Valenza e la Grande Guerra
Un nuovo approfondimento del professor Pier Giorgio Maggiora
VALENZA – «Non possiamo restare indifferenti all’aggressione dei fratelli serbi, degli austriaci, dei russi…» si diceva in ogni parte d’Europa nell’estate del 1915, alla soglia della Prima Guerra Mondiale: un’ubriacatura guerrafondaia che sembra non essere passata di moda. Ognuno dei belligeranti era convinto di poter battere gli avversari in pochi mesi, invece la guerra durerà più di quattro anni (28/07/1914-11/11/1918). Fu un’escalation fuori controllo e una catastrofe umanitaria ormai dimenticata che dovrebbe servire di lezione.
A Valenza nelle elezioni politiche del 26 ottobre 1913 aumenta notevolmente il numero degli elettori — in Italia da 3 a 8 milioni, a Valenza da 2.266 a 3.382 — i cattolici ritornano ringalluzziti alle urne, mentre le donne dovranno attendere ancora più di 30 anni per poter votare. Viene eletta una Camera — probabilmente la più inetta e sventurata della storia d’Italia — che subirà l’intervento in guerra a occhi bendati.
Nella nostra città i socialisti ottengono il 68,8% e i liberali il 31,2%, ma dal collegio esce vincitore il liberale Brezzi, con 5.972 voti contro 5.205. In queste elezioni, la candidatura unica ha prodotto varie discussioni tra i liberali, che hanno tirati in ballo i nomi del cav. Luigi Vaccari, già sindaco in passato, e dell’avv. Domenico Brezzi; i socialisti hanno puntato, disciplinarmente, sulla ricandidatura del deputato uscente Alberto Merlani. Come al solito, la campagna elettorale si è combattuta a colpi di polemiche e di insinuazioni personali: Brezzi (nella foto sotto) à stato definito in modo spregevole il “clericale” e Merlani screditato quale massone.
Nel dicembre del 1913 il cav. Giovanni Merlani, che dal 1903 conduce l’Unione Liberale locale, rassegna le dimissioni e il suo partito decide di istituire un nuovo sodalizio politico, nato cinque mesi dopo con il nome di “Associazione Costituzionale Democratica”, e quale suo presidente viene eletto Ferdinando Abbiati, un ex sindaco. Il loro nuovo periodico, che sostituisce l’Aurora Liberale, si chiama l’Azione.
Dopo alcuni mesi, in un clima prebellico, nelle elezioni comunali del 12 luglio 1914 i valenzani confermano la loro fiducia alla passata amministrazione socialista. Il giornale socialista La Scure festeggia la vittoria “sull’accozzaglia di clericali, conservatori, liberali pseudo-democratici ed esercenti unitisi per difendere i propri interessi”. L’Azione la definisce invece “il trionfo della sopraffazione e della violenza”. Luciano Oliva (nella foto sotto) è rieletto sindaco e la nuova giunta viene composta da Gerolamo Visconti, Giuseppe Melgara, Giuseppe Marchese e Francesco Camurati.
Dopo l’assassinio dell’erede al trono dell’impero austro-ungarico del 28 giugno 1914 pare incredibile che scoppi una guerra, ma l’ira travolge i poteri e le élite europee. Tutte le forze oscure soffiano sul fuoco trasformandolo in un incendio che diventa una guerra mondiale. Il 28 luglio 1914 l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia: è l’inizio del conflitto. Come membro della Triplice Alleanza (Germania, Austria e Italia) l’Italia,dovrebbe schierarsi con gli imperi Centrali, invece rimane neutrale per mercanteggiare meglio: Trieste, Istria, Dalmazia, chi offre di più! Ma dopo il rifiuto austriaco di cedere queste terre e il patto segreto firmato a Londra del 26/04/1915 con le forze dell’Intesa (Francia, Russia e Gran Bretagna), favorevoli ad appoggiare le pretese, l’Italia, dimostrando la solita fragilità delle sue alleanze denuncia la violazione del trattato della Triplice Alleanza a causa dell’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria senza cedere a essa le terre irredenti (pressappoco un casus belli), si stacca dalla Triplice Alleanza e il 24 maggio 1915 dichiara guerra all’Impero austro-ungarico, che è alleato a Germania e Impero Ottomano nel conflitto in corso.
La guerra è quasi imposta da una minoranza decisa e chiassosa – la Corona, il governo, gli intellettuali, gli studenti interventisti di orientamento nazionalista, una parte del mondo industriale, alcuni grandi giornali come il Corriere della Sera – contro la volontà della maggioranza parlamentare, delle maggiori correnti politiche e delle masse popolari. È un conflitto che viene immediatamente percepito come grande, per estensione e intensità. Grande soprattutto per la sua capacità di produrre lutti e devastazioni.
A Valenza i più convinti della neutralità sono i socialisti, che si battono con scioperi e manifestazioni, esprimendo vivamente lo sdegno per l’immane tragedia che sta per abbattersi sulle genti, con le solite incrostazioni ideologiche. Non si trovano molti favorevoli tra i repubblicani che nel Paese, contraddicendo vecchi e consolidati principi, sono accaniti sostenitori dell’intervento. Ancor meno tra i cattolici valenzani, molti dei quali hanno quasi l’atteggiamento dello struzzo angosciato. L’Associazione Costituzionale Democratica è per la maggior parte consenziente (Abbiati, Vaccari, Ceriana, Soave), ma molti liberali contrari non hanno il coraggio di opporsi agli interventisti sempre più baldanzosi, che paiono investiti di una missione divina. Alcuni giovani interventisti sono figli di agiati borghesi, che invocano anche per noi la guerra che già infuria in Europa. Ma si fa presto a sostenere la guerra se poi il conto lo pagano gli altri: saranno gli operai e i contadini che andranno a morire al fronte.
Sono numerose le manifestazioni antimilitariste promosse dai socialisti, nelle quali il sindaco Luciano Oliva e Carlo Zanzi si distinguono per il modo in cui arringano la folla. Nella seduta consiliare del 15/05/1915 il sindaco Oliva dichiara di essere stato richiamato alle armi, non essendosi avvalso della facoltà di esonero; a causa di una malattia, però, ritornerà celermente a guidare il Comune nel dicembre del 1915.
Il 18 maggio 1915, quando ormai l’intervento è prossimo e lo sfacelo è dietro l’angolo, in piazza del Municipio tremila valenzani protestano contro la guerra; in testa ci sono i consiglieri socialisti De Michelis, Ferraris, Mazza e Raiteri. Intanto, tra proclami bellicosi, i pochi irriducibili socialisti rivoluzionari locali vedono le radiose giornate del maggio 1915 come l’ultima occasione per scardinare l’ordine borghese e costruire un avvenire migliore per le masse popolari. Un sogno vissuto per tutta la guerra e che svanirà nelle drammatiche involuzioni del dopoguerra, perché le relazioni internazionali non sono fondate sulla “morale”, ma sul piano geopolitico, economico e militare.
Nel 1915 viene l’ora dell’Isonzo e del Piave per molti giovani valenzani che entrano nella fornace della Grande Guerra. È una bufera di piombo e di sangue che dura 43 interminabili mesi (dal 24/05/1915 al 4/11/1918). Da Valenza si recano al fronte circa un migliaio di giovani sotto i trent’anni. Poveri fanti strappati alla vita operaia o contadina e mandati a soffrire o a morire per Trento e Trieste in trincee spettrali, per mezzo di gas letali e con cariche alla baionetta contro mitragliere impietose. Un’inutile strage.
Durante il conflitto, la popolazione deve sopportare agghiaccianti notizie dal fronte e gravi disagi: aumento dei prezzi, rarefazione delle merci, inflazione, disoccupazione. All’epoca una lira corrisponde a circa 3 o 4 euro odierni. Una dozzina d’uova costa 1,7 lire nel 1915 e 5,7 lire nel 1918, il prezzo del pane sale da 50 a 80 centesimi al kg, quello dello zucchero da 2 a 5 lire al kg, quello del riso da 50 a 90 centesimi al kg, quello del latte da 50 a 90 centesimi al litro, quello dell’olio da 2 a 4 lire al litro e quello della carne bovina da 2 a 7 lire al kg. Il combustibile scarseggia, così sale inusitatamente il prezzo del carbone e del gas. Dall’inverno del 1917 il riscaldamento è assicurato solo grazie al legname. La spirale inflazionistica alimenta il mercato nero e i comportamenti speculativi: in guerra c’è anche chi fa affari. Un operaio di filanda guadagna 1,70 lire con 10 ore di lavoro al giorno, un posto al teatro costa tra 40 centesimi e 1 lira. A Valenza complessivamente però il lavoro non manca: nel 1916 i disoccupati che prendono il sussidio dal Comune sono solo una cinquantina.
Verso la fine del conflitto manca l’energia elettrica e il carbone, i negozi sono poveri di merce ed è scomparso il pane bianco. Nuove figure entrano nel quotidiano: il mutilato, la vedova di guerra, l’esonerato, l’imboscato. L’Azione sospende le pubblicazioni – l’ultimo numero esce il 30 maggio 1915 – mentre su La Scure diversi articoli sono censurati e il giornale sequestrato.
Finita la guerra libica, l’industria orafa accennava a riprendersi, ma lo scoppio della guerra mondiale ha prodotto la paralisi quasi completa di ogni forma di attività, ha reso insostenibile l’approvvigionamento di metalli preziosi, rarefatti e saliti di costo, e delle pietre preziose: 37 fabbriche su 41 restano chiuse. Molti orafi sono chiamati alle armi, altri sono impiegati nel settore meccanico di precisione, sempre per produzione bellica, e vengono spesso considerati degli imboscati. Aumentano la produzione e i profitti della calzaturiera per le commesse militari: sorgono due nuove industrie della calzatura e le altre due che esistono devono ampliare gli impianti, come le altre aziende che producono le tomaie giunte. Queste imprese sono in grado di accogliere una numerosa manodopera femminile non specializzata e di renderla produttiva in tempi brevi, sostituendo facilmente gli uomini chiamati al fronte.
Dal maggio del 1917 c’è un inasprimento dei rapporti tra i lavoratori e i datori di lavoro valenzani. La prima categoria coinvolta è quella dei lavoranti in calzature poi ci sono i pochi orafi rimasti, organizzatisi in una lega di resistenza, e infine le filandiere della ditta Ceriana, le cui condizioni di lavoro sono rimaste simili a quelle dell’800.
Dopo il 4 novembre 1918 – 11 novembre per tutti i belligeranti – a guerra finita, il volto dell’Europa è cambiato. È stata un’ecatombe umana e monetaria che ha corroso le tradizioni liberali e che presto favorirà nazionalismi e totalitarismi. L’Italia è povera (23 miliardi di debiti), è distrutta in ogni sua componente economica e sociale e il governo non è in grado di superare i contrasti politici. I partiti non riusciranno a trovare possibili forme di collaborazione e in questo clima si affermerà il fascismo.
In Italia la guerra ha significato quasi 700 mila morti e un milione di feriti (per lo più figli di contadini) su 36 milioni d’abitanti. A Valenza, tra i circa 1.000 militari partecipanti, ci sono stati 139 morti (129 nati tra il 1876 e il 1899), 36 mutilati e invalidi, molti feriti e altri deceduti per le conseguenze, su circa 12 mila abitanti.
Questa città un po’ troppo distratta ha ormai scordato queste vicende e suoi caduti: di cosa diavolo ha bisogno l’uomo per non commettere gli stessi ingiustificabili sbagli?