Il feudalesimo a Valenza
Un nuovo capitolo di storia cittadina a cura del professor Maggiora
VALENZA – Alla morte di Carlo Magno, l’impero carolingio si sbriciola, portando alla creazione di una moltitudine di distretti autonomi concessi dal sovrano ai suoi fedeli sottoposti e che vengono denominati feudi. Una pratica molto in uso presso i germanici, che risale all’epoca delle prime conquiste fatte dai re barbarici e che resterà in vita fino all’età moderna, quando alla progressiva perdita di potere della nobiltà aumenteranno gli incarichi onorifici.
Verso metà del IX secolo, queste nostre contrade fanno parte del feudo di Liutardo de’ Conti vescovo di Pavia nel Comitato di Lomello – contea istituita dai franchi nell’847 – e dall’anno 888 della grande e potente Marca di Ivrea costituita da Guidone da Spoleto.
All’inizio del nuovo millennio le terre di Valenza, che fanno parte del primo Monferrato, sono governate da Oberto d’Astiliano, derivante da Aimone – conte di Vercelli dal 950 al 966, discendente di Manfredo IX, un vassallo regio, conte di Lomello, della famiglia franca dei Manfredigi – che nel 962 le ha avute in feudo dall’onnipotente imperatore Ottone I – il grande restauratore del Sacro Romano Impero – e nel 965 dal vescovo filo imperiale Ingone di Vercelli.
La comunità valenzana non appartiene ancora a una oppidum o civitas, ma a una semplice loco et feudo Valenza.
In un diploma del 1164 di Federico I in favore di Guglielmo V marchese di Monferrato, fra le terre concesse in dominio compare anche Valenza; il marchese nomina Anselmo, Raineiro e Oberto Visconti (di Monferrato) signori di Valenza.
Con un certo sentimento di superiorità morale e materiale immaginaria, Valenza resterà per lungo tempo un comune rurale; non sarà un feudo donato o venduto a conti o a marchesi vassalli, ma rimarrà terra immediata – conta poco, e obbedisce a tutto – cioè direttamente subalterna ai principi, fino al 1446.
Solo per un breve periodo, dal 1404, il crudele e vendicativo mercenario Facino Cane (sopra), leader di battaglia ma poco di governo, che gioca una partita unicamente pro domo sua, presiede questo luogo. Egli riceve nel 1403 le terre di Valenza (del valore di 40.000 fiorini) in pegno dalla duchessa Caterina Visconti, madre tutelante di Giovanni Maria Visconti.
Possiamo affermare che a Valenza i feudatari si statuiscono solo nel Rinascimento. Capaci di qualche luminosità e di parecchie nefandezze, pur dovendo ubbidire ai dettami e agli interessi del Ducato milanese – una specie di suocera esigente ed esperta di carognate – saranno spesso disorientati dal loro potere; tra le scorribande dello straniero di turno non avranno l’interesse del loro popolo come priorità. Avranno facoltà di nominare i podestà – a libera scelta purché la si pensi come il signore – la cui designazione è sottoposta all’approvazione, puramente formale, del consiglio cittadino solo dopo la nomina.
I feudatari di Valenza godranno di ampie forme di immunità e di esenzione. Saranno quasi tutti discendenti della famiglia Gattinara Lignana (lo scettro passa generalmente in eredità), che si dissolverà solo sul finire del XVII secolo. Prima che il capostipite dei Gattinara, conte di Valenza, riceva il Feudo nel 1522, ci sono altre infeudazioni, puramente personali.
Nel 1446 (1438?), il feudo è donato a Giacomo Visconti dallo zio Filippo Maria Visconti, aggiungendolo a quello di Tortona. Ai valenzani e al podestà-governatore Bossi non piacciono i Visconti e per proprietà transitiva neanche Giacomo. Molti problemi sorgono quando Valenza è ceduta per 400 fiorini al duca Ludovico di Savoia: una gestione maldestra, ma fortunatamente l’alienazione non andrà a buon fine.
Nel 1454, infatti, Francesco Sforza, nuovo duca di Milano, manda il suo generale Liberto a occupare Valenza, togliendola risolutivamente ai Savoia, e nomina feudatario il capitano conte Gaspare da Vimercate (1410-1467, nella foto sopra), di antica e nobile famiglia valenzana. Algido e superbo condottiero di ventura al servizio di Francesco Sforza, e a lui molto familiare, nel luglio del 1454 è investito insieme al nuovo governatore di Valenza Antonio Trotti e al podestà Giovanni Aimi; in seguito sarà governatore di Genova. L’investitura avviene a dispetto delle preghiere contrarie del consiglio generale della città e del vecchio podestà, svilito e messo in un angolo, per certi comportamenti troppo padronali del Vimercate, ma soprattutto per vecchi legami che i vecchi governanti hanno ancora con lo stato sabaudo sconfitto dai milanesi e ormai sottomesso anche alla supremazia della monarchia francese. Si deve al Vimercate (anche Vimercati) la venuta dei Domenicani a Valenza con la chiesa e il convento di San Giacomo fuori porta Bedogno.
Morto Vimercate, Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano dal 1466 al 1476, nel 1468 assegna il Contado di Valenza al fratello minore Sforza Maria Sforza (1451-1479) duca di Bari. Mancano notizie su altri conferimenti sino al 1513 quando Valenza, mollata brevemente dai francesi – dal 1512 al 1515 ritornano gli Sforza con Massimiliano, figlio di Ludovico – passa a Ottaviano Maria Sforza (1475-1545) vescovo di Lodi, ma nello stesso anno l’atto è revocato e il contado è assegnato al fratello alter ego del duca Massimiliano, Francesco II Sforza duca di Bari (1495-1535), che ha già sovrabbondanti carichi: sarà il nono e ultimo duca di Milano indipendente dal 1521 al 1535.
Nel 1521, Francesco II Sforza diventa duca di Milano – Carlo I re di Spagna, casa d’Austria, ha già scacciato i francesi – e attribuisce il feudo valenzano (eretto a Contea) ai Gattinara, una nobile famiglia piemontese, ramo del consortile di Arborio, il cui primo pezzo grosso era stato Florio; nel farlo tralascia il fratello Massimiliano, nel 1515 già spodestato dai francesi che, con un trappolone politico, nel 1519 avevano ceduto il nostro Feudo al marchese Giulio da San Severino (1475-1555), illustre uomo d’armi, per 20 mila scudi.
La famiglia dei Gattinara, che nel 1404 ha fatto dedizione ad Amedeo VIII di Savoia, rifulge grazie a Mercurino Arborio (in foto sopra), una sorta di padreterno illuminato che dividerà i suoi feudi tra i nipoti, facendo formare diverse linee: i marchesi di Gattinara, i marchesi di Breme duchi di Sartirana, i Gattinara-Lignana conti di Castro e i conti di Valenza.
Mercurino Arborio marchese di Gattinara (Mercurino I, 1465-1530) è un cardinale autorevole, carismatico, uno studioso religioso vercellese, un uomo avveduto e sagace che sarà vicino a essere candidato alla tiara e con stabili possedimenti in Piemonte. La donazione della Contea di Valenza avviene il 12-12-1522, sembra a ricompensa dell’intermediazione di Mercurino alla Corte spagnola dell’Imperatore per la nomina a duca di Francesco II Sforza, precedentemente privato del suo Ducato da Francesco I Valois. La speranza e l’illusione del popolo valenzano che fa suo il nuovo conte è forte, gli attribuisce una grandezza che non dimostrerà mai.
Elisa (Elisia ?) Gattinara Lignana, stravagante, colta, indipendente, il cui fascino, scaturisce dall’intelletto più che dalla bellezza, figlia di Mercurino I, alla morte del padre (1530) ottiene il Feudo in eredità. Già vedova di Alessandro Corradi di Lignana marchese di Romagnano e conte di Settimo, mantiene la sua dimora abituale al castello di Valenza, dove muore il 24-7-1536. Il valenzano Antonio della Chiesa è l’agente di Elisa, il suo Richelieu, un personaggio obbediente totalmente allineato; lo stesso vale per il protetto governatore di Valenza Gerolamo De Ranzo, un oriundo vercellese imparentato coi Gattinara.
Sotto il governo della contessa Elisa, il 1532 è un anno drammatico: l’esercito del marchese Del Vasto, generale di Carlo I, passa a Valenza – governatore Battistini Bescapè, già podestà – e cagiona moltissimi danni alla città. Di molto peso è l’anno 1533, quando vengono riformati gli statuti con l’assistenza del giureconsulto Ludovico Moresino, vicario generale ducale. Poi, nel 1535, alla morte di Francesco II Sforza, senza figli, lo Stato di Milano passa sotto il dominio dell’imperatore Carlo I e il suo luogotenente, Antonio Leva, prende possesso di tutte le fortezze e città, tra cui Valenza. È sempre più evidente la riduzione dello spazio politico per gli “angusti feudatari”.
Dopo la morte di mamma Elisa e una sequela di proroghe abbinata a un lungo braccio di ferro con la Camera Ducale, è investito Mercurino II Gattinara Lignana, capostipite dei Gattinara-Lignana, nipote di Mercurino I; nel 1545 c’è il giuramento di fedeltà, nel 1549 la conferma dei privilegi. Personaggio greve e mediocre con tendenze autoritarie, molto più attaccato alle gioie materiali che al destino dei suoi sudditi, non risiede abitualmente nel contado di Valenza e quindi trascura il governo della città. La sua politica favorevole agli spagnoli non sfugge ai francesi e, quando nel 1557 questi occupano la città, uno dei primi atti del comandante francese Brissac (Carlo de Cossé, conte di) è la confisca dei beni del conte e la demolizione del suo castello; da allora i conti feudatari di Valenza dovranno alloggiare in palazzi privati. L’uomo, senza condivisioni o solidarietà, in qualche modo torna nel 1559, quando, conclusa la pace tra Francia e Spagna, Valenza torna a essere una sorta di colonia spagnola.
La cerimonia d’insediamento del giovane Mercurino II si svolge con solennità il 22 dicembre 1545, secondo le tipiche forme di ossequio verso l’incarnazione del potere. Dopo aver varcato le tre porte della città in pompa magna (Alessandria, Casale, Bassignana), egli raggiunge la soglia del castello – ubicato dietro agli attuali oratori di viale Vicenza, sul suolo del vecchio macello – dove lo attende una fastosa tappezzeria di massime autorità civili, militari e religiose – tra cui il podestà Massimiliano Pietrobono e il governatore Gerolamo de Ranzo – che gli danno in custodia il sigillo della città e le rituali chiavi. Un incontro pieno di ipocrisia e di falsità, con la modestia tipica di chi può tutto.
Poche ore dopo la sua investitura, Mercurino II emana un’ordinanza attraverso la quale impone a tutti i capi famiglia di recarsi nel duomo di Santa Maria Maggiore, dove si deve svolgere il rito di fedeltà alla sua persona; chi non avesse ottemperato all’imposizione sarebbe stato punito con il pagamento di duecento scudi d’oro, una cifra che un popolano non avrebbe guadagnato neanche con il lavoro di una vita intera.
Nella cerimonia religiosa, il giovane conte, seduto al centro dell’altare con in grembo una bibbia e la totale remissione dei peccati, in modo solenne e umiliante ordina ai suoi sudditi di inginocchiarsi e di giurare fedeltà incondizionata alla sua persona. Infine accorda un’amnistia generale e si dichiara disposto a rispettare l’architrave del governo, gli antichi statuti locali.
È un culto della persona che forse include anche i miracoli, e se l’obiettivo è incutere paura per ottenere devozione questo viene sicuramente raggiunto. Più di tutto, però, l’intera vicenda descrive la protervia e il narcisismo di questi feudatari, poco orientati alla costruzione del consenso e interessati soprattutto alla ricerca del piacere, dando luogo al declino morale e reale di un’istituzione decadente e in via di estinzione. Ringhiano con i deboli e belano con i forti. Mercurino II muore a Milano il 12 marzo 1564 e viene sepolto a Valenza nella sacrestia di S.Francesco.
Nel 1564 la poltrona va ad Alessandro Lignana Gattinara, figlio di Mercurino II. I valenzani non pensano che sia un gran fautore della democrazia, ma sperano almeno che sia prudente. Diversamente dal padre, il nuovo conte di Valenza ha un carattere pacifico e per la maggior parte del tempo vive in questa città. Insigne benefattore del nuovo ordine dei Cappuccini, sostiene la costruzione di un convento fuori della Porta Alessandria e della chiesa di SS. Trinità e Assunzione di Maria. Durante la sua reggenza i padri Domenicani abbandonano il convento e la chiesa fuori alle mura ormai distrutte dagli assedi (diventeranno il Forte del Rosario) ed edificano un nuovo convento dentro la città, il convento di San Domenico.
Alessandro è colto, religioso, sofferente – deve anche sorreggere la città durante l’inondazione del 1567 – ma tuttavia connivente, in base a un etica di convenienza, con chi ha il vero potere politico, ossia i vari governatori spagnoli che si avvicendano. Vorrebbe realizzare molte cose, ma ne concretizzerà solo alcune mettendo in gioco la sua stessa vita. Muore a Valenza il 16-7-1588, o forse il 26-11-1588, e viene sepolto in San Francesco, accanto ai suoi parenti.
Nominato nel 1588, Mercurino III Gattinara Lignana è il primogenito di Alessandro. Lui deve rivaleggiare con i fratelli per i diritti di successione sui pezzi di un vasto e disperso territorio che va dal Ducato di Monferrato a quello di Savona e di Milano, una bomba a orologeria che potrebbe deflagrare. Egocentrico e con vocazione autoritaria, conduce una vita dispendiosa, spesso confondendo la realtà con le proprie ambizioni. Un impopolare che prende vistose e infelici cantonate durante la peste del 1598, per questo motivo chiassosamente attaccato e persino insultato. Mercurino III mantiene quasi un clima da curia vaticana, ma gli artefici principali delle scelte, di controllo e di oppressione, sono sempre i governatori spagnoli, una casta che rende conto solo a se stessa e non ammette dissensi. Il conte muore a Milano nel 1633. Quando è al potere si decide di elevare e abbellire il Duomo, conservando il vecchio campanile.
Gabrio, o Gabriele, Gattinara Lignana è l’ultimo dei conti feudatari, dal 1633. Figlio primogenito di Mercurino III, malinconico, introverso, quasi intrappolato, riflette una costante incertezza. Avendo un carattere spigoloso, non sarà granché come capo di questa città. Il nuovo feudo viene diviso con il fratello Alessandro, a cui vanno possedimenti monferrini. Nei primi anni, però, il potere è nelle mani del marchese Leganés (Diego Felipe de Guzmàn), governatore dello Stato di Milano e comandante del presidio valenzano, che nel 1636 mette in fuga i francesi del Créquy tornati vicino alla città e nel 1637 trasferisce il convento esterno dei Padri Cappuccini all’interno delle mura in zona Colombina, dove viene ricostruito con relativa chiesa. Gabrio muore nel 1681, senza lasciare eredi maschi.
Potremmo definire gli ultimi decenni dei conti feudatari di Valenza il patetico crepuscolo degli dei di una casata ritrosa a fasi alterne, destinata a soccombere, condannata a un finale di disgregazione e dispersione. Nel 1681, essendosi estinta la discendenza dei Gattinara-Lignana, il feudo di Valenza è devoluto alla Regia Camera. È la fine amara e funeraria di un drappello di privilegiati e miracolati, seppure con erudizione, che faranno figura alle pareti, ma poco propensi a battersi in favore del popolo, antropologicamente distanti dalla gente con eccessivi cedimenti alle influenze straniere. Successivamente molti parenti pretenderanno il feudo, schiudendo una serie di cause che saranno tutte tumulate dalla conquista sabauda del 1706 e relative potature.
Il contrado Lazzarone (Villabella), che è un comune a sè dal 1460 e che si regge con statuti propri, nel tempo avrà quali feudatari i Visconti, i Busca, gli Scazzosi, i Merli, i Curoni Guazzi di Olivola e i Sannazzaro consignori di Giarole.
Il Feudo di Monte Valenza, dopo una lunga trama tormentosa e qualche capo clan spacciato per governante, da guardare con orrore, nel 1743 o 1753 è unito solennemente a Valenza, che diventa “Contessa di Monte”, titolo comitale, buffo e anacronistico, che manterrà fino all’abolizione della feudalità in tutto il Piemonte nel 1797.