La liberazione di Valenza
Il professor Maggiora ci offre un nuovo approfondimento storico
VALENZA – La Seconda Guerra Mondiale scoppia nel 1939. La volontà invasata di un dittatore invasato, sciaguratamente seguito da un popolo obbediente, induce al conflitto anche genti e paesi che non hanno alcuna voglia di fare la guerra. È la più devastante di tutti i tempi: dei 51 milioni di morti circa la metà sono civili.
Gonfiata dai venti della retorica e vittima di lavaggi del cervello, l’Italia entra in guerra a fianco della Germania il 10/06/1940 e, agli inizi del 1943, comincia a delinearsi la sconfitta. Il potere inossidabile arrugginisce, la popolazione è stanca della guerra, del fascismo, dei tedeschi e più che un funerale sembra una liberazione. Della patria e dei suoi passionali valori non importa più nulla a nessuno.
Anche a Valenza il conflitto ha portato tanta sofferenza. La povertà, l’oscuramento, la cartolina rosa, i bombardamenti, gli annunci dei primi caduti, Peppino l’aviatore notturno, le tessere dei pochi generi alimentari, i sacrifici, le privazioni, gli sfollati, il pane nero, la posta censurata, la borsa nera, le macellazioni clandestine, la confisca del bestiame, il sale irreperibile, il tabacco in foglie, le auto a carbonella, i renitenti alla leva.
Poi, nel 1943, si sente palesemente che l’era dittatoriale fascista è finita (dagli inchini alle pernacchie). Arrivano l’armistizio, Radio Londra, i partigiani e i rastrellamenti.
Ai soldati e ai diversi antifascisti in fuga, che abbandonano le armi e scappano, i valenzani offrono alimenti, che sono il bene più prezioso, e una certa assistenza; li nascondono nelle proprie case, nelle baracche in riva al Po e nei cascinotti di campagna, con grave pericolo.
L’assistenza non è rivolta soltanto ai soldati italiani, ma anche ai prigionieri di guerra appartenenti alle nazionalità più diverse (ci sono anche australiani), spesso fuggiti dai campi di concentramento o di lavoro. Si è costituita un’apprezzabile organizzazione clandestina legata alla resistenza che li aiuta anche a fuggire.
Il 25 luglio del 1943 (il giorno dell’arresto di Mussolini), nella casa di Francesco Boris ( forse il capo dell’antifascismo valenzano durante il ventennio), si tiene la prima riunione per la formazione del CLN cittadino. Le riunioni future saranno tenute presso Boris, nell’abitazione di Scalcabarozzi, all’Oratorio, in casa Mazza e negli ultimi giorni in casa dei fratelli Marchese. Il primo comitato (settembre 1943) è composto da Boris per il Partito Socialista, Luigi Vaggi per la Democrazia Cristiana, Ercole Morando per il Partito Comunista, Vittorio Corones per il partito d’Azione e Poggio per quello Liberale; dopo alcuni abbandoni verrà integrato da Giovanni Dogliotti (PCI), Mario Scalcabarozzi (PSIUP), Luigi Mazza (PSIUP) e Barberis (PLI).
Poco incline all’azione, per evitare un scontro cruento con l’amministrazione fascista locale, il gruppo cerca di trovare un accordo o un compromesso di modus vivendi con il capo fascista locale Alberto Maria Tuninetti, con scarso successo. Le mezze misure non sono concesse: o si odia l’avversario o si è nemici.
Nel febbraio del 1943, durante una riunione nel retro della farmacia di Maria Manfredi in via Cavour, è costituita la prima sezione in clandestinità della Democrazia Cristiana in provincia. Sono presenti l’esponente provinciale più simbolico Giuseppe Brusasca, i valenzani Luigi e Vittorio Manfredi, Luigi Stanchi, Luigi Venanzio Vaggi, Carlo Barberis, Pietro Staurino, Giuseppe Bonelli, Luigi Deambroggi e Felice Cavalli. Sei mesi dopo, l’8 settembre 1943, al chiaro di luna, sotto i gelsi in strada Zuccotto (ora via S.Salvatore), viene fondata la sezione valenzana del partito comunista; sono presenti Armando Baucia, Dante Casolati, Giovanni Dogliotti, Enzo Luigi Guidi, Carlo Masi, Ercole Morando, Luigi Prato, Ferruccio Rossanigo e Pietro Rossi.
Nella nostra zona operano le formazioni partigiane della brigata Garibaldi – comandata da Enzo Luigi Guidi, congiunta al partito comunista – della divisione Matteotti – legata al partito socialista – della Patria – autonoma, ma diretta da persone di estrazione cattolica, il cui capo politico e militare locale è Luigi Venanzio Vaggi – e della G.L. – Giustizia e Libertà, movimento laico composto da repubblicani e liberali.
Un lavoro oscuro è quello svolto dalle cosiddette “staffette”, donne locali che trasportano armi e dispacci, tra cui ricordiamo Mariuccia Sannazzaro, Ginetta Amisano e Assunta Provera.
Vengono intraprese molte azioni locali di sabotaggio, specialmente verso i treni; lo scontro armato è difficile data la presenza in città di un grosso presidio tedesco non troppo benevolo.
Il 12 settembre 1944 questa città diviene teatro di una delle più atroci azioni nazifasciste. Ben 27 partigiani della Banda Lenti, catturati nei pressi di Grazzano Monferrato, poi Badoglio (località Madonna dei Monti), vengono uccisi dietro il cimitero della città.
Il 15 giugno 1944 viene fucilato in Toscana il partigiano valenzano Giuseppe Oddone e nel gennaio del 1944 Sandro Pino, presso il bar Achille, durante un rastrellamento fascista.
La mattina del 25 aprile 1945, mentre le truppe fasciste del IV Corpo d’Armata Lombardia stanno tentando una ritirata verso la Lombardia, si compie uno degli atti più tragici della Resistenza valenzana: tre partigiani valenzani – Mario Nebbia, Carlo Tortrino e Giovanni Valeriani – sono fucilati in località “traghetto del Po” da una colonna della Brigata Nera, dopo essere stati sorpresi e catturati da una pattuglia tedesca nei pressi del fiume. Si salva miracolosamente Giuseppe Nebbia, anch’egli messo al muro.
A Valenza l’insurrezione del 25 aprile dura solo poche ore, poi per tre giorni le squadre dei fascisti spadroneggiano nella città commettendo soprusi e angherie. In questi giorni (25-29 aprile) nella nostra zona sono concentrati circa 30 mila uomini armati che fanno parte della Divisione S. Marco, di una divisione e mezza tedesca, oltre ad alcune centinaia di uomini delle Brigate Nere e della X Mas. Tutti fanno parte del Corpo d’Armata Lombardia, sono al comando del generale Jahn, provengono dalla costa ligure e custodiscono qui una testa di ponte per il passaggio oltre il Po.
L’atto della resa scritto dal prefetto Livio Pivano (azionista, nato a Valenza) è firmato in prefettura il 28 aprile 1945: dal presidente Longo per il CPLN, dal contrammiraglio Girosi per il CLN provinciale e dal generale Hildenbrand comandante del presidio tedesco. L’atto comprende la capitolazione del presidio tedesco di Alessandria e la resa della Divisione San Marco (di stanza a Valenza e appartenente all’armata del generale Jahn, poco propenso ad arrendersi al CLN.). Ma è di assoluta evidenza che Valenza resti ancora occupata dai tedeschi e dai reparti della divisione San Marco. Nella città si rispetta la tregua e il patto di libero passaggio delle truppe, ma gli animi sono esasperati, la tensione a mille e il caos assoluto.
Per la pericolosa situazione, il CPLN invia a Valenza il prefetto Pivano, il dott. Luigi Fadda e il contrammiraglio Girosi, per trattare con il gen. Jahn la resa di tutte le forze che stanno confluendo a Valenza e così guadagnare tempo per attraversare il Po verso la Lombardia; ma solo a mezzanotte si riesce a concordare la tregua delle ostilità e l’immobilità dei reparti fino alle 12 del giorno dopo, il 29 aprile. Dopo ulteriori trattative difficoltose (in alcuni momenti quasi drammatiche) nella scuola Costanzo Ciano (poi Pascoli) il comandante generale della divisione San Marco Farina ha grossi problemi a convincere i suoi ufficiali ad accettare la resa già concordata.
Il mattino successivo questa viene firmata dal rappresentante dell’armata tedesca Zoban, dal prefetto Pivano e siglata da Massimo, nome di battaglia del contrammiraglio Girosi. Nella notte il rigoroso generale Jahn ha già attraversato il Po. Una fila di tedeschi arresi e umiliati esce dalla scuola sotto il controllo degli americani: sono discinti, alcuni senza giacca, altri in mutande, diversi sono anziani. Un altoparlante montato sulla facciata della scuola diffonde in continuazione il Bolero di Ravel.
Il 30 aprile tutta Valenza è in piazza del Duomo davanti al balcone del Comune (Palazzo Valentino), dove si alternano a parlare Sisto, Boris, Vaggi, Repossi, Gilardenghi e Guidi.
Ci sono anche gli angloamericani e i valenzani osannanti festeggiano la fine del regime. Alcuni voltagabbana sconfessano qualsiasi loro dimostrazione di adesione ai miti del fascismo, fingendo di mostrarsi puri e salendo a forza sullo stipato carro dei vincitori in cerca di capri espiatori.
Purtroppo la festa è guastata da qualche violenza gratuita mirata a saldare i conti e da certi gesti che sono quasi consueti verso i vinti. Alcuni collaboratori fascisti sono fatti sfilare tra i vituperi della gente assiepata ai lati di corso Garibaldi. Nei rastrellamenti successivi alla liberazione vengono catturati militari tedeschi, della Brigata Nera, della San Marco e della X Mas; nei giorni seguenti anche Valenza avrà alcuni noti fascisti locali maltrattati o eliminati come Gilberto Porta e Eliseo Emanuelli. Ciò non assolve nessuno, ma smentisce il candore di alcuni.
Dopo il furore iniziale, subito sedato dai responsabili del CLN, il comportamento dei nostri ex partigiani sarà improntato alla responsabilità e alla giustizia.
Precedentemente a Pecetto (abituale luogo dei convegni) i componenti del CLN si erano accordati con i partiti per le nomine degli amministratori comunali di Valenza. Il socialista Guido Marchese è stato scelto quale sindaco, gli assessori sono i democristiani Staurino e Deambroggi, i comunisti Masi e Rossanigo, i socialisti Camurati ed Emanuelli, gli azionisti Legnazzi e Deambrogio. Sempre in seno al CLN viene costituito un comitato di epurazione composto da Vescovo, De Ambrogi, Deambroggi, Ferraris, Badini Confalonieri. Sarà indulgente.
Infine, un aspetto da tener presente è che sono stati gli americani a liberarci dal nazifascismo e saranno loro a tenerci sul versante occidentale e a risollevarci con il piano Marshall. A differenza di quanto avveniva in passato, non saranno i vinti a indennizzare i vincitori, ma questi ultimi a soccorrere i primi. Insomma, per contenere la spinta comunista, gli Stati Uniti saranno molto magnanimi con i vinti (Germania, Giappone, Italia).
Poi diverrà sempre più arduo rivelare quanto è accaduto senza cedere alla venerabilità e ai pensieri inutili di rivalsa.