Elezioni e politica a Valenza nel XXI secolo
Il professor Maggiora ripercorre gli ultimi 20 anni della storia amministrativa cittadina
VALENZA – Si è chiuso il secondo millennio: speranze e preoccupazioni transitano nel cielo di questo Paese. Entrata in punta di piedi e piazzata a crescendo esponenziali, la globalizzazione è gestita dal potere forte economico-finanziario sopranazionale. Il nuovo secolo è segnato dal panico del terrorismo islamico contro l’occidente cristiano, in Italia dai fatti e misfatti berlusconiani che lasciano in semioscurità i fallimenti del centro-sinistra, parte integrante e responsabile di questo periodo. Nel maggio del 2001 Berlusconi ritorna alla guida del paese, ma il mondo del duemila è troppo articolato per assoggettarsi agli schemi e alle sue costumanze peroniste (“il centrodestra c’est moi”). Egli sarà il più amato e maledetto dei nostri presidenti del consiglio.
Per la terza volta consecutiva, alle elezioni politiche del maggio 2001 Valenza conferma nuovamente la sua fedeltà al Polo della Libertà, e lo fa in modo chiaro. Rispetto all’ultima consultazione politica dell’aprile del 1996, il partito che guida la coalizione, Forza Italia, accresce il numero di consensi a scapito dei suoi alleati, passando al proporzionale da 4.580 voti (30,35%) a 6.322 (42,60%). È quasi un trionfo.
Viceversa AN perde consensi, passando dai 2.137 voti (14,6%) del 1996 agli odierni 1.355 (9,13%). In tendenza con il resto del Paese, anche il mondo dei terzisti è in netto calo: la Lega Nord scende a 938 voti (6,32%), circa mille in meno rispetto al 1996. Crolla il CCD-CDU, che ottiene solo 192 voti (1,29%), mentre nel 1996 erano stati 439. Nonostante la forte flessione, i Democratici di Sinistra si confermano la seconda forza politica locale con 2.431 voti (16,38%) contro i 3.201 (21,21%) delle precedenti politiche. Rifondazione non sfonda con soli 515 voti (3,47%), lo stesso il Nuovo PSI che si ferma a 81 voti, la Fiamma che si ferma a 100, e la lista Di Pietro che si ferma a 336 (2,26%). È un successo per Democrazia e Libertà, con 1.379 voti (9,29%).
Pochi mesi dopo il mondo si ferma a guardare un’angosciante diretta televisiva: l’11 settembre a New York aerei dirottati da terroristi si schiantano contro le Torri Gemelle, facendole crollare.
In Comune, con Germano Tosetti (sindaco dal 1993) e la giunta uscita dalle comunali del 2000 (PDS-Verdi 21%, Per Valenza 9%, Comunisti 5%, Democratici 4%) composta da Barbadoro, Bologna, Bove, Di Spirito, Manfredi e Raselli, è sempre più difficile far quadrare i conti.
Nel 2001 i trasferimenti da parte dello stato al Comune di Valenza ammontano a poco più di 3,6 miliardi di lire, le entrate a circa 10 miliardi (Ici, Irpef, trasferimenti dalla Regione, ecc.). Alle spese contribuiscono notevolmente il personale, gli interessi passivi e il conferimento dei rifiuti in discarica. Il deficit maggiore si registra per la casa di riposo (1,6 miliardi), per gli asili (1,2 miliardi), per la biblioteca e il centro di cultura (circa 900 milioni) e per i centri sportivi (oltre 700 milioni). Municipalizzate, consorzi, cooperative all’uopo, ecc. continuano a bruciare risorse. Proliferano i dipendenti (quasi tutti di comprovata fede politica) e i costosi amministratori di parte.
Il 3 e il 4 aprile 2005 si torna alle urne per eleggere il sindaco e il nuovo consiglio comunale. Aumentano le fusa e i corteggiamenti agli elettori con miagolate anche ai nemici di ieri, per ingraziarsi il voto di preferenza.
Sta per concludersi l’assolutismo democratico di Tosetti, che, dopo tre mandati, si è avvicinato molto al record di Benito. Sfruttando il ruolo di vice che Tosetti gli ha offerto per lungo tempo, il centrosinistra candida alla carica di primo cittadino Gianni Raselli. Con toni morbidi da accorto democristiano, guida un’ampia coalizione composta da cinque liste: DS, Per Valenza (lista che fa riferimento alla Margherita e allo SDI), Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Valenza Insieme (lista civica). Dopo lo scrutinio, Raselli e il centro sinistra festeggiano il successo che si aspettavano, arrivato imprevedibilmente senza ballottaggio.
Raselli ottiene 6.790 voti, pari al 55%, il suo avversario più accreditato Rossi (FI) ne ottiene 4.804, pari al 39%. Per la prima volta Valenza ha un vice sindaco donna: Maria Maddalena Griva. La giunta è quasi interamente rinnovata rispetto a quella precedente, ci sono anche Di Carmelo, Manfredi, Mensi e Ruggiero.
A Valenza, nella stessa tornata elettorale, nelle regionali prevale ancora il centrodestra. La coalizione che sostiene il governatore uscente Ghigo ottiene 6.306 voti (52,73%) contro i 5.464 (44,88%) del centrosinistra, che sostiene la vincente nuova presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso. I due schieramenti si sono molto avvicinati rispetto alle precedenti regionali del 2000, in cui avevano ottenuto il 54,7% e il 35,8%.
È ormai saldo il principio secondo il quale in questa città non esistono correlazioni tra le politiche o le amministrative regionali/provinciali e le comunali: alle locali la gente esprime un voto alla persona e alle altre elezioni appoggia i partiti continuando a votare solo il simbolo del partito dando così delega in bianco a chi lo guida o lo rappresenta.
Dopo tre lustri il centro destra locale resta però una landa desolata, non ha partorito alcuna classe dirigente. Un’enclave (non si sa se timida o elitaria) di ex socialisti, ex democristiani, qualche solitario e qualche rifiorito. Con le ambizioni di gestire il potere locale sempre frustrate, rischia di morire d’inedia nell’attesa del Messia.
Per le cattive frequentazioni, la Lega si è in parte guastata. Convinta a puntare alla secessione e illusa di essere pronta per la vetusta repubblica del nord, ha raccolto molte risate di scherno e prodotto (per ora) tanto folklore.
Tra le forze della sinistra radicale e delle falci e martelli rispolverati, Rifondazione Comunista è la più esposta alle dissidenze dei pacifisti e degli ambientalisti. Qui a Valenza oscillano incessantemente tra la collaborazione e il sovversivismo, hanno sviluppato uno spirito integralista, una specie di Sessantotto senile che ricalca le idee del passato.
Nel 2006 Romano Prodi, alla testa di una coalizione cementata dall’antiberlusconismo – quasi una finzione politica che ha messo insieme ciò che non poteva coesistere dai cattolici della Margherita agli stalinisti di Rifondazione – vince le elezioni sul filo di lana. Una crescente quota di italiani si è convinta che basti licenziare Berlusconi per trasformare l’Italia da lager a paradiso, brinda alle fortune del nuovo governo, che però non avrà una gran sorte e si spegnerà dopo un paio d’anni di vita sofferta.
Osservando i risultati delle elezioni politiche di Valenza del 9 e 10 aprile 2006, sembra invece che per la CdL tutto vada a gonfie vele, che quanto sostiene Berlusconi sia vero: metà degli elettori lo sostengono. A Valenza Il centro destra ottiene 8.429 voti (59,91%) alla Camera e 7.882 voti (59,77%) al Senato. Il centro sinistra di Prodi si ferma al 40,09% con 5.640 voti alla Camera e al 40,23% con 5.306 voti al Senato.
Si è passati dall’era della certezza a quella della convenienza, da un’epoca in cui si credeva in ciò che si diceva a un’altra in cui si finge, si recita. Si simulano opinioni più collimanti alle esigenze del mercato politico per non restarne fuori. Ci sono comunisti che si professano liberali, missini che celebrano l’antifascismo, sessantottini che elogiano la meritocrazia, ex socialisti che condannano lo statalismo. Dopo i propagatori delle ideologie sono arrivati i propagandisti del nulla.
Nel mondo la sinistra conserva il nome cambiando le facce, da noi cambia nome di continuo ma si fatica a togliere di mezzo alcuni volti. Diverse idee della sinistra, poi, sembrano ormai svendute, ma abbandonandole gli ex PCI, PDS, DS e PD rischiano grosso. Sono interessanti le risposte al questionario compilato dai votanti alle primarie di Valenza, che incoronano Veltroni segretario del PD – partito nato nell’ottobre del 2007 dalla “fusione a freddo” dei vari partiti di centro sinistra – permettono di delineare uno spaccato della volontà e delle brame, per nulla scontate, di questa sinistra valenzana. Essa chiede un partito che sappia ascoltare e interpretare, trasparenza, coerenza, di essere più coinvolta nelle decisioni, un fisco più equo, la riduzione dei parlamentari e un servizio sanitario più adeguato. Il questionario sembra sia stato fatto tra i centrodestristi: in fondo la gente vuole le stesse cose.
Si torna al voto il 13-14 aprile 2008. In piazza Gramsci riappaiono i gazebo: ormai potrebbero anche lasciarli lì perennemente, è l’unico modo che i partiti – a brandelli sul piano politico e programmatico – hanno per farsi ascoltare da qualcuno. Una volta gli “onorevoli” – titolo ormai condiviso solo con i mandarini cinesi e i malavitosi siciliani – erano eletti dalla gente, ora si scelgono tra loro, in modo analogo ai Cavalieri della Tavola Rotonda.
Nel Paese il partito di plastica e il Carroccio ottengono un eloquente 49,9% alla Camera e un ancora più netto 50,4% al Senato. Berlusconi torna al potere, il centro sinistra torna all’opposizione e qualcuno tira un sospiro di sollievo perché non deve più scendere in piazza contro sé stesso. Uno dei migliori exploit della provincia si verifica nella nostra città, dove l’alleanza di centro destra registra il 58% dei voti; ma la performance più consistente è quella leghista, che rispetto alle elezioni di due anni prima raddoppia i voti: 11,6% al Senato (5,35% nel 2006) e 12,03% alla Camera (5,47% nel 2006). Il nuovo Partito Democratico (DS + Margherita) si attesta al 28% al Senato e al 27,35% alla Camera. Sono amareggiati gli esponenti della Sinistra Arcobaleno, della Lista Di Pietro, dell’Unione di Centro e la Destra, tutti sotto il 4%. Diversi colgono la palla al balzo per sfilarsi. La crisi finanziaria mondiale a causa di una crescita drogata e il debito per salvarsi crea gravi difficoltà a tutti.
Il PD e il PdL sono ormai due partiti conservatori di massa, che si sono diversificati tra loro principalmente per le rendite verso le quali hanno avuto un occhio di riguardo, ma il voto degli operai valenzani, in maggioranza alla Lega e al PdL, testimonia che il paradosso qui è diventato realtà.
Il popolo valenzano si è sganciato sempre di più dalla sinistra perché essa ha seguito percorsi interiori e culturali oscuri a molti cittadini: la società multietnica, la libera migrazione, l’orrore per ogni intervento repressivo, impantanandosi in una finta melassa umanitaria (ci si sente più illuminati a essere tolleranti). Per una certa sinistra semi-radicale, poi, gli avversari sono spesso stati considerati cafoni, razzisti e via dicendo, e questo disprezzo antropologico è ora sopportato sempre meno da molta gente, che non tollera più il pensiero unico. L’elettorato più anziano e relativamente benestante è invece tradizionalista e refrattario ad inseguire alternative.
All’opposto, il centro destra locale è sempre un po’ complessato, ha una certa imperizia politica nelle sue punte istituzionali, ha carenza di pensieri e di proposte. Complesso d’inferiorità? Di certo pesa l’attitudine alla pavidità ereditata da un certo democristianismo, disposto a tollerare l’intollerabile pur di non avere grane e dedicarsi alle faccende con la necessaria quiete, in nome di quel nichilismo laico borghese in chiave poltronista. Invece la Lega in questi ultimi tempi è stata la più coraggiosa nel contrastare il potere locale.
Nell’estate del 2009, all’interno del governo della città si aprono alcune allarmanti crepe e al perplesso sindaco Raselli non resta che abbandonarsi mandando al diavolo partiti e partitini. È diventato un consiglio comunale con una maggioranza eterogenea e litigante che comprende miscredenti, agnostici, cattolici e un’opposizione quasi inesistente che pare una compagnia di ventura. Ci sono voti non favorevoli dai membri della maggioranza e verifiche per capire se essa esista ancora, finché dalle scintille si passa all’incendio che prepara un periodo pre-elettorale “infuocato”.
Nelle elezioni comunali del marzo del 2010, la sinistra sembra essersi inventata una maniera efficace per farsi del male: dividersi e proporre tre candidati a sindaco. Il centro destra, definito anticomunista e padronale da chi non lo sopporta, che da tanti anni sogna di prendere il timone del Municipio, punta sull’imprenditore Sergio Cassano, forse cercando di unire l’intelligenza economica alla passione politica.
Dai risultati il primo partito è composto dai valenzani che si sono chiamati fuori ostentando fastidio e stanchezza per questa politica e, infischiandosene del PD, del PDL e della Lega, non hanno votato; l’astensione in questa consultazione è ai massimi livelli nella storia. Per poco Sergio Cassano (48,65%) non è incoronato già al primo turno. Il PdL retrocede, ma ottiene quasi il 30%. La Lega Nord si attesta sul 14,08%, il PD sul 16,22%, Per Valenza sul 9,77% e la Lista Tosetti sul 11,45. Nelle regionali PDL ha il 35,71%, il PD il 21,78% e LN Il 19,33%.
Lunedì 12 aprile 2010 il tabù è infranto, la roccaforte rossa cade. Testimonianza di un momento critico o forse della fine di un’epoca, anche se di vere sinistre in campo non ce n’erano tre, ma neanche una.
Il PD valenzano paga certi personalismi. Dopo aver governato quasi tutto in questa città negli anni è cambiato, con troppe antipatie e disaffezioni, è ormai poco votato dai più giovani. Il centro destra, sempre sconfitto alle comunali, questa volta non si lascia sfuggire la conquista del Comune. Il merito principale è di Sergio Cassano, un imprenditore trovato fuori dai recinti dei partiti, che al ballottaggio vince con una maggioranza schiacciante di 6.081 voti, pari al 59,43%, contro i 4.152, equivalenti al 40,57%, del candidato del centro sinistra Costanza Zavanone.
È difficile dire se questo esito sia stato un pregio del centrodestra o un demerito altrui, ossia la sopraggiunta inaffidabilità dei “leali” al centrosinistra di un tempo. Il radicalismo leghista esce premiato dalle urne. Altro che “barbari”, le camicie verdi sembrano le più abili e le più fedeli e si sono anche impossessate di alcuni valori della sinistra, poiché ormai il federalismo è diventato l’araba fenice.
Questa sinistra, un po’ radical e molto chic, ha sostituito il comunismo e i suoi miti ripiegando sui diritti civili, gay, sul pacifismo, sempre a sostegno dei più indigenti. Essa sta con i poveri e la destra con i ricchi, ma se è così mezza Valenza sembrerebbe ricca. Si potrebbe pensare che alla base dell’affermazione di Cassano vi sia prima di tutto la sfiducia verso chi ha diretto la città fino a qui, ma probabilmente non è proprio così poiché, in verità, per i concittadini cambierà poco o nulla, se non i governanti politici e non i veri decisori tecnici. E poi in politica si vince, si perde e si può anche rivincere. Le democrazie che funzionano sono amministrate ora dall’una e ora dall’altra forza politica. Da noi, tuttavia, pare che nessuno perda mai davvero, e non è detto che chi arriva sia superiore a chi se ne deve andare.
In tempi di spending review, nel bilancio comunale le vere entrate ammontano soltanto a 25 milioni circa. Il bilancio è sui 60 milioni di euro, c’è un fondo solidale comunale su cui i valenzani versano allo Stato 2,5 milioni di euro e ne ottengono solo 1,6. Insomma, si continua a tirare la cinghia, cosa che questa amministrazione sta facendo da diverso tempo.
Nel febbraio del 2013 si torna alle urne per le politiche e nasce un’altra potente forza contagiosa dell’antipolitica chiamata “Movimento 5 Stelle”, che rappresenta una deriva intransigente della sacrosanta protesta popolare. Il successo del leader Beppe Grillo, che manda a quel paese un po’ tutti esasperando l’antipolitica e l’antieuro, è sorprendente. A Valenza il movimento ottiene ben 3.223 voti (27,22%) alla Camera e 2.846 voti (25,56%) al Senato.
È una turbolenza per il centrodestra locale, che ottiene il 37,11% alla Camera e il 38,33% al Senato, mentre il centrosinistra procaccia solo il 23,65% alla Camera e il 24,90% al Senato. Daniele Borioli si assicura un posto al Senato tra i democratici: erano decenni che un valenzano non occupava un seggio così prestigioso. Egli è uno dei pochi sopravvissuti alla moria di politici locali degli ultimi tempi.
Come in tutto il Paese, alle nuove consultazioni elettorali del 25 maggio 2014 anche a Valenza il PD (bene o male erede del PCI) quasi raddoppia in poco più di un anno, passando dal 22% del febbraio 2013 al 40% (38,68% alle europee e 41,39% al nuovo presidente regionale Chiamparino). Alle europee FI scende dal 32% al 22% – un centrodestra in luna calante, tutto da reinventare.
Più che una vittoria è un trionfo: Renzi ha trasformato pure quella sinistra valenzana d’antan. Egli ha stravinto in tutt’Italia, con percentuali senza precedenti. Nel paese dei sor Tentenna e dei veti incrociati, si sentiva la voglia di qualcuno che dicesse “Basta, ora governo io”. Purtroppo, la “renzite acuta” presto si rivelerà dolorosa. Per il movimento di recente conio il tracollo è più contenuto: a Valenza il M5S ottiene il 22,4% alle europee e il 22,66 alle regionali; un anno prima alla Camera aveva raggiunto il 27,22%.
All’inizio del 2015 si aprono le danze per il nuovo governo municipale, con la voglia di revanscismo e con alleanze “extraconiugali”, ma tra i valenzani regna l’angoscia che il nuovo sia peggiore del vecchio. Sullo scoglio del bilancio il centro sinistra s’infranse nel 2010 e, a pochi giorni dalle elezioni comunali del 2015, nello stesso modo (consuntivo 2014) s’infrange la traballante maggioranza di centro destra, che pare all’opposizione. È il segnale della disgregazione del centrodestra, che neppure un accordo in extremis nei giorni precedenti al ballottaggio riesce realmente a compattare. Il consuntivo 2014 sarà approvato nel luglio del 2015 dalla nuova maggioranza PD, con un pareggio di 57 milioni di euro e 22 milioni di spese correnti.
I valenzani ora sono in difficoltà, hanno un debito pro capite imbarazzante, il ricorso al dovuto crea in alcuni l’illusione che non ci sia un conto da saldare. Si spera che la risposta non sia il solito pasticcio delle capitalizzazioni (in partecipazioni, in crediti, in cespiti), svendendo qualsiasi bene comunale per far cassa e anche la dignità, ammesso che ce ne sia ancora.
Leitmotiv della campagna elettorale è stata la piscina comunale da tempo inagibile, da riaprire o forse da surrogare con il nostro fiume, come è stato per millenni. E tante altre bugie a fin di bene. In un clima di malcontento e di defezioni, le liste elettorali per queste comunali attingono a un personale politico in parte nuovo.
Oltre al primo cittadino si devono eleggere 16 consiglieri: 10 andranno alla maggioranza e 6 all’opposizione. Nelle diverse liste i candidati consiglieri sono ben 203, si arriva a 210 con i candidati a sindaco, circa un candidato ogni 100 abitanti. È un segno del malessere della democrazia.
Il primo turno si chiude con l’ottimismo d’obbligo del vincitore delle primarie PD, il candidato più accreditato Barbero (38%), e con le recriminazioni di Cassano (20%) per il fuoco amico. La baracca del centro-destra frana completamente. L’entusiasmo è finito in fretta, “senza il partito non siamo niente” diceva un vecchio slogan bolscevico. La Lega del commerciante Oddone e i grillini dell’orafo Cresta sono soddisfatti del loro 15%. Il risultato elettorale è sconfortante per FI (13%), arretrata in relazione allo sfondamento leghista (il terzo incomodo); ormai è scesa a percentuali imbarazzanti e quasi marginali da non potersi vantare.
Al ballottaggio del 14 giugno 2015 Barbero parte in vantaggio, ma Cassano non si dà per vinto e schiera una supercoalizione composta da FI, Lega, FdI e gruppo Merlino, politicamente divisa su tutto. Gianluca Barbero, esponente navigato del partito democratico, che coniuga l’eredità comunista con posizioni moderate, si riprende il Palazzo che gli altri hanno preso in noleggio per cinque anni. I pochi votanti del ballottaggio (43%) danno il 54% a Barbero e a il 46% a Cassano. La giunta è formata da Zavanone (vice sindaco) Baiardi, Ballerini, Barbadoro, Perrone.
Da tempo la sinistra si assicura molti voti dalla generazione degli anni ’50 e ‘60 che ha ottenuto quasi tutto. E’ venuta al mondo dopo la guerra, è prosperata nel boom economico, ha beneficiato dell’alta offerta di lavoro e alla fine della consistente pensione, per alcuni anche a 40 o 50 anni.
Il senso civico non c’è più, ammesso che ci fosse prima, e governare stanca. Un verdetto schiacciante e inequivocabile, che costringerà il premier Renzi alle dimissioni è quello del referendum istituzionale del dicembre 2016. A Valenza i sì sono il 43,34% e i no il 56,66%.
Nelle politiche del 4 marzo 2018 dalle urne esce una rivoluzione; nel paese la coalizione più suffragata è il centrodestra, ma il M5S è il partito più votato (32,7%). A Valenza nella camera uninominale, la Lega ottiene il 24,4%, FI 19,91%, FdI 4,32%, M5S 24,27% e il PD 18,45%.
Nel maggio del 2019 si tengono le europee e le regionali del Piemonte, vinte dal centrodestra con Cirio. Stravince la Lega, che a Valenza ottiene il 41,78% alle regionali e il 41,67% alle europee. Forza Italia e M5S si sono sbriciolati e ormai viaggiano sul 12%, il Partito Democratico sul 20% e la Meloni con FdI sul 6%.
Quasi metà degli elettori non hanno votato, siamo tornati molto indietro, a quando la politica era riservata a un gruppo ristretto e gli altri soggiacevano a esso. Tuttavia in quell’epoca i politici erano preparati, mentre ormai non pochi valenzani sostengono che i governanti siano ancora più mediocri dei concittadini.
Il travolgimento delle divisioni novecentesche di destra e sinistra è ormai palese a tutti. Dalla vecchia società cristiano-borghese al neocapitalismo nichilista e globale, dal vecchio liberalismo al nuovo spirito radical del nostro tempo. Ma per una certa sinistra l’avversario del momento è sempre “fascista”, a prescindere dal suo effettivo retroterra politico.
Dopo il primo governo Conte (M5S e Lega, 1/6/2018-20/6/2019) e il secondo (M5S e PD, 5/9/2019-26/1/2021), siamo entrati in era Covid – quando molte ovvietà verranno meno e durante la quale ci dichiareremo i migliori pur avendo più morti degli altri – e il 20 e 21 settembre 2020 si vota per eleggere sindaco e consiglio comunale. Diversi venerandi politici locali sono svaniti, restano solo alcuni caparbi apostoli e pochi apologeti, con qualche riproposizione, qualche giravolta e alcuni cambi di casacca. Per la vecchia arte del governare la damnatio memoriae è così radicale che è difficile e imbarazzante riproporre degli “highlander” locali per il nuovo consiglio comunale. A Valenza un elettore su due è stato messo in fuga: guarda all’attuale politica – troppo passiva e timida, fatta solo di piccole mosse polemiche legate allo straniante quotidiano – con un atteggiamento schifato, disilluso, confuso e indifferente. A votare non ci vanno, tanto è tutto uguale, dicono.
Nel primo turno tra i due principali candidati a sindaco dalle visioni politiche opposte ci sono soltanto 13 voti di differenza. Luca Ballerini raccoglie 4.067 voti, che equivalgono a un 43,78%; le liste che lo sostengono sono Pd (1.935 voti, 22,17%), Valenza Futura (991, 11,36%), Valenza Bene Comune (551, 6,31%) e Italia Viva (255, 2,92%).
L’altro candidato, il leader padano Maurizio Oddone, è leggermente indietro, con il pur ragguardevole esito di 4.054 voti e il 43,64%; è sostenuto da una coalizione composta da Lega (2.262, 25,92%, primo partito di Valenza), Fratelli d’Italia (879, 10,07%) e Forza Italia (801, 9,18%).
A fare da terzo incomodo è Alessandro Deangelis, vera rivelazione della tornata elettorale. L’ex Fi e Fdi, diventato civico raccoglie 1.124 voti e il 12,10%.
I due sfidanti, rispettivamente sostenuti dal centrosinistra e dal centrodestra, due settimane dopo (ballottaggio del 4 e 5 ottobre 2020) si devono affrontare in un testa a testa per decidere chi sarà il successore di Barbero sullo scranno di Palazzo Pellizzari.
È una “battaglia” fino all’ultimo voto, in cui vince senza trionfare l’esponente di centrodestra Maurizio Oddone. Il lunedì pomeriggio del 5/9/2020, dopo lo scrutinio, i numeri dicono 3.999 a 3.976, con Oddone che ha ottenuto il 50,14% delle preferenze, contro il 49,86% di Ballerini. Per soli pochi voti il liberista sociale padano Oddone sarà il nuovo sindaco. La nuova giunta sarà formata da Rossi (vice sindaco), Gatti, Merlino, Patrucco e Zaio.
Il 13/02/2021, nel segno della confusione, entra in carica il governo Draghi, sostenuto da una larga maggioranza corrispondente alla quasi totalità dell’emiciclo parlamentare, ma dal 24 febbraio 2022, con l’invasione Russa in Ucraina, il mondo pare entrato in una nuova era.
Ora, nel mezzo di una mobilitazione energetica contro l’atroce nuovo conflitto, l’Europa sempre più isolata, tentenna, stretta in una morsa tra il pressing degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, il grido di dolore dell’Ucraina e la necessità di scansare un crollo delle sue economie, quella italiana soprattutto.
In questa cornice disumana, di delirante follia bellica ed eccitazione militaresca, che rimanda ad un Novecento che non si rassegna a finire, i nostri pacifisti si scoprono a favore delle armi, mentre molti nichilisti capiscono solo adesso cosa sia la guerra. Poiché i corpi ucraini straziati non sono un’eccezione, possiamo vederli come il volto feroce e orribile di ogni conflitto bellico.
Con le troppe armi nucleari disponibili, adesso l’unica certezza è che dopo una terza guerra mondiale non ci sarà una quarta, perché l’umanità sarà estinta.