La politica a Valenza: gli anni 70, 80, 90 del Novecento
Un nuovo approfondimento sulla storia della città del gioiello
VALENZA – Gli anni Settanta sono il decennio in cui si affermano i diritti civili (Statuto dei Diritti dei Lavoratori, divorzio, depenalizzazione dell’aborto, abolizione dei manicomi): l’Italia è un paese che lotta e si scontra con una militanza politica lontana anni luci dal nostro presente. Sono gli anni delle stragi, della lotta politica che degrada a lotta armata.
A Valenza nel 1971 su 23.061 residenti (censimento del 24-10-1971; aumento del 24,4% dal 1961) ci sono 10.524 posti di lavoro: 753 in agricoltura, 7.916 nell’industria, 1.855 nel terziario. È un luogo dove la retribuzione dei tanti orafi risulta grandemente ancorata al risultato e orientata a remunerare la capacità del lavoratore piuttosto che attenersi alle relative qualifiche annotate.
In questo periodo l’egemonia della cultura marxista, soprattutto nella sua versione gramsciana, è poco contrastata in questa città. Gli intellettuali della “rive gauche de noialtri” sono avversati da qualche metafisico cattolico privo di fascino e di mordente e da una pattuglia liberale con ossessioni anticomuniste. Molti diventano radical chic: vivono con gli agi e i privilegi della borghesia, ma ne disprezzano i pensieri e lo stile. Anche a Valenza è presente un certo antiamericanismo non solo di sinistra. Esiste un settarismo che non consente ancora di vedere oltre il pregiudizio e il paraocchi dell’ideologia.
L’area del potere politico locale – dal Comune alle municipalizzate, ai consigli di frazione, al comprensorio, agli organismi scolastici, all’USL, all’associazione orafa, alle accresciute commissioni, ai consorzi, alle cooperative, ecc. – si allarga sempre di più, fino a occupare ogni interstizio della società valenzana, con commistioni di incarichi a personaggi politici e sindacali multiuso o presunti tali, che possiedono evidentemente il propizio dono dell’ubiquità. Tanti pensano una cosa ne pronunciano un’altra e ne compiono un’altra ancora.
Nell’amministrare il Comune, la sinistra sviluppa un’intensa programmazione culturale (di solito con la propria impronta politica) e una ricca rete di servizi (asili, ecc.), ma vuole pianificare e controllare troppo le risorse pubbliche, facendone il dominio della burocrazia e dell’assistenza, confuse con la democrazia. Il Centro di cultura (aperto nel 1976) e la biblioteca, situati nel ristrutturato Palazzo Valentino, diventano la massima espressione di sapienza della città. Nel 1979 anche l’Ospedalino passa al Comune.
Nelle elezioni comunali del 1972, sono pochi i dubbi su chi sarà il prossimo sindaco. I comunisti, con la confluenza degli psiuppini, e i socialisti ottengono 18 consiglieri su 30. Le percentuali sono: PCI 46%, DC 29%, PSI 9% e PSDI 6%. Nel Comune è sempre l’autorevole sindaco Lenti a condurre la danza. In questi anni a Valenza si può dire che PCI e PSI non vivono l’uno accanto all’altro felici e contenti, ma meglio che possono, ma la passione che in passato ha animato molti militanti si è in parte disintegrata. Il 22/01/1973 viene formata la giunta, composta dalla solita compagnia: Lenti (sindaco, PCI), Rossi (PSI), Quarta (PCI), Gatti (PCI), Amisano (Ind. PCI), Capra (PSI), Barberis (PSI).
Intanto le difficoltà non mancano. Siamo nel 1973, si va verso la tempesta perfetta: alla guerra tra Israele e Paesi arabi, alla crisi energetica con il divieto di circolazione delle auto alla domenica, i programmi televisivi spenti a una certa ora, la riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale. Un’austerità che pare l’autarchia mussoliniana del trentennio. A sinistra si spera che sia l’occasione per dare una spallata al capitalismo.
Il 12 maggio 1974 si vota il primo referendum abrogativo della legge sul divorzio, del 1970. Se nel paese i toni sono particolarmente aspri e violenti, a Valenza le forze politiche locali sono poco dinamiche nella campagna elettorale; solo la Chiesa e la parte democristiana più impegnata, che parla mutatis mutandis come un parroco d’altri tempi, si battono per una cancellazione, secondo tutti improbabile. Su 15.797 votanti, i favorevoli all’abrogazione (Sì) sono 3.502, mentre i No sono ben 11.924. Nel Paese il 59% si esprime contro l’abrogazione e il 40% in favore.
La Regione ha sostituito lo Stato in alcuni compiti (dal 1970), aggiungendosi alla mano morta della burocrazia statale. A Valenza nelle seconde elezioni regionali del giugno del 1975, il PCI ottiene il 49%, la DC il 25% e il PSI il 10%. Nelle politiche del 1976 (Camera), il PCI ottiene il 40%, la DC il 34%, il PSI il 10%. In quelle del 1976 il PCI è al 49%, la DC al 27% e il PSI al 9%. In quelle del 1979 il PCI raggiunge il 44%, la DC il 27% e PSI il 10%.
Sono decollate le radio private locali; a Valenza sono diventate tre in poco tempo (Radio Valenza, Gold, La Nuit). L’inflazione viaggia a due cifre, ma Valenza ha il primato delle utenze telefoniche (circa 8 mila apparecchi) e delle auto (quasi 10 mila).
Nell’Associazione Orafa l’arrampicata all’empireo prosegue. E’ presieduta (sin dal 1957) dall’autorevole veterano democristiano Luigi Illario fino al 1974, poi dal condottiero sinistrorso Giampiero Ferraris che nel 1979 dovrà togliere il disturbo lasciando il posto al nuovo democristiano Paolo Staurino.
Alle elezioni comunali del maggio del 1978 il PCI è al 46% (16 seggi), la DC al 31% (10 seggi), il PSI all’11% (3 seggi) e il PRI al 5% (1 seggio); Luciano Lenti, adagiato nel suo ruolo e sempre più accusato di bonapartismo dall’opposizione, viene rieletto sindaco. La giunta del 13/06/1978 è composta da: Lenti (PCI), Siligardi (PSI), Ghiotto (PCI), Tosetti (PCI), Vecchio (PCI), Capra (Ind.sin.), Negri (PSI).
Dopo la votazione del 1979, un certo sgomento corre nelle file del PCI valenzano, che ha avuto una perdita di suffragi del 4,63% alla Camera; ancora più negativo è il risultato delle europee. Dicono che sia solo la moda del momento, che ha fatto spostare le simpatie verso i radicali. Anche nel 1980 si vota, alle regionali e alle provinciali. Il PCI si conferma ancora una volta il primo partito della città; secondo i voti espressi nella scheda regionale, nel 1975 (l’anno dell’impennata in avanti) aveva il 49%, nel 1979 alle politiche è sceso al 44,2%, in queste elezioni regionali è al 45%. La percentuale di quest’anno è un pochino più alta alle provinciali (46,21%).
Dall’altro lato la DC, che da tempo mantiene un atteggiamento morbido verso chi governa la città, rispetto al 1975, guadagna un 1,36% alle regionali (26,4%) e un 2,35% (27,39%) alle provinciali. Ma c’è uno schieramento che turba i sonni dei politici, quello degli incerti, degli indecisi e quelli acrobatici che dicono tutto e il suo contrario. Sono sempre di più le schede bianche e quelle nulle.
Nella sequela di appuntamenti elettorali degli anni Settanta, s’ipotizza che il voto operaio sia andato per il 70% al PCI, per il 15% alla DC e per il 7% ai socialisti; che gli artigiani abbiano votato comunista per il 60%, democristiano per il 20% e socialista per il 10%; che gli impiegati abbiano votato la DC per il 50%, il PCI per il 22%, il PSI per l’8% e i repubblicani per il 9%; che i commercianti abbiano scelto la DC per il 55%, il PCI per il 15%, il MSI per il 10%, il PRI per il 10% e il PSI per il 5%.
Abitualmente, quando non vota per spinta clientelare – favori in cambio del voto dal candidato comunale “amico” scritto sulla scheda – l’elettore valenzano si comporta come se fosse allo stadio, barrando il simbolo per il quale fa il tifo. Pochi ragionano senza paraocchi con puro buonsenso; molti, immersi nella propaganda, continuano a reputare la voce del proprio partito come l’ unica verità.
I valenzani apprezzano ancora certe altre “manifestazioni politiche”, le varie feste e sagre di partito (Unità, Amicizia, Avanti) che sono mantenute come nel passato. Ristoranti, bar, balli, giochi, ecc. riescono ancora a soddisfare i desideri estivi dei potenziali elettori: un incrocio tra passatempo, politica e divertimento.
Il bilancio comunale di previsione del 1978 si chiude obbligatoriamente in pareggio attorno agli 8 miliardi di lire, ma c’è un indebitamento di 7,5 miliardi che, partendo da un’amministrazione senza debiti nel 1972, è cresciuto in modo costante fino a raggiungere questa cifra consistente.
Se nell’Italia degli anni Ottanta, trionfa il pentapartito e la lottizzazione, spesso condita di tangenti, nel mondo occidentale si afferma un neoliberismo conservatore che si affida al mercato e alla concorrenza per favorire la crescita.
La Cina Mao-capitalista inizia a produrre magliette e giocattoli di plastica quasi come regali. Infine si verifica l’evento che glorifica gli anni Ottanta: il giorno del 1989 in cui cade il muro di Berlino, seppellendo con esso il comunismo reale e tutto il suo discredito.
Valenza vive un decennio politico alquanto turbolento, in cui si respira un’aria di odio e di insofferenza, in mobilitazione permanente. In Comune si susseguono governi incapaci di decidere, costretti spesso a sfibranti mediazioni tra dei soggetti politici poco compatibili tra loro. All’inizio degli anni Ottanta ci sono diversi dissidi locali tra il PSI e il PCI; ormai i rapporti tra i due partiti, che da molto tempo governano la città in uno status d’intangibilità, cioè ampio e confidenziale, non sono più idillici. Il matrimonio è logoro e traballante, la divaricazione si sta allungando con molti bassi e pochissimi alti e una situazione nazionale che non aiuta.
L’amen è recitato nella seduta consiliare del 17 marzo 1982: con un certo furore, i socialisti denunciano un comportamento egemonico da parte del PCI e si dimettono dalla giunta, dove i comunisti restano soli e isolati al governo monocolore della città. Sono egemoni nei numeri (16 su 30 consiglieri), grazie a una buona dose di fortuna nelle ultime comunali (45% dei voti), ma sono politicamente in difficoltà fino alle prossime elezioni: più di leadership che di consensi.
Si torna alle urne il 27-28 giugno del 1983, per i valenzani ci sono politiche anticipate e le amministrative comunali. Sono queste ultime che riscaldano l’ambiente e cacciano sulfurei veleni. La novità maggiore è rappresentata dal Polo Laico, la lista che PRI, PSDI e il PLI hanno deciso di presentare congiunti. Dopo lo scrutinio, le novità sono tante. È secca la debacle della DC (-6%), che perde 2 consiglieri, passando da 10 a 8. Il PCI lascia poco in percentuale (-0,6%), ma non riesce più ad avere la maggioranza assoluta, passando dai 16 ai 14 seggi. Il PSI guadagna un punto, ma resta fermo a 3 consiglieri. Sulle ali dell’affermazione nazionale e cavalcando temi locali di ampio consenso, il Polo Laico centra l’obiettivo di portare 4 consiglieri in Comune, risultando il vero vincitore di questa consultazione. Il Movimento Sociale conquista un seggio che intacca la possibilità di cambiamento del governo cittadino e che paradossalmente avvantaggerà il suo peggior nemico, il PCI. I comunisti hanno ottenuto il 45,16%, i socialisti il 12,01%, la DC il 25,09% e il Polo Laico il 13,99%.
Di fronte a questo quadro l’anima e la psiche svaniscono, non c’è più il dissenso ma solo il disprezzo: tutti contro tutti. Studiando sulle carte come salvare capre, cavoli e cavolfiori, i comunisti devono scegliere tra due opzioni: calare le braghe – non è il massimo della reputazione – oppure dire addio a certe poltrone. Alla fine se ne devono fare una ragione e offrono al PSI la carica di primo cittadino, ma sale una sorta di ribellione interna.
Persone per bene e passeggeri a bagnomaria, i sindaci abbreviati e multicolori, quasi al di sopra delle parti per le bizzarrie della politica, saranno l’esegeta socialista Franco Cantamessa – dall’ottobre 1983 all’ottobre 1984 – e il socialdemocratico Gino Gaia – dal 1984. La giunta del 21/09/1983 è composta da: Cantamessa (sindaco, PSI), Bosco (PCI), Lenti (PCI), Ghiotto (PCI), Di Pasquale (PCI), Leoncini (PCI), Monaco (PSI); quella del 9/10/1984 da Gaia (sindaco, PSDI), Manenti (DC), Staurino (DC), Regalzi (DC), Belzer (PLI), Cantamessa (PSI), Monaco (PSI).
CONSIGLIO COMUNALE 1983
Tuttavia a Palazzo Pellizzari la ruggine tra i due partiti rimane e la situazione appare sempre più inconciliabile. Il risultato di questi grovigli è che non si riesce ad approvare il bilancio e a fine giugno del 1985 la bocciatura diventa definitiva. I 16 voti necessari non ci sono, così arriva il commissario prefettizio, che trova un Comune con le casse vuote e che dispone la consultazione elettorale per il 20/10/1985. Perciò i tifosi della dittatura del proletariato ricevono dal sol dell’avvenire la spintarella finale e in seguito alle nuove elezioni del 1985 – PCI 41,85%, DC 30,33%, Polo laico e PSI 20,68% – devono lasciare Palazzo Pellizzari.
Abbandonate le forme sbarazzine delle tricoteuses e ribaltando le posizioni di lunga durata, i socialisti si alleano con i democristiani – un mix di veterani e sbarbati più devoti alla politica che alla fede – che finalmente diventano manovratori, e il Polo Laico, composto da repubblicani, socialdemocratici e liberali che, uniti a coorte per regnare sulla città, nuoteranno assai per non sprofondare. Il nuovo sindaco è Cesare Baccigaluppi, filantropo e socialista che governerà dal 1985 al 1991. La giunta del 02/12/1985 è composta da: Baccigaluppi (PSI), Manenti (DC), Staurino (DC), Regalzi (DC), Belzer (PLI), Gaia (PSDI), Monaco (PSI).
Sbigottiti e quasi turlupinati, gli eurocomunisti valenzani smettono di spadroneggiare, come sovente capita a chi ha successo da troppo tempo e arriva a sentirsi invincibile. Suscita qualche sorriso un gruppo dinamico in città molto vicino all’estrema sinistra operaista, con pochi operai e qualche anarchico rosè, ancora immerso nel vittimismo sessantottino, legato a un progetto politico radicale, ma che ha il difetto di assomigliare a un sogno, fatto di pensieri leninisti-maoisti più citati che letti.
Il 14 giugno 1987 si tengono nuovamente le elezioni politiche anticipate. A Valenza il crollo dei comunisti – 35,8% alla Camera e 37,9% al Senato – è il segno che il vento per loro è davvero cambiato. Nel centro dati Valentia ci sono musi lunghi e perplessità: finirà mai questa discesa?
I socialisti sono euforici per aver superato la fatidica soglia – 12,6% alla Camera e 12,1% al Senato – i democristiani contenti per il risultato che li vede aumentare – 25,2% alla Camera e 26,2% al Senato – e i laici meno contenti – sono quasi un memorandum del loro passato. Il risultato più sensazionale è quello missino: quasi mille voti alla camera. Dal dopoguerra in questa città pochissimi sono stati tanto ardimentosi da esporsi così apertamente.
Intanto cresce a dismisura il debito pubblico italiano. Nel 1987 raggiunge il 92% del prodotto interno lordo, nel 1991 il 104%. Molti quattrini dei contribuenti sono spesi per mantenere i dipendenti o per gonfiare gli organici e non avanza quasi nulla per soddisfare le nuove esigenze dei cittadini. In questi anni di edonismo nel settore pubblico molti passano dalla nullafacenza alla pensione. Mai nessuno che prenda le forbici per fare i dovuti tagli, l’idea stessa non sembra sfiorare nessuno.
Il 18 giugno 1989 si va alle urne per l’Europa. La “cosa” di Occhetto non convince i nuovi elettori valenzani e neppure buona parte di quelli tradizionali. Allo spoglio il PCI valenzano è ancora in discesa con 5.203 voti (35,95%), lo stesso la DC che ottiene 3.671 voti (25,37%), soddisfatto il PSI con 1.990 voti (13,75%) e ancora di più il MSI con 689 voti (4,77%). Vanno male i socialdemocratici, i liberali e i repubblicani. Vanno bene i verdi (488 voti) e la nuova formazione “tribale” con il carisma della verginità: la Lega (399 voti).
Negli anni Novanta il crollo del comunismo poteva far pensare a un periodo politico meno problematico e turbolento, ma i fatti smentiranno le attese. Gli elettori italiani cessano di votare i 5 partiti rifugio (DC, PSI, PSDI, PLI, PRI) che hanno governato il paese per quasi mezzo secolo e puntano sui nuovi movimenti. Arrivano la Lega e l’inchiesta mani Pulite, che fa crollare la Prima Repubblica a colpi di inchieste giudiziarie. Nel 1994 scende in campo Silvio Berlusconi, poi, con il ribaltone, nel 1996 arriva la sinistra di Prodi e infine, senza il tagliando elettorale, tra il 1998 e il 2000 c’è D’Alema.
All’inizio degli anni 90 questa ex “Città del Sole” pare ormai quasi un laboratorio-dormitorio, la si voleva riformare e la si è incendiata. I servizi sono andati a ramengo (Enel, Sip, ecc.), non c’è neppure un cinema, anche l’ospedale è in procinto di chiudere. I giovani “per vivere” gravitano altrove.
Nella Valenza politica degli anni Novanta, sopravvive ancora lo zoccolo duro di una sinistra, ormai logora e di maniera, strumento di un’amministrazione comunale in gran parte postcomunista. Ma nel popolo si sono inesorabilmente appannati taluni ideali proletari, è scomparso un certo impegno politico: quasi una nuova rivoluzione generazionale. Soprattutto i valenzani comuni coltivano sempre più disaffezione verso la politica stessa, molti sono incapaci di schierarsi perché di qua c’è gente di cui vergognarsi e di là gente di cui non si fidano. È un malessere diffuso in ogni ceto sociale.
All’inizio del decennio 90 la crisi della Prima Repubblica è già in corso, ma non è ancora giunta alla fase cruciale. Nella tornata elettorale comunale del maggio del 1991, gli schieramenti che si affrontano sono sei e godono ormai di scarsissima stima. Il PSI e i Laici, facendo i simpatici a comando, restano uniti in una coalizione impolitica che di unità ne ha vista poca al di là delle ipocrisie, messa assieme solo a scopo elettorale, negli altri perdura l‘incertezza e i leghisti rappresentano una grande incognita – sembrano degli extraterresti sbarcati da qualche astronave. Nessuno si preoccupa più di tanto, sbagliando clamorosamente.
All’indomani di queste elezioni, più temute che attese, Valenza sale alla ribalta dei più importanti quotidiani nazionali, che commentano la travolgente affermazione della Lega: 23.51%. Questa città diventa il simbolo di quello che potrebbe accadere a livello nazionale. I valenzani sono andati alle urne in maniera massiccia, con una percentuale superiore all’ 80% e hanno manifestato il loro malcontento verso i partiti tradizionali premiando la Lega.
Il PDS, ex PCI, ha subito un tracollo, perdendo 4 seggi, che lo hanno fatto scendere dai 13 ai 9. È crollato al modesto 28,85% (41,85% nel 1985), appena un punto e mezzo in più alla DC (26,99%) e con soltanto il 3,4% in più dalla Lega (23,51%) che ha ottenuto 7 consiglieri. Il Polo laico socialista esce con le ossa rotte, perdendo per strada un terzo della sua forza: meno 7%, ovvero dai 6 ai 4 seggi. Lo scudo crociato, intimorito dal baldanzoso altro scudo, contiene la perdita in un punto e mezzo dalle ultime elezioni del 1989, scendendo dai 10 ai 9 consiglieri. Sono penalizzati anche gli altri due gruppi politici laici. È segno di una profonda sfiducia, della distanza che ormai separa il cittadino dai partiti.
Lo stupore è enorme e la confusione regna sovrana. Tutti vogliono fatti e non parole, così arriva il colpo di scena: l’abbraccio “blasfemo” tra PDS e DC. Qualcuno afferma che si siano uniti in un matrimonio di interessi il diavolo e l’acqua santa. Il 3 luglio 1991 viene ufficializzata quest’alleanza innaturale per i tempi, priva di consistenza politica che non eccita gli idealisti. Per i primi due anni e mezzo è eletto sindaco Mario Manenti, il primo sindaco democristiano della città, il leader più in forma del momento. Egli scadrà come un yogurt e, successivamente, sarà sostituito nell’incarico dal pidiessino Germano Tosetti, vice sindaco e assessore al bilancio nel primo scorcio. La giunta formata il 03/07/1991 è composta da: Manenti (DC), Tosetti (PDS), Patrucco (DC), Vanin (DC), Ghiotto (PDS), Bosco (PDS), Bove (PDS).
Nel mese di novembre del 1991 la trasmissione televisiva “Profondo Nord” scompagina letteralmente la vita della città dell’oro, lasciandola stordita e senza fiato. In onda da Valenza, mette in mostra quanto sia presente l’evasione fiscale nell’oreficeria valenzana. Si crea una profonda disgregazione e uno sconcerto tra le forze politiche locali, con pericolose e ingloriose collisioni personali e non pochi periclitanti.
Attenuate le contrapposizioni ideologiche, nelle politiche del 1992 si produce una parcellizzazione della rappresentanza con una vera e propria inflazione di liste, un minestrone di simboli difficili da selezionare. Per la prima volta nella nostra circoscrizione appaiono i simboli della Lega Alpina Piemont, della Marco Pannella, della Rete, di Rifondazione Comunista, del Federalismo e di Referendum. Per Valenza i risultati di queste elezioni sono un terremoto che dà un altro scossone a un certo modo di fare politica, proponendo ai disorientati partiti una riflessione di fondo: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” dice una massima latina.
Quello che è successo sul piano nazionale ha coinvolto inevitabilmente la realtà locale. In preda a crisi di panico, stanno molto male la DC (2.735 voti il 17,31% alla Camera) e il PDS (3.143 – 19,89%), non sta troppo bene il PSI (1.635 – 10,36%), stanno discretamente Rifondazione Comunista (1.066 – 6,75%) e il Partito Liberale (714 – 4,52%), sta molto bene la Lega Nord che scoppia di salute rischiando un’ubriacatura (3.553 – 22,48%). Chi sta come può sono i valenzani, che cominciano a rendersi conto di trovarsi in un ginepraio dal quale sarà difficile venire fuori.
Il voto dimostra chiaramente, se ancora ce n’era bisogno, che il sistema attuale sia alla frutta. Negli ultimi tempi questa terra ha perso un po’ di rosso antico diventando più di un verde padano, tanto che pure qualche ex dirigente politico ha cambiato idea. Paradossalmente tra i partiti tradizionali quello che sembra resistere meglio è il socialista, ma tra poco sarà letteralmente spazzato via.
Nel frattempo, ha inizio il più drammatico e mediatico degli scandali economici e politici d’Italia: tangentopoli. Inquisiti e inquisitori sono sotto gli occhi dei mass media tutto il giorno. Valenza fa un tifo da stadio per i magistrati castigatori. Ai giorni nostri c’è chi pensa che il “cinghialone” sia stato l’incarnazione del male assoluto e chi invece ne onora la tomba sulla spiaggia di Hammamet, ma le rivisitazioni storico-politiche hanno sempre rivalutato il passato, forse a causa dei sensi di colpa.
I primi di febbraio 1994, a Valenza gli orfani della “balena bianca” costituiscono il gruppo di coordinamento PPI, che dovrà guidare il nuovo partito. Vogliono aprire un dialogo con tutte le forze politiche presenti a Valenza, ma rappresentano più se stessi che una certa parte di elettori. Alcuni dopo la forza della fede, hanno perso anche qualcos’altro: il trasformismo li ha decimati e ormai scarseggiano i vecchi democristiani doc.
Alla vigilia delle elezioni anticipate del marzo del 1994, scende in campo una nuova forza politica, Forza Italia – a molti sembra l’incitamento alla nazionale di calcio più che la denominazione di un partito. Alla base di essa vi è il potente regno televisivo del leader Silvio Berlusconi. I valenzani dimostrano ancora una volta di non essere refrattari alle novità: se nelle politiche precedenti premiarono la Lega, ora assegnano al neonato movimento di Forza Italia il 33,23% dei consensi. Un successo che infligge un largo distacco allo schieramento antagonista. Nel proporzionale il PDS ottiene 3.094 voti, contro i 5.318 di FI e i 2.401 della Lega Nord. Si dice (ancora oggi) che la cultura politica è di sinistra e il Paese è di destra.
I giovani hanno tendenzialmente optato per la flotta centrodestrorsa con qualche simpatia per la Lega, mentre i pensionati hanno preferito in larga misura la sinistra. Del resto anche alle Europee del giugno del 1994 Forza Italia – più che un nuovo movimento è un accogliente asilo per scampati dei vecchi partiti, una balena a metà strada fra il bianco e il rosa – ottiene elevati consensi, il 41,2%, quasi una valanga! Tutti gli altri partiti perdono colpi, si salva solo il PDS con un mediocre 19,5%.
Partiti che nascono, altri che si dissolvono in tanti rivoli, appiccicandosi addosso termini illusori quali libertà, democratico, popolare o altro: è una stagione amara per la politica, sembra di essere sul set di Satyricon. Qualcuno è mosso da ambizione personale, altri si sono adeguati al nuovo trasformismo, altri ancora smaccatamente schierati forse hanno sbagliato i calcoli.
Anche nelle elezioni regionali e provinciali dell’anno dopo l’elettorato valenzano conferma di indirizzare il proprio voto verso i partiti del centro destra. Il Polo per le Libertà, infatti, ottiene il 49,58% alle regionali. Forza Italia è il primo partito cittadino (34,29% regionali, 31,83% provinciali), è in ascesa anche Alleanza Nazionale (12,20% regionali, 11,44% provinciali). E’ buono il risultato del PDS (23,56%), cresciuto del 4% rispetto alle politiche dell’anno precedente e di Rifondazione Comunista (6,66%) migliorata di un punto.
Nel 1995 inizia la ristrutturazione del Teatro con vive polemiche tra i partiti per l’alto costo. Per tanti, soddisfa soltanto passioni viziose di un piccolo drappello di pubblico residuale terribilmente snob, quasi un delirio economico di rovina a spese dei valenzani.
Si vota nuovamente nel 1996. Per la camera proporzionale i risultati sono i seguenti: PDS 21,21%, FI 30,35%, Lega Nord 13,08%, AN 14,16%, PC 6,94%. Allo stesso modo, Valenza ha riconfermato la sua fiducia al Polo per le Libertà, risultato sconfitto nel Paese. È sempre più evidente che in questa città ci siano clericali non cattolici, comunisti che non odiano l’ingiustizia, liberali che non amano la verità e la libertà.
In consiglio comunale il gruppo leghista sembra una stazione, con arrivi e partenze; tra di loro non c’è stata troppa pace, sembra un residuato tardostalinista. La discussione sulla ristrutturazione della piscina coperta, del costo previsto di 870 milioni di lire, riporta il fiore all’occhiello dell’amministrazione comunista dei primi anni Ottanta alle sembianze di un crisantemo, poi trasformato in un autentico colabrodo. Comune e aziende municipali sono rigonfie di personale, sovente per sollecitazione. L’Ospedalino ha un passivo di oltre un miliardo di lire, l’unica voce attiva del bilancio è la farmacia comunale con un utile di circa mezzo miliardo. Ci sono vari modi per spendere male, ma facendo debiti è il più sicuro.
Ma ormai ci si prepara per le elezioni comunali del giugno del 1996, le prime con la nuova legge elettorale. Si voterà direttamente per un sindaco e c’è una modifica importante: il taglio dei seggi in Consiglio, che passano dai 30 ai 20 lasciando a casa alcuni emeriti lungodegenti. Per quanto riguarda la leadership dello schieramento, cioè il candidato sindaco, la sinistra propone quello uscente, Tosetti, che riuscirà ad affermarsi vistosamente.
La campagna elettorale non assume toni arroganti, addirittura viaggia quasi in sordina: in cotanta pacatezza di toni si parla di tutto e di nulla. Al ballottaggio vince Germano Tosetti con 6.778 voti (57,87%). I consiglieri eletti sono 8 per i PDS, 4 per il Partito Comunista, 3 per la lista Per Valenza, 1 per la Lega, 3 per Forza Italia e 1 per AN. Nel nuovo esecutivo comunale diversificato e troppo babilonese non ci sarà troppa pace, un giochino ad excludendum. La prima giunta è composta da: Tosetti, Barbadoro, Bove, Panelli, Maranzana e Santangelo. Dopo inenarrabili polemiche e visioni contrapposte, alcuni non vedranno l’ora di togliersi dai guai.
All’inizio del 1999 i veri “rifondatori del comunismo”, quelli che considerano ancora il profitto alla stregua di una ruberia, assistono attoniti alle stravaganti aperture coltivate dai DS – che hanno ormai cancellato la memoria comunista – verso i popolari, che chiedono al primo cittadino di disconoscere i programmi e le alleanze scaturite alle vittoriose elezioni del 1996, finché, nel luglio del 1999, in Comune è costituita una nuova maggioranza frastagliata e ballerina sancita con l’uscita di Rifondazione Comunista e dall’ingresso dei popolari e dei socialisti. I due gruppi entrati in maggioranza (PPI e SDI) non hanno resistito a compiere il solito ribaltone: si sono uniti con il PDCI, i Verdi e DS ricreando all’interno della giunta quella ammucchiata tanto ripudiata durante le ultime elezioni comunali.
Intanto, nel dicembre del 1999, si tiene il primo congresso dei Democratici di sinistra. La mozione di Veltroni ottiene il 90% dei voti degli iscritti locali.
Nell’aprile del 2000 si svolgono le elezioni comunali, una nuova sfida impegnativa. Forza Italia ha stravinto alle regionali, doppiando i DS, ma il voto per il Comune, ormai è cosa nota, fa storia a sé. Infatti Tosetti, appoggiato dalla cooperativa elettorale composta dai DS, dai Verdi, dai comunisti italiani, dai democratici, da Per Valenza e dal Centro popolare riformista, si riconferma al ballottaggio con 5.739 voti (54,38%) e ascende nuovamente all’olimpo. Tosetti è un rubacuori anche nell’elettorato del centro destra, ma in questi anni dietro il Re Sole marxista c’è sempre stato meno ceto dirigente: molti sono politici per caso e parecchi addestrati dai partiti non esistono più. È solo una strategia consociativa tollerante per protrarre in condominio e con destrezza il potere locale.
Con la nuova legge, già operante dal 1996, la giunta è scelta dal sindaco, anche fuori dal consiglio comunale, che da organo autonomo è divenuto quasi sussidiario. Tuttavia, nei partiti valenzani mancano sempre riflessioni scevre di preclusioni e di propaganda. Insomma, si resta su un terreno ambiguo – diversi stanno con un piede dentro e un altro fuori – con l’assenza di una classe dirigente adeguata, sempre più politicamente apolide e pragmatica, che ha gli occhi solo puntati sulle urne, in una eterna campagna elettorale. Il tutto in un equilibrio precario con contrapposizioni manichee che spesso falsano la realtà e mantenendo tutto come prima nel più glaciale disinteresse generale.