese Quesnel nel paese di Pecetto, ma quando questa sta per essere sopraffatta dall’arrivo del Rosenberg e del ventenne Granduca Konstantin Pavlovič Romanov – il figlio dello Zar e erede al trono – la brigata francese di Gardenne arriva in soccorso da Valenza e scaccia i russi da Pecetto rimandandoli verso Bassignana, dove, dopo un aspro scontro con la divisione francese di Victor, sono costretti a ritirarsi al di là del Po lasciando circa 800 morti, fra cui il generale Zubaroff, e altrettanti fatti prigionieri. Il granduca Costantino stesso viene a stento salvato dalle acque del fiume mentre cerca di riguadagnare la riva nord. Il 18 maggio Moreau, con la sua armata francese, decide infine di abbandonare la sua sicura posizione tra Valenza e Alessandria per ritirarsi verso Torino e la Liguria (battaglia di Novi, 15 agosto 1799).
Alla luce di tutto ciò, eccitati da frati e preti, anche gli sdegnati valenzani e un drappello improvvisato di “massa cristiana” insorgono contro gli occupanti francesi locali, che reagiscono spietatamente: le divisioni e il caos regnano sovrani. Sono abbattute alcune insegne repubblicane e si da la caccia ad alcuni democratici locali, ma alla fine, nel maggio 1799, piegati dal generale russo Schweikowsky, i transalpini rimasti sono costretti a levar le tende e abbandonare la piazza avvicinandosi alla loro patria.
Ritornano così, per un tempo breve e dannato che va dal maggio 1799 al giugno del 1800, gli austriaci-russi; il governatore della città è Munkatsij. Tra il 20 maggio e il 28 agosto 1799 Valenza è costretta a fornire più di 100 mila razioni di pane alle truppe austriache e altrettanti a quelle russe con molto altro materiale e beni quali vino, legnami, foraggi, lavoratori, ecc. Cosacchi e Dragoni bivaccano in città. Le cronache ci raccontano di giorni di terrore: saccheggi, furti, violenze e prepotenze d’ogni sorta. Le donne non si allontanano dalle loro case, le più giovani vivono nascoste. Bande di ladri avveduti si aggiungono alle varie calamità, derubano persino i russi. Come sempre, nelle azioni efferate di questi malavitosi vi è frequentemente anche una ribellione alle iniquità che si vedono. I giacobini locali sono derisi e perseguitati, ma, dopo un anno, la buona sorte muta campo di nuovo.
Tornato dall’Egitto, Napoleone scende impavido dalle Alpi e con una sola battaglia, dalle nostre parti, recupera tutto il paese che gli alleati avevano occupato con tanta fatica e con molti sanguinosi combattimenti. Con la vittoria di Marengo del 14 giugno 1800 e relativo epinicio, il 21 giugno 1800 i francesi rientrano definitivamente anche a Valenza, rinvigorendo gli spiriti repubblicani e suscitando speranze ed entusiasmi, tra molte enfatiche astrazioni illuministiche. Il vasto complesso della Villa “La Voglina” di Valenza progettata da Filippo Juvarra, una storica magione posta sulla sommità della Colla, è utilizzato come quartier generale da Napoleone prima della battaglia di Marengo. Dal 1802 tutto il Piemonte è unito alla Francia, la Cisalpina assume il nome di Repubblica Italiana.
Alla fine del Settecento viene edificato uno dei palazzi più belli di Valenza, Palazzo Pellizzari, che accoglierà Napoleone e che oggi è sede del Municipio; mentre Palazzo Valentino, al tempo dimora del Municipio, è completamente ristrutturato nel 1799.
Questi i governatori o comandanti di Valenza nel Settecento: 1707 conte di Viancino, 1709 Paolo Emilio Vellati, 1727 Pietro de Zunica, 1728 t. colonnello Belmont, 1729 conte Campioni, 1745 marchese di Balbiano, 1746 Giovanni Scoques, 1749 marchese Fossati, 1755 generale De Roches, 1769 conte Asinai, 1770 conte Carlo Radicati, 1778 Robbio, 1779 Giacomo A.G. Bocca, 1785 marchese di San Giorgio, 1789 Giovanni Ambrogio Ghiaini, 1791 Tommaso Tizzoni, 1794 barone gen. Giuseppe Pernigotti.
Questi i prevosti o parroci di Valenza nel Settecento: Stefano Lana Giulio dal 1685 al 1713. Giovanni Battista Zucchelli dal 1713 al 1740, de Francesco Cardenas dal 1740 al 1781, Giuseppe Zuccaro dal 1781 al 1798 e Francesco Marchese dal 1798 al 1831.