Le invasioni barbariche a Valenza
Un nuovo viaggio nella storia con il professor Maggiora
VALENZA – Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., sono molte le guerre, le carestie e i problemi sociopolitici che investono il nostro territorio. Sin dai tempi di Aureliano – dal 270 al 275 d.C. – da queste parti si sono affacciati gli Iutungi, gli Alemanni, gli Svevi e i Marcomanni, tutte popolazioni germaniche irrequiete che spesso cercavano le stragi. Erano i segni premonitori di una resa clamorosa e di un inevitabile destino di decadenza.
Le invasioni barbariche, inizialmente condotte con finalità di saccheggio e bottino da gruppi armati appartenenti a popolazioni che gravitavano lungo le nostre frontiere settentrionali, da semplici assalti si trasformeranno in inquietanti migrazioni di intere popolazioni nella penisola.
In questi periodi la nostra regione è spopolata dalle malattie, dalle carestie e dalla crisi economica, tanto che, nel 337 d.C., l’imperatore Costantino (m. 337) cerca di ripopolare il nord ovest con coloni Sarmati, che dovrebbero coltivar terreni e, soprattutto, fornire braccia agli eserciti; tra le quindici colonie della penisola, una viene installata nei pressi di Valenza. I Sarmati sono un popolo iranico corrispondente all’attuale Ucraina e al circondario federale meridionale della Russia.
Nel 476 d.C. le truppe romane di Oreste (m. 476) e quelle mercenarie avverse di Odoacre (m. 493) passano dalle nostre parti, con incidenti e devastazioni. Negli anni seguenti una massa di barbari invade la nostra zona; i nuovi venuti espropriano e, in molti casi, eliminano fisicamente i legittimi proprietari di terre e abitazioni. In quest’inverosimile e confuso momento storico, nel 490 transita un esercito di Visigoti e nel 491 calano orde di Burgundi, che saccheggiano, distruggono e fanno prigionieri molti residenti locali al fine di ottenere riscatti. Finalmente il regno di Teodorico porta un po’ di benvenuta tranquillità, anche in ambito religioso. Adepto dell’arianesimo, Teodorico (454-526) segue una politica di relativa tolleranza, e non solo per i suoi sudditi cattolici.
Valenza (Valentia) è integralmente cristiana, fede che fu particolarmente divulgata in tutta la nostra zona da San Siro e dal primo vescovo di Vercelli Eusebio, ora sorretta anche dalle prime fondazioni monastiche. Le dimore sono sparse sugli attigui poggi di Astiliano, Bedogno e Monasso, con le rispettive chiese. L’aquila romana è ormai da tempo affiancata alla Croce.
Facendo una disamina sobria e scrupolosa, è immaginabile che l’abbandono del vecchio insediamento romano e il raggruppamento dei tre borghi, tra il V e VI secolo d.C., sia dovuto alle occupazioni di questi rozzi forestieri in mobilitazione permanente, che provocavano sgomento, quasi un senso di terrore, come se non fossero umani; barbari che hanno trovato questo luogo allettante poiché robusto, prosperoso e situato in un’importante zona di movimento.
In questi tempi Valentia ha un perimetro ristretto (zona Colombina), la piazza principale è l’attuale piazza Statuto, la strada maestra l’attuale via San Massimo. Ci sono poche abitazioni e un limitato numero di dimoranti se confrontati al periodo romano precedente; molti sono stati falciati dalle scorribande e dalle calamità, vittime di un’epoca costellata di miseria, violenze e sconcezze.
Questi volghi nuovi arrivati non hanno la capacità di amministrare i centri abitati, perciò l’unico riferimento che resta nelle città e nei circondari in rovina è il vescovo. Lentamente, grazie all’espansione del cristianesimo e con la conversione dei barbari dall’arianesimo al cattolicesimo, egli assumerà tutti i poteri e sarà il punto di riferimento della civiltà e stigma sociale-religioso nel tenebroso periodo futuro.
La leggenda, per metà fiaba e per metà realtà, narra che sia San Massimo, il vescovo di Pavia, a prendere la decisione di radunare le sparse borgate di Valenza in un centro urbano più possente e difendibile. Questa ipotesi è probabile, data la facoltà organizzativa e l’autorità dei vescovi in quest’epoca in cui manca ogni traccia di potere politico e civile.
Le notizie documentate su San Massimo sono davvero poche. Il nome viene dal latino maximus, ricavato dal superlativo di magnus (grande), quindi con il significato “il maggiore”. Sono circa una quarantina i santi e le sante che portano questo nome. Il nostro San Massimo, nato da un’illustre famiglia valenzana intorno al 450, si dedica all’arte militare e forense, è un nobile di discendenza, un rigoroso osservante di Dio ma con i piedi piantati a terra, che per merito di nascita riceve la potestà temporale della città, al suo tempo una specie di parroco della chiesa d’Astiliano e con lo status di vero protagonista e futuro mistico patrono in saecula saeculorum. In seguito intraprende la carriera ecclesiastica, evangelizzando Valenza e i luoghi circostanti. Dal 499 è vescovo di Pavia, dove muore l’8 o il 9 gennaio 514. Tuttavia, occorre pure qualche sforzo di fantasia; ma si sa, gli oracoli vanno un po’ interpretati e i miti scompaiono difficilmente.
I Goti padroni della nostra zona, che non saranno belli da guardare o da menzionare, non possono fare peggio di quello che è già stato fatto a questo luogo.
Dopo 17 anni di dominazione erula, il regno gotico di Teodorico – dal 493 al 526 – porta la calma in un luogo disastrato e spopolato, ormai poco più di un borgo abitato. Alcuni tributi dovuti dagli abitanti delle nostre campagne e in particolare le imposizioni per l’alloggio e il vettovagliamento dei militari vengono eliminati. Ma queste insolite benevolenze ci fanno capire in quale disordine sociale e stato miserevole versi la popolazione valenzana in questi tempi.
In campagna i contadini sono scarsi e ridotti allo stato di servitù, con alcuni latifondisti stabiliti nelle loro abitazioni signorili. Le strade sono sinistrate, i terreni coltivati si sono ridotti di molto e la natura inghiotte i campi.
Poi, siccome non c’è limite al peggio, Valenza nel 538 è messa a ferro e fuoco anche dalle truppe dal famoso generalissimo bizantino Belisario (500 circa-565) comandate da Mungila, durante la guerra gotica nel Regno d’Italia sotto il dominio degli Ostrogoti, dal 535 al 540; ci sono molte vittime della violenza e parecchie persecuzioni. Anche le truppe di Narsete (478-573), altro generale bizantino di Giustiniano, durante il lungo e devastante conflitto vinto contro i Goti, i Franchi e gli Alemanni, investono parecchie volte la nostra zona tra il 553 e il 562. Intanto, il quadro generale peggiora sempre più; il prezzo pagato dalle nostre genti è alto, una spirale di insicurezza e violenza senza limiti e senza rispetto di alcun diritto umano.
Valenza – Valentinum, Valentia o Valencia, sono diversi i nomi attribuiti nel tempo – incapace di fare fronte sia al vigente che al futuro, è ormai un piccolo centro abitato – probabilmente fa parte della provincia delle Alpi Cozie – un tempo vivo, ma ora del tutto assoggettato. Pare rappresenti una località sepolcrale, essendo devastata anche dalle pestilenze del 543 e del 565, è priva di speranza, è un luogo in cui il degrado civile è profondo e l’unico motore è l’istinto di sopravvivenza carico di risentimento, se non di odio, nei confronti di altri popoli, poiché la colpa e sempre indiretta ed estesa a tutti.
È difficile, virtualmente impossibile, fare una valutazione del numero di abitanti del luogo. Si presumono diverse centinaia di persone, che vivono in una condizione di servilismo come lucciole nelle tenebre, soprattutto in case di legno ricoperte di paglia. I popoli aggrediti, dominati dalla paura, o si sottomettono o scappano affidandosi per la vendetta alla punizione divina.
Durante le guerre gotiche i Franchi e Burgundi hanno constatato che questa parte della penisola è molto fragile e si dispongono a prenderne possesso, ma in questo sono preceduti dai Longobardi. Infatti, dopo le lotte armate tra Imperiali, Allemanni e Franchi, Valenza viene sottoposta alla lunga dominazione dei Longobardi – dal 568 per circa due secoli – che sarà probabilmente quasi una fortuna per una città pressoché morta e risorta parecchie volte – terremoto del 615, episodi diffusi di lebbra.
Tra il 568 e il 569 i Longobardi iniziano la loro invasione della valle del Po. È un’intera popolazione – una sterminata moltitudine di Gepidi, Bulgari e Longobardi – non solo un esercito, che giunge dalle Alpi Orientali e si stabilisce anche dalle nostre parti senza che nessuno li possa ostacolare. Anzi, per evitare saccheggiamenti e devastazioni, le nostre popolazioni si consegnano subito ai nuovi invasori e invasati. I più rilevanti centri romani di questo territorio si sono ridotti a villaggi (Forum Fulvii e Valentia) o sono scomparsi (Libarna). Solo Dertona e Aquae restano vitali poiché sedi vescovili.
Questo territorio è inserito nella Neustria, la porzione nord-occidentale della Langobardia Maior del Regno longobardo estesa dalle Alpi occidentali all’Adda, e amministrativamente incluso nel ducato di Pavia. A Valenza e dintorni si stabiliscono alcune famiglie appartenenti ai Gepidi – superstiti di una stirpe gotica proveniente dalla Serbia e assorbiti dai Longobardi – che all’inizio seguono le loro tradizioni, ma ben presto sono attratte dalla civiltà latina, o comunque da quella di questo luogo. In conseguenza di ciò, con gli anni si avranno travasi vicendevoli di culture, in particolare dopo la conversione dei Longobardi al cristianesimo. In questo periodo si rafforza il nucleo urbano lungo le direttrici del vecchio castrum in zona Colombina. Le prime fortificazioni trasformano il borgo nel cosiddetto “castellario”, all’interno del quale si irradiano le poche strade interne.
All’originario linguaggio del ceppo celto-ligure, al quale il latino ha fornito la struttura generica e che ha subito le interferenze linguistiche degli idiomi criptici d’oltralpe (goti, burgundi, franchi), si sovrappone la lingua germanica dei Longobardi. Col tempo la lingua latina diventerà ufficiale e si abbandonerà gradualmente quella germanica, ma in pratica quella parlata della gente tenderà sempre di più al volgare locale.
Molti sono i toponimi di luoghi vicino a noi che possono essere fatti risalire ai Longobardi, in particolare quelli con suffisso in “engo” come Marengo, Murisengo, Odalengo, ecc.
Quello longobardo è un periodo storico di particolare interesse per l’evoluzione locale, poiché questo popolo fiero e rude, ma allo stesso tempo amante dell’arte, si stabilizza nelle aree a noi vicine di Lomello, Mugarone, Rivarone. Importanti tracce locali della dominazione longobarda sono tuttora visibili nella vicina Mugarone, come i resti della rocca e della pieve – i castelli non esistono ancora. Nei primi anni del secolo scorso a Rivarone era ancora visibile l’antica rocca dove si dice che la famosa regina Teodolinda (570-627) amasse sostare durante la caccia.
Dal VII all’VIII secolo, in un periodo di dominio longobardo, nel territorio valenzano vivono uomini liberi, nobili longobardi possidenti di terre e servi, tutti sudditi obbedienti avvolti in una coltre di incertezza. La vicinanza con importanti centri longobardi attribuisce una relativa importanza al nostro luogo, che è stato scelto come residenza fissa da alcuni “arimanni”, nobili longobardi possessori di terre. Ma è una società senza le libertà umane più elementari, che serve tutti i padroni che si trova davanti, annientata dalla paura e che nulla ha che vedere con quella più vicina a noi. La donna è vista solo come procreatrice di eredi e totalmente soggetta prima al padre, poi al marito.
Il 12 ottobre del 773, nella zona a nord di Valenza (tra Casale e Mortara), si combatte una smisurata e sanguinosa battaglia tra i Franchi di re Carlo (il futuro Magno, 742-814) e i Longobardi di re Desiderio (720-786) dove le perdite saranno immense. Sul terreno rimangono 76.000 uomini tra morti e feriti: 44.000 longobardi e 32.000 franchi.
Con l’arrivo dei Franchi Valenza viene inglobata nell’impero carolingio (dall’anno 774). I Franchi sostituiscono le contee ai ducati longobardi, meno estese e meglio rispondenti alle necessità primarie della popolazione, gestite dai conti e suddivise in compartimenti più piccoli come questo, sotto il controllo diretto di “centenari”. Iniziano ambiziosi lavori di ampliamento e di fortificazione, necessari sia per esigenze belliche che per fare posto alla massa che dalle campagne si rifugia dentro il perimetro difensivo. Nasce così, sotto la spinta di impellenti necessità, la piazzaforte che nel corso dei secoli diverrà una dei maggiori capisaldi a protezione del Po.
L’abitato di Valenza (villa e castrum) si è finora sviluppato su un pianoro a sud del corso del Po, isolato da due valloni a ovest e a est. Il corso d’acqua con i suoi traffici, il porto e il traghetto sono stati e saranno i propulsori della creazione della città e del suo sviluppo.
In questi tempi la popolazione della nostra zona risulta di provenienza molto incrociata, formata com’è da meticci che vantano origini in mezza Europa, un’etnia centrifuga che racchiude in sé più di un’identità. Nel portentoso albero genealogico di ogni valenzano si possono trovare Liguri, Celti, Latini, Galli, Sarmati, Gepidi, Burgundi, Longobardi, Franchi. Con gli eventi successivi la lista dei viventi di passaggio si potrà estendere ancora di molto.