La politica a Valenza: dai popolari ai democristiani
Un nuovo approfondimento del professor Pier Giorgio Maggiora
VALENZA – L’era dei partiti democristiani sembra ormai chiusa per sempre, con derive etiche enigmatiche per i credenti: ormai non ci sono più tradizioni né vicende di partito. La storia locale, invece, ci ricorda quanto sia stato rilevante il contributo del partitone cattolico a questa città sin dalla sua nascita nel 1919 come Partito Popolare, dopo anni di astensionismo mitigato nelle elezioni del 1904 e del 1909.
Nel primo dopoguerra uno dei pionieri del nuovo partito in provincia è il valenzano Pietro Staurino, ma già alla fondazione diocesana dei circoli giovanili dell’Associazione Cattolica, costituita a Valenza il 9 maggio del 1912 nei saloni dell’Oratorio, monsignor Pagella (parroco dal 1896 al 1925) aveva gettato i primi postulati per un’azione politica locale dei cristiani, quasi anticipando il nuovo clima creato dal patto Gentiloni nelle elezioni del 1913: un gruppo politico locale latente o addirittura presente già nell’anteguerra.
Nel giugno 1919 Valenza ha già la propria sezione e il suo giornale – “Corriere del Collegio di Valenza”, sorto sin dal 1915 e chiamato dagli oppositori il “Corriere dei preti” – suscitando reazioni e polemiche da parte di quelle forze politiche che da anni hanno monopolizzato la vita pubblica, primi fra tutti i socialisti la cui presenza in Valenza è storicamente indiscussa.
Nelle elezioni politiche del 16/11/1919 il Partito Popolare ottiene a Valenza 240 voti pari al 9,39% dei votanti – 3.909 gli elettori con diritto di voto – e in quelle del 15/05/1921 i voti sono 251 pari al 9,28%.
Importanti momenti di propaganda clericale sono le feste bianche spesso turbate dagli interventi dei socialisti e poi dalle violenze fasciste. Di rilievo i corsi provinciali di cultura cattolica per propagandisti che si tengono all’Oratorio valenzano. Tra i primi popolari valenzani spiccano Carlo Barberis, candidato che difende le ragioni del gruppo nelle ultime libere elezioni; Pietro Staurino, vice presidente diocesano, è l’esponente più significativo del cattolicesimo impegnato; Giuseppe Manfredi, un insegnante guida dottrinale del gruppo, con abilità usa un linguaggio antropologico più che dogmatico; Luigi Manfredi, personaggio costante e coerente nel lungo impegno soprattutto come risorsa identitaria ed etica; Luigi Lombardi, presidente diocesano dell’AC giovanile dal 1922; Giuseppe Bonelli, Giuseppe Colombo e Luigi Venanzio Vaggi che svolgeranno un ruolo chiave nell’aggruppamento politico e in quello sportivo (Fulvius). La figura locale più rilevante è però il parroco monsignor Giuseppe Pagella; moderno, di elevata cultura teologica e sociale, è uno dei promotori degli oratori giovanili e ha la santa ambizione che Valenza sia all’avanguardia: quasi espressione di un altro mondo o di un altro secolo.
Valenza è un centro di vivace presenza cristiana; memorabile il congresso eucaristico che si tiene in città nel luglio del 1923, ma sono molti anche i convegni, i dibattiti, i confronti e gli scontri. Importanti le conferenze tenute nel salone dell’Oratorio, con vibranti discussioni anche insieme a esponenti socialisti e comunisti poco aperti al credo. Ben presto però i fascisti se la prendono anche con i popolari.
L’azione cattolica è considerata dai fascisti una pericolosa concorrente nella formazione della gioventù. Nel 1931 in tutto il Paese vengono chiuse le sedi dell’AC ed anche a Valenza, con modi bruschi e sbrigativi, viene comandata la chiusura del Circolo Giovanile Cattolico Pio X nell’Oratorio (30/05/1931) al suo giovane presidente Luigi Deambroggi: un importante personaggio locale che non saprà risparmiarsi, un cattolico completo formato alla scuola dell’AC. Operaio, artigiano e poi imprenditore sarà uno dei fondatori della DC valenzana.
Spiccano per il proficuo dialogo con gli antifascisti i combattivi popolari Allaria, Manfredi, Rulla e Stanchi – il partito è stato sciolto dal regime fascista il 09/11/1926. Sono un po’ meglio nel controllare passione e ragione, corrono più degli altri e svolgono un ruolo chiave in questa fase cruciale nella formazione dell’alternativa al regime. Importante il durevole contributo di monsignor Giovanni Battista Grassi (parroco dal 1926 al 1967).
Mentre in Italia si è appena formata la Democrazia Cristiana, il primo gruppo organizzato di sostenitori s’incontra a Valenza nel febbraio del 1943 e, durante una riunione nel retro della Farmacia di Maria Manfredi in via Cavour, viene costituita la prima sezione clandestina provinciale del nuovo partito. Con l’esponente provinciale più simbolico Giuseppe Brusasca, sono presenti i valenzani Luigi e Vittorio Manfredi, Luigi Stanchi, Luigi Venanzio Vaggi, Carlo Barberis, Pietro Staurino, Giuseppe Bonelli, Luigi Deambroggi, Felice Cavalli.
Convinti che il regime fascista abbia i giorni contati, i convenuti si preparano, con profonda emozione e ferma determinazione, ad assumersi la responsabilità di lottare per un nuovo paese libero e democratico, pur consapevoli di dover fare ancora i conti con una realtà feroce. Nelle riunioni occulte successive, tenute all’Oratorio, partecipano i fondatori citati e diversi altri, quali Porta e Illario, importanti dirigenti futuri. Viene nominato responsabile della sezione “Gigi” Venanzio Vaggi, che partecipa attivamente alla Resistenza e alla guerra di liberazione. Localmente, diventerà il partito dei sentimenti e dei risentimenti, con poche possibilità di incidere sull’amministrazione politica di Valenza del periodo postbellico, che sarà per molto tempo dominata dalla sinistra e permeata da una cieca contrapposizione.
Si può affermare che alla liberazione in tutti i gruppi politici locali c’è un forte senso d’unità e un sincero spirito democratico, forse un’occasione irripetibile e solo in minima parte recepita. Ben presto, però, l’unità si rompe e si formano due blocchi contrapposti e una serie di fratture collaterali a tutti i livelli.
La battaglia elettorale fra DC e il fronte unito delle sinistre assume i caratteri del conflitto tra due civiltà contrapposte e Valenza s’impone fin dall’inizio del periodo postbellico come una roccaforte del Partito Comunista.
La Democrazia Cristiana valenzana, destra in questi tempi, si presenta come il contraltare della sinistra agli occhi degli elettori. Ha ereditato gli elementi programmatici fondamentali del Partito Popolare, primo fra tutti l’interclassismo, che la congiunta predicazione del corporativismo da parte della Chiesa e del fascismo hanno rafforzato durante il ventennio.
Alle comunali del 1946 la lista DC e Indipendenti ottiene un esiguo 26%, con 6 seggi – Manfredi L., Staurino, Gallo, Santangeletta, Illario, Stanchi – una situazione non certo rosea, mentre nelle elezioni politiche del 1948 conquista il 30% alla Camera e il 34% al Senato. In questa fondamentale consultazione, buona parte della vecchia borghesia locale e il mondo contadino si sono schierati dalla parte di questa formazione politica, ma il clero è stato decisivo per il buon risultato locale. La campagna elettorale è stata accesissima e ha avuto toni spesso disdicevoli.
Va però messo in evidenza che gli esponenti politici di questi tempi sono estremamente suscettibili e incompatibili con l’humour a cui siamo abituati oggi – ricordiamo che inquisitori, puritani, giacobini e così via non si mostravano tanto propensi al sorriso. Marciano tutti compatti come una falange e portano avanti austere crociate moralistiche.
I segretari locali del partito cattolico, tutto degasperiano, sono: Luigi Venanzio Vaggi nel 1945, Luigi Manfredi dal 1945 al 1948 – anche segretario provinciale nei periodi marzo-novembre 1948, maggio 1953-novembre 1954 – Luigi Illario dal 1948 al 1949 e Pietro Staurino dal 1949 al 1951. Segretari di zona sono Luigi Vaggi dal 1945 al 1949 e Pietro Staurino dal 1949 al 1951. Tutti hanno un ruolo cruciale, artefici ma inevitabilmente anche dotati di sensibilità diverse.
Si allarga l’abisso che divide i due contrapposti schieramenti, è quasi una guerra civile mentale frutto dell’incrocio tra ideologia e ottusità, tra intolleranza e stupidità. I comunisti sono i cattivi e chi va a messa è buono. Non ci sono mezze misure: o si è buoni o si è cattivi.
Nella dirigenza del partito sono ancora presenti atteggiamenti e mentalità che affondano le loro radici nella tradizione del clericalismo più chiuso. Anche nell’Azione Cattolica e nelle ACLI i dirigenti, spesso gli stessi della DC, non hanno capacità né volontà di dialogo con la sinistra: costituiscono un inestricabile asse del no. Come in tutto il Paese, la Parrocchia è il punto di riferimento di un assetto politico che è ancora poco laicizzato e molto legato alla tradizione clericale.
Dal 1951 al 1953 il segretario della sezione è la guida reale Luigi Deambroggi e dal 1953 al 1955 è l’antesignano politico Luigi Manfredi, anche segretario di zona dal 1951 al 1954, segretario provinciale dal 1953 al 1954 e consigliere provinciale dal 1956 al 1960.
Alle elezioni comunali del 1951 la Lista Cittadina composta da DC, PSDI e altri minori (una specie di task force) ottiene il 42% e soli 9 seggi su 30 – Illario, Marchese, Lenti, Manfredi L., Staurino, Poli, Pulciani, Ottone, Fava – a causa del sistema elettorale maggioritario con premio che non basta per scalzare gli ortodossi “rossi” dal Comune. Alle politiche del 1953 la DC da sola consegue un non troppo eclatante 27%.
In questi anni, tra gli iscritti e nella direzione locale compaiono diversi operai: non si può certo dire che sia la borghesia del posto a condurre il partito. Alla fine del 1955, Luigi Manfredi è nuovamente il segretario di zona, succedendo a Piero Ivaldi che ha rivestito la carica per un anno.
Nelle elezioni comunali del 1956 il partito ottiene il 31%, con 9 seggi su 30 – Illario, Raiteri, Manfredi L., Manfredi V., Ottone, Fava, Deambroggi, Mattacheo, Demartini – e il 28%. in quelle politiche del 1958. Nel nuovo Consiglio provinciale del 1956 sono eletti ben due leader democristiani valenzani: Luigi Manfredi e Luigi Illario.
Dopo gli avvenimenti in Ungheria dell’ottobre 1956, anche a Valenza si registra un vivacissimo rilancio dell’anticomunismo, condotto soprattutto dalla Democrazia Cristiana e dalle forze di destra, che tuttavia non fa molta presa tra le file dei socialisti, i quali, quasi eludendo la tragedia, ripropongono la soluzione di sinistra per il Comune.
Nel 1958, tra i 380 iscritti si affacciano alcuni giovani intimiditi con incarichi nella sezione; negli anni Sessanta essi e altri che entreranno in seguito formeranno il nuovo gruppo dirigente, che sostituirà la vecchia e inacidita guardia del partito. La generazione politica di questi anni è però stata allevata fra preti e sacrestani, è poco capace di fare i conti con la nuova realtà. Il raggruppamento insiste nell’inculcare all’elettorato l’idea di essere l’unica forza politica che possa assicurare la continuità del benessere, dell’ordine e della libertà.
La diversificazione in atto nella società e la mancanza di una linea univoca producono una crisi nell’organizzazione locale della DC, divisa anche dal fenomeno delle correnti. Dal 1959, nella sezione si forma una spaccatura fra dorotei e fanfaniani; i punti di dissenso sono sempre di più. Nel 1960 il partito conta 400 iscritti, ripartiti in modo quasi uguale tra classe operaia e borghesia. Segretari della sezione sono Felice Cavalli, dal 1955 al 1958, e Pietro Lombardi, dal 1958 al 1960; mentre i segretari di zona sono Luigi Manfredi, dal 1955 al 1958, e Pino Raiteri, dal 1958 al 1962. In Consiglio comunale i due big Manfredi L. e Illario sono i più esposti e combattivi verso la predominante maggioranza social comunista. Purtroppo, alcuni dirigenti sono solo dei figuranti che assumono la forma dell’interlocutore; ma quel che vale in politica, si sa, è l’apparenza.
Nelle elezioni comunali del 1960 la DC ottiene il 32%, con 10 seggi – Illario, Genovese, Accatino, Mattaccheo, Deambroggi, Manfredi V., Doria, Battezzati, Fava, Raiteri. È importante osservare l’evoluzione in atto nella scelta dei candidati, vale a dire come alle personalità carismatiche si siano affiancati alcuni esponenti della seconda generazione, pur se non eletti. Si afferma una presenza attiva nell’associazionismo laicale, che rappresenta il vero palcoscenico per le aspirazioni politiche delle nuove leve democristiane.
Un rilevante lavoro di sostegno al partito è svolto dall’Azione Cattolica, che raggruppa molti giovani valenzani, grazie anche alle possibilità offerte dal suo settore ricreativo e sportivo (Oratorio, Unione Sportiva Fulvius ecc.) Nel 1962 il gruppo più giovane ottiene la maggioranza e subentra alla vecchia dirigenza nella guida del partito; gli iscritti sono 600, di cui 70 con meno di 20 anni.
La nuova dirigenza è scatenata contro gli avversari politici. Da un lato è attenta a quello che succede nell’amministrazione comunale, con precise e sferzanti filippiche pubblicate sul periodico del partito “Il Popolo di Valenza” (strumento pungente di parte nato nel 1963) che osteggiano, spesso sarcasticamente, qualunque iniziativa; dall’altro è confusa e penitente sulle scottanti problematiche nazionali. Sovente è fuori dalla lotta che avviene nella società e nel paese, con scarse proposte concrete sulla squilibrata e sfuggente economia locale.
Frattanto, nell’Oratorio di viale Vicenza, dall’AC e dalle ACLI – che hanno avuto una lenta evoluzione in chiave socio-politica di marcata apertura a sinistra – si è generato un gruppo di giovani tenaci assertori dei nuovi indirizzi pontifici, favorevoli a una linea politica più rivolta al sociale e a una feconda azione di volontariato (Borsalino, Rigone, Scaglione, Zanotto, Zavanone e altri). Ciò li fa essere in contrasto con la direzione DC e, col tempo e con qualche colpo di scena polemico, ad avvicinarsi ai socialisti e a formazioni provocatorie estreme: sedotti e abbandonati. All’assemblea pre-congressuale del 1964 i democristiani valenzani si proclamano per l’80% in favore della collaborazione con i socialisti e solo il 20% con l’area centrista.
La sede di via Cavallotti, anche nota come Circolo Libertas, viene abilmente utilizzata per fare proselitismo tra i giovani, i meridionali e altre categorie di elettori; assemblee, riunioni, concerti, feste danzanti e ristorazione, non mirano solo a intrattenere i valenzani, ma ad avvicinare o conservare l’elettore al partito e ad emulare quanto è fatto dagli “odiati” comunisti al Valentia. Ma, pur con la frenetica attività, il risultato elettorale nel 1963 (elezioni politiche) del 27% non è ancora troppo soddisfacente.
Dopo l’abbandono di lacerti di giovinezza, gli uomini nuovi (tutti profondamente cattolici) che sparigliando le carte condurranno la sezione democristiana nel futuro sono Pier Giorgio Manfredi, eletto segretario nel 1962, Mario Manenti, segretario nel periodo 1967-72, Piero Genovese, segretario nel 1966-67 – sarà uno dei principali esponenti provinciali – e il triunvirato costituito da Luciano Patrucco, Gianpiero Accatino e Nino Illario.
Luigi Illario, un unicum infilzato a ripetizione dagli avversari, resta al loro fianco in una posizione di guida e di spiccata rappresentanza, mentre la vecchia guardia, in parte frustrata e sbolognata, anche se è ancora aperta la collaborazione dirigenziale, andrà pian piano esaurendo il suo lungo e tenace impegno politico. Il segretario di zona nel periodo 1962-1967 è Piero Ivaldi.
Eppure, nonostante gli scarsi risultati elettorali, in questi anni la sezione conosce le punte più alte nel tesseramento: dopo i record del 1962 e del 1963, nel 1964 gli iscritti della zona superano i 700, il 70% dei quali proviene dal mondo cattolico, la metà appartiene al ceto medio-borghese e il 35% alla classe operaia. Nel 1965 il delegato giovanile di sezione (oggi ancora sulla breccia) è Giuseppe Gatti, quello di zona Renato Ricci, il presidente del Circolo Libertas Giulio Doria. Cresce la ruspante corrente “Dorotea”, esacerbando il dissenso ideologico culturale all’interno in un gioco piuttosto confuso e in un clima non certo sereno.
Si continua e, per la proprietà transitiva ancora assai in uso, si continuerà a scegliere i propri rappresentanti in base al grado di sudditanza. Oltre alle solite organizzazioni cattoliche, diverse altre rilevanti strutture locali sono guidate da esponenti democristiani; tra queste la Coltivatori Diretti, che gestisce circa 300 iscritti, ha un peso notevole sul consenso elettorale del partito. Elevata anche l’influenza che la DC conserva nell’Associazione Orafa e in quella Calzaturiera i cui presidenti sono importanti esponenti del partito; personaggi competenti non amici degli amici.
Nel 1964 non si fermano le fibrillazioni politiche locali, regna tanta confusione, c’è qualche egoarca e poca lungimiranza. A dispetto delle troppe certezze, si dovrà votare per ben tre volte in due anni per riuscire a dare una nuova giunta alla città.
Nell’ottobre del 1964 la locomotiva elettorale è in pieno movimento e i vari partiti si stanno preparando ad affrontare la sfida prima del voto del 22 novembre per il rinnovo del Consiglio comunale. Annusando bene, si sente odore di cambiamento, ma pochi prevedono il preambolo del periodo politico tanto convulso che sarà ricordato come uno dei più ricchi di contraccolpi nella storia di Valenza. Si dovrà votare per ben tre volte in due anni per riuscire a dare una nuova giunta comunale e amministrativa alla città. Il fatto incontrovertibile che sconvolge il rapporto di maggioranza in queste e nelle successive elezioni è la divisione dei due partiti socialisti, che certo non giova alla sinistra: è arrivato a maturazione uno scontro aspro e inusitato che si era manifestato già all’indomani della nascita dello PSIUP, principale e involontario artefice della crisi.
Infine, dopo tre “match” infruttuosi finiti alla pari (i consiglieri eletti 15 PCI e PSIUP e 15 DC, PSI e altri) e il logorio penoso e snervante della mediazione, dietro le minacce roboanti si avverte la volontà di scendere a patti per non continuare a farsi del male. Infatti, nella seduta del 19 febbraio 1966, si realizza una bizzarra esperienza di giunta unitaria, ben presto interrotta e seguita da nuove elezioni. Infine, il 4 febbraio 1967 viene eletta una giunta “di salute pubblica”, chiamata anche tecnico-amministrativa, formata da tutti i partiti e condotta dall’integro e austero sindaco indipendente PCI Virginio Piacentini. Assessori effettivi sono i democristiani Piero Genovese e Luciano Patrucco.
Questi accordi tra DC e PCI sono piani di rifugio più che patti con il diavolo, tra inesauribili calibrature e compensazioni, sotto la morbosa necessità di stare assieme, anche se già poco tempo dopo non ci si sopporta più e non si combina granché. Sono degli esecutivi comunali meticci che non fanno male a nessuno in modo particolare, ma a tutti in forma lieve. Governare in tandem significa essere costretti ad annacquare i propri ideali per piegarsi al compromesso.
Dopo essersi disprezzati e insultati per tanti anni, ora i due principali contendenti sorridono, mossi più che altro da interessi di bottega. In questi tempi, oggi non più, è difficile spiegare agli elettori che si va al governo della città in compagnia di coloro che sono stati gli avversari fino a qualche giorno prima, ma succederà ancora.
I risultati elettorali, con gli eletti consiglieri, delle tre elezioni comunali per la Democrazia Cristiana sono i seguenti: 32% il 22/11/1964 (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Patrucco, Mattacheo, Accatino, Manfredi PG, Deambroggi, Battezzati); 32% il 28/11/1965 (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Manfredi PG, Deambroggi, Accatino, Patrucco, Staurino, Demartini; 32% il 27/11/1966 (Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Patrucco, Accatino, Staurino, Manfredi PG, Deambroggi).
L’esperienza assembleare dura poco più di due anni. Nel dicembre del 1969 i socialisti valenzani, dopo la rottura della riunificazione nazionale fatta tre anni prima con i socialdemocratici, ritornano con i comunisti e i psiuppini. I democristiani ritornano all’opposizione, anche se molto sbiadita.
Nelle elezioni politiche del 1968 il partito ottiene il 29%, mentre nelle prime elezioni regionali del 1970 il 28%. Il voto democristiano approssimativamente è così ripartito: il 50% dei commercianti, il 20% degli operai, il 15% degli artigiani e il 50% degli impiegati.
In pochi anni la Democrazia Cristiana passa da un’opposizione aspra e aggressiva verso l’amministrazione comunale di sinistra a un’incerta e confusa collaborazione data per intero e poi tolta, anche se non completamente. Alcuni personaggi politici che prima si detestavano ora marciano in armonia. Sovente in Consiglio comunale gli oppositori democristiani adottano l’astensione, che è più o meno il “fate voi”.
Manca la chiarezza tanto cara all’elettore, così l’assemblea dei tesserati della sezione sollecita più volte un rivolgimento interno. Questo processo di ridefinizione interna è desiderato da alcuni perché da qualche tempo il partito fa opposizione in modo confuso e pasticciato, è poco credibile come outsider per il futuro e quindi ininfluente nel presente. Certe organizzazioni collaterali, poi, si stanno rendendo maggiormente autonome dal partito (ACLI, CISL, AC), accostando tra loro prospettive nebbiose di spiritualità, democrazia, diritti naturali ed ecologia.
Peraltro è in crisi anche il rapporto privilegiato fra chiesa e partito, con una crescente presenza di cattolici nelle file della sinistra. Buona parte dei praticanti si orienta parecchio sul volontariato perché considera la politica troppo compromessa, un luogo in cui è difficile l’esercizio dei valori cristiani.
Anche tra i democristiani si coltivano umori antiamericani, acuiti dalla guerra in Vietnam.
In questo quadro, gli esponenti valenzani che più esprimono le correnti nazionali della “balena bianca” con convergenze sostanziali sono: Piero Genovese (alfiere della sinistra di Donat Cattin), Emilio Pino (Andreotti-Colombo), Ermanno Amisano (Piccoli-Rumor), Mario Manenti (Fanfani).
Nel 1972 il segretario della sezione è Spartaco Mattacheo (dal 1965 al 1972 capogruppo in Consiglio comunale), mentre quello di zona è Mario Manenti. Il valenzano Piero Genovese, segretario provinciale dal 1970 al 1971, è uno degli esponenti politici più rilevanti del periodo, quasi un Charles de Talleyrand per questo gruppo: dal 1958 fa parte della direzione DC valenzana, segretario provinciale e consigliere nazionale del movimento giovanile del partito, consigliere comunale, assessore, sarà eletto nel Consiglio regionale e svolgerà funzioni di assessore. Da tempo, altri importanti esponenti locali sono: Accatino, Ceva, Manfredi, Patrucco e Staurino.
Nelle elezioni comunali del novembre del 1972, sia la sinistra comunista che i democristiani hanno poco di cui rallegrarsi: il PCI, Sinistra indipendente e PSIUP uniti ottengono solo il 46% dei voti, mentre la DC ritorna al 30%, perdendo quasi 3 punti sulle precedenti comunali ma con un lieve progresso sulle politiche di pochi mesi prima, quando aveva ottenuto il 28%. Gli eletti DC in Consiglio comunale sono: Manenti, Genovese, Patrucco, Staurino, Accatino, Manfredi, Ceva, Pino e Doria.
Il 12 maggio 1974 si vota il referendum abrogativo del divorzio. Mentre nel Paese i toni sono particolarmente aspri e violenti, a Valenza le forze politiche locali sono poco dinamiche nella campagna elettorale; solo la chiesa e la parte democristiana più impegnata si battono per una cancellazione, secondo tutti improbabile. La parte più oltranzista del fronte del sì bolla i divorzisti come coloro che “approvano le passioni, la libidine, gli istinti animaleschi degradanti, la dignità umana”. I favorevoli all’abrogazione sono 3.502, mentre i no sono ben 11.924.
Nelle elezioni amministrative regionali del 1975, a Valenza il PCI raggiunge il 49% dei voti – il 3% in più dalle comunali del 1972 – mentre la DC arretra di quasi 5 punti con il 25%. Il Piemonte passa alla sinistra. Nelle politiche del 1976 la DC sale al 27%.
Da alcuni anni la segreteria è condotta dalla componente di sinistra del partito, con poche differenziazioni. La road map locale (basisti e affini quali Genovese, Manenti, Patrucco, Manfredi hanno una retroattività di democristiani che risale all’adolescenza) è gremita di tutto: prospettive rosee e scenari funesti, rigore morale e slancio modernista. Non sono più rappresentanti di oratorio con l’accento da seminario.
Alle comunali del 1978, il partito, che nella campagna elettorale è stato accusato di non aver svolto in questi anni il suo ruolo d’opposizione quasi inseguendo e corteggiando i comunisti, ottiene un imprevisto buon risultato (31% e 10 seggi). Ha messo in lista alcuni giovanissimi (Berto, Cautela, Grassi, Vanin), il presidente diocesano dell’AC Ermanno Amisano e tutti i consiglieri uscenti, offrendo un’opposizione costruttiva e non preconcetta, tendente alla mediazione e al compromesso (metodo doroteo). Sarà poi l’andamento politico nazionale a riaccendere gli ardori. In Consiglio comunale vanno Manenti, Genovese, Pino, Amisano, Vanin, Accatino, Patrucco, Staurino, Grassi e Gotta.
I cambiamenti e gli avvenimenti producono un rafforzamento della posizione centrista all’interno della direzione valenzana. Da tempo, a tutta la sinistra democristiana alessandrina viene imputato l’isolamento della DC in provincia. C’è anche un gruppo d’attempati, con la testa ancora agli anni 50-60, che continuano a rassicurare i propri amici di essere rimasti gli stessi: idea effimera e illusoria.
Facendo una divisione superficiale del voto valenzano democristiano del periodo, il 15% sono voti di operai e il 20% di artigiani; votano DC il 50% degli impiegati, il 55% dei commercianti e il 50% dei ceti superiori.
Nelle politiche del 1979 il partito ottiene il 24% e nelle provinciali e regionali del 1980 il 27%.
A Valenza l’area Zaccagnini, con alcune posizioni quasi maritainiane, prevale sui dorotei e fanfaniani, ma sono etichettature sommarie esclusi gli esponenti più in vista. Nel marzo del 1981, il rinnovamento delle cariche significa un certo ricambio generazionale. Alla segreteria politica è confermato Giovanni Cavalli, a cui viene affiancato come vice il consigliere comunale Fabrizio Grassi, un giovane di 23 anni. Enrico Terzano diventa segretario amministrativo, ma i democristiani più in vista sono sempre i carismatici Genovese, Manenti, Patrucco, Staurino, che sono tra i più concilianti con le forze della sinistra; meno disponibili al confronto sono Amisano, Pino e Grassi. In prima linea, però, stanno scendendo alcuni giovani rampanti, entrati da poco nelle grazie del partito, i nuovi pretoriani di ferro che daranno qualche puntura di spillo al carrozzone. In questo periodo gli iscritti sono circa 400. L’adesione è forte tra gli over 50 e ancor di più tra gli over 60, mentre il target dei più giovani latita.
Agli appuntamenti elettorali comunali non ci si trova di fronte a un partito con i candidati, ma a candidati con un partito, nel senso che la campagna elettorale è gestita in prima persona da questi, e di conseguenza si caratterizza per lotte sorde senza esclusioni di colpi anche all’interno.
Valenza vive il decennio politico degli anni Ottanta in modo turbolento. Acredini e risentimenti si sono sedimentati tra socialisti e comunisti, dove permangono disaccordi indelebili sugli indirizzi politici nazionali. Gli equilibri passati sono saltati non solo nel palazzo, ma anche nella mente di qualche inquilino, con incendi quotidiani pericolosi e velleitari e atteggiamenti critici nei confronti degli alleati che sfociano negli eccessi e nel ridicolo. Si cammina sul ciglio di un precipizio, senza fiducia e considerazione reciproca, pronti a precipitare a ogni votazione. Sono tre anni di stallo (1981,82,83), con campagne elettorali feroci e zero innovazioni e gestioni demagogiche e inconsistenti fatte di misure a singhiozzo.
Tornando alla questione del ricambio ricambio generazionale democristiano, una propaggine del partito è il nuovo circolo giovanile “La Pira”, che si ispira ai valori del cattolicesimo democratico ed è costituito da soli maschi. Il presidente è Renato Mazzone e con lui collaborano Bonzano, Ratti, Cavalchini, Manfredi, Regalzi, Vanin, Grassi, Quagliotto e Milanese.
Qualcosa si muove in vista delle prossime comunali. Si decide di escludere alcuni consiglieri che hanno già fatto due legislature per lasciare posto ai più giovani: non ci sono Accatino, Patrucco, Pino – a quest’ultimo non hanno perdonato né l’opinione fuori dagli schemi né le tante alzate di scudi – e la presenza femminile è scarsa come sempre. La generazione dei cinquantenni ha stufato, i quarantenni si vedono poco e ora si spera nei trentenni.
Alle elezioni comunali del 1983 si conferma all’opposizione il nuovo Polo Laico (PRI-PLI-PSDI), un alleato futuro per la DC, la quale ottiene il 25% dei voti e porta in Consiglio comunale Manenti, Genovese, Franco, Ratti, Regalzi, Staurino, Bonzano e Quagliotto.
Dopo le elezioni i democristiani e il Polo laico corteggiano i socialisti, che in Comune ammucchiano beghe continue con i comunisti. Dopo tanta confusione, veloci cambi di sindaci e una maggioranza drasticamente ribaltata (per 9 mesi DC+PSI+Polo), i tifosi della dittatura del proletariato ricevono la spintarella finale dai socialisti e, dopo le nuove elezioni del 1985, devono lasciare Palazzo Pellizzari.
In queste elezioni comunali (20/10/1985) la DC ottiene il 30% e, ringalluzzita come non mai, manda in Consiglio comunale Manenti, Genovese, Staurino, Franco, Bonzano, Regalzi, Genuardi, Ratti, Boselli e Grassi.
In Comune i socialisti si alleano con i democristiani (finalmente diventano manovratori) e il Polo Laico – composto da repubblicani, socialdemocratici e liberali – che uniti a coorte nuoteranno assai per non sprofondare e per regnare sulla città. Il nuovo sindaco è Cesare Baccigaluppi e la giunta, del 02/12/1985, è composta anche dai democristiani Manenti, Staurino e Regalzi.
Nelle regionali (12/05/1985) la DC valenzana ha ottenuto il 27% e Piero Genovese è stato riconfermato al Consiglio regionale con 14.587 preferenze: rivestirà la carica di assessore al lavoro.
Il ritorno di un certo consenso apre una dialettica interna alla Democrazia Cristiana, utile a sbarazzarsi di ingombri correntizi e di qualche politico ormai privo d’ogni verniciatura ideologica. Eppure, manca ancora una progettualità organica espressione della base, troppo spesso sostituita dal vertice.
Tira aria di fideismo, i cattolici stanno sviluppando un atteggiamento assai critico. Vogliono una ripresa di coscienza religiosa, non possono accettare che parole decisive per la vita dell’uomo come famiglia, solidarietà e altre siano spesso svuotate del loro significato dal partito. Esponente di spicco di queste espressioni è Ermanno Amisano, un personaggio intransigente, moralista, quasi templare, sovente in collisione con i colonnelli, ma che ha il merito di essere genuino, privo di dolcificanti e aromi artificiali.
I cambiamenti locali avvenuti in questi ultimi tempi producono effetti significativi, come il rafforzamento della parte centrista dello schieramento e il ringiovanimento del gruppo carismatico (o seduttore). Tuttavia il bodratiano Piero Genovese, che ha come seguaci i giovani dirigenti Vanin, Grassi, Botter, e il quasi forlaniano Mario Manenti, con un seguito costituito da Staurino, Cavalli, Gatti, Terzano e i più anziani sono ancora due “proconsoli”; a loro si devono aggiungere Patrucco, un libero sinistroide, e Amisano, un crociato integralista tutto d’un pezzo che parla dal pulpito della rettitudine.
Nel marzo del 1986, alle votazioni per eleggere i delegati al congresso provinciale, i voti riportati con formula uninominale sono i seguenti: Manenti 47, Pino 33, Vanin 29, Bossio 22, Patrucco 21, Regalzi 20 ecc. Il direttivo della sezione democristiana viene rinnovato nel novembre del 1986. Con l’89% dei voti, Antonio Vanin è eletto nuovo segretario al posto del consigliere comunale Fabrizio Grassi. Vanin, che ha maturato molta esperienza tra i giovani, sembra il mediatore delle sensibilità di tutti, quasi il profeta del nuovo partito che cerca di andare al di là delle correnti. Lo affiancano i componenti Accatino, Amisano, Bossio, Di Palermo, Ferrari, Gatti, Genuardi, Panelli, Pino E., Pino F., Quagliotto, Ratti, Regalzi e Vanin C. Ma in occasione dei congressi provinciali di partito le correnti continuano a scontrarsi, correnti identificate dalle tessere, in altre parole dalla quintessenza del finto.
Il 14 giugno 1987 si tengono nuovamente le elezioni politiche anticipate, che premiano il Presidente del Consiglio Craxi. Nessuno fa caso a un senatur che la Lega Lombarda riesce a portare a Palazzo Madama: Umberto Bossi. A valenza il crollo del PCI (37%) è ancora più clamoroso di quello nazionale. I remissivi democristiani si accontentano del risultato del 26%.
Nelle amministrative regionali e provinciali del 1990, la DC (27%) registra un lieve calo rispetto alle precedenti. Quando le correnti occupano uno spazio maggiore nella segreteria, si corrono grossi rischi e la confusione regna sovrana, ma si avvicinano le comunali. La tornata è in ritardo di oltre sei mesi: il massimo consesso cittadino, infatti, scade il 20 ottobre 1990 e il rinnovamento slitta fino al 1213 maggio 1991.
Ci sono diversi abbandoni nel partito. L’assenza che stupisce di più è quella di Piero Genovese, una specie d’ascesi, e con lui lasciano anche i consiglieri comunali Franco e Bonzano. A Valenza arrivano i leader nazionali di ogni partito (Occhetto, Craxi, Bossi ecc.). È cambiato il ritmo della consultazione, c’è anche chi indica quello valenzano come “test nazionale”.
All’indomani delle elezioni comunali del 1991, più temute che attese, Valenza sale alla ribalta dei più importanti quotidiani nazionali che commentano la travolgente affermazione della Lega: 24%. L’infante PDS, ex PCI, subisce una sberla perdendo 4 seggi (29%), la usuale DC contiene la perdita a un seggio (27%), il “modernista” Polo Laico Socialista esce con le ossa rotte. Tre penurie non dovrebbero fare una fortuna, ma DC e PDS, dissimulando un tonfo in un trionfo, creano un’alchimia che porta alla divisione delle poltrone e, per parecchi, anche alla lottizzazione delle coscienze.
Dopo il lavoro di qualche autorevole tessitore di alta scuola democristiana, il 3 luglio 1991 viene ufficializzata l’alleanza innaturale tra ex comunisti e democristiani. Il copione è scritto: per i primi due anni e mezzo Mario Manenti è eletto sindaco – è il primo sindaco democristiano della città e monopolizzatore di preferenze e non si capisce se sia in odore di santità o di scomunica. Egli scadrà come uno yogurt e, successivamente, sarà sostituito da Germano Tosetti, vice sindaco e assessore al bilancio nel primo scorcio. Sono uomini di partito, furbi e cinici a sufficienza, due monumenti sacri, che mangiano pane e politica sin dallo svezzamento. Ora sono portati in trionfo anche da chi li ha odiati per decenni. Diversi esponenti sconfitti ma incapaci di farsi da parte si baciano e si abbracciano, si cercano e si lusingano. Ieri era tutto un offendersi e un insultarsi. Questo è un caso che farà scuola, che servirà a capire il realismo e il pragmatismo della politica futura, anticipando con più di vent’anni la svolta clericale della sinistra italiana.
A Palazzo Pellizzari si accomodano i consiglieri democristiani Manenti, Staurino, Giordano, Vanin, Patrucco, Raselli, Boselli, Panelli e Grassi. Oltre al sindaco Manenti, diventano assessori Patrucco e Vanin, poi sostituiti da Boselli e Panelli, mentre Raselli sarà il vice sindaco di Tosetti.
In questi tempi folli gli scandali a catena che investono tutti i partiti del paese (la cosiddetta inchiesta mani pulite) e il malcostume degli italiani in uno Stato sempre più clientelare e inefficiente generano un significativo voto di protesta che discredita il sistema.
La Chiesa non è più a sostegno del partito, il quale ha perso la dimensione spirituale. Ormai, contraddicendo sé stessi, per diversi esponenti democratici cristiani valenzani l’ortodossia religiosa è diventata solo una identificazione culturale più che un cammino di fede.
Nelle elezioni politiche del 1992 la DC ottiene il peggior risultato nazionale della sua storia e Valenza non è da meno: solo 2.735 voti, il 17%.
Il voto dimostra chiaramente che il sistema è alla frutta. La DC si trova di fronte al solito dilemma: riappropriarsi di un’identità capace di proposte adeguate ai tempi o limitarsi a gestire l’esistente, che appare sempre più a un livello di sopravvivenza. La caduta del muro e la fine del comunismo influiscono sulla crisi di questo partito, che ora non è più il baluardo contro il pericolo rosso. Un gruppo di esponenti democristiani valenzani non troppo invecchiati – Castellini, Davite, Ferrari, Gatti, Grassi, Montini, Patrucco e Vanin – chiede, senza essere ascoltato, un rinnovamento reale e sostanzioso del loro partito, un azzeramento del tesseramento e l’istituzione delle cosiddette primarie per la scelta dei candidati; ma nel gennaio del 1994 la Democrazia Cristiana viene dichiarata sciolta dal Consiglio nazionale del partito e assorbita da un nuovo soggetto politico quale promettente erede: il Partito Popolare Italiano. Il nuovo patisce ben presto una prima scissione da cui nasce il CCD, ne subirà una seconda nel 1995, da cui avrà dipartita il CDU un altro partito mignon, in futuro ce ne saranno altri.
Quando l’URSS chiuse i battenti, qualcuno disse che non era soltanto la fine del comunismo ma anche quella di tutti i nostri partiti suoi nemici che sono esistiti.