Lazzarone e Villabella di Valenza
Un nuovo approfondimento sulla storia della città
VALENZA – La nostra zona inscritta alla tribù Pollia, poi popolata da gruppi amalgamati di Celti e Liguri (Galli cisalpini), cade in mano ai nuovi conquistatori romani verso l’anno 222 a.C. A Roma i reduci e i mercanti descrivono questa regione come una terra inospitale, fredda, selvaggia, cosparsa da aree incolte e foreste impenetrabili e abitata da gente testarda e astiosa.
“Lazzarium” per gli antichi romani significa luogo di riposo per le truppe di soldati di passaggio; è contraddistinto così un villaggio a circa sei chilometri da Valentia che posa su un altipiano, in un lontano passato sul ciglione dell’antica sponda destra del Po, un terreno cretaceo nel rilievo e sabbioso nella parte più bassa.
Il villaggio era probabilmente posizionato sulla via militare romana che da Tortona (Dertona) portava a Torino (Taurinorum) e che toccava Valentia (Valenza), Lazzarone (Villabella), Mirabello, Occimiano, Vardacate (Casale), Pontestura, Industria (Monteu da Po-To), un’arteria basilare e mediana della rete stradale della Liguria Padana sulla destra del Po.
Tratti della strada sono stati rinvenuti nei pressi della stazione ferroviaria di Valenza in zona Gropella verso Villabella; un’area ristretta in cui sono state ritrovate armi, macine, vasellame, tegoloni per sepolcreti e una tomba che confermano l’esistenza di una necropoli dei tempi antichi.
Nel periodo alto-medievale – caratterizzato da invasioni, epidemie e ingiustizie – il borgo è in una zona periferica prevalentemente agricola, un ristretto luogo di nebbie con tanti morti di fame. Al centro della vita individuale e collettiva dei sudditi impauriti c’è la religione (intimamente infantile) con i riti sacri che scandiscono il tempo e fissano le regole sociali “ora et labora”.
Sotto il dominio dei Franchi, l’imperatore Carlo il Grosso, discendente di Carlo Magno, dona una potente e vasta signoria feudale formata da parecchie “curtes” regie, tra le quali anche questo territorio (dominatus loci), al vescovo di Vercelli Liutvardo (Chiesa eusebiana); il diploma imperiale è dell’anno 882 e il dominio è confermato dall’imperatore Ottone III nel 999.
Nel 1162 Guglielmo V degli Aleramici Marchese di Monferrato, detto il Vecchio, un vassallo dell’Imperatore Barbarossa (Federico I Hohenstaufen), crea signore di Lazzarone Ferdinando Sannazzaro – appartenente a una nobile famiglia d’origine lomellina di Sannazzaro de’ Burgondi – e il 4 dicembre 1163 l’imperatore stesso conferma i privilegi su Lazzarone ai quattro cavalieri (Milites) Raineri, Burgondio, Assalito e Guidone (Widonis) de Sancto Nazario; almeno due sono figli di Ferdinando.
Il feudo o bene terriero passa poi ai Visconti monferrini, che vi costruiscono una specie di residenza-castello; sono patrizi del Marchesato di Monferrato che sperano di elevarsi collaborando con il vassallo superiore, spesso con pratiche drammatiche e violente tipiche dell’epoca.
Resta sempre un paese di campagna, anche se i suoi signori si trovano sovente citati nelle cronache del Monferrato poiché, seguendo i modi e le vicende del tempo, si attorcigliano tra varie sudditanze con alcune sconvenienti ripercussioni. Resta una terra immediata, ovvero direttamente dipendente, dei Marchesi Aleramici (sino al 1305) e dei Marchesi Paleologi (sino al 1533) e dei loro fedeli maggiordomi.
Amoreggiando quasi sempre col potere, con qualche imbarazzante dissociazione, nel corso del tempo i signori o feudatari del Contado di Lazzarone saranno i Sannazzaro consignori di Giarole, i Visconti del Monferrato, i Busca di Casale, gli Scazzosi, i Merli, i Curioni Guazzi di Olivola. La terra di Lazzarone è descritta nella conferma che l’Imperatore Carlo IV fa al Marchese Giovanni di Monferrato nel 1335.
In questi secoli la storia dei confini con il territorio di Valenza è disseminata di liti prolungate spesso concluse in modo drammatico e violento, sia per l’instabilità dei governanti, sia per i ricorrenti cambiamenti dei termini a seguito delle numerose pretese esibite dai singoli proprietari, spesso con alterigia e impudenza.
Molte liti e contrapposizioni sono avvenute nel ‘300 e alcune si sono concluse nel modo peggiore possibile. Nel 1348 il conte di Valenza, Gaspare Vimercati, tenta una mediazione con i signori di Lazzarone, ripetendo la solita filastrocca e infine stipulando una specie di accomodamento o tacito patto che non è mai rispettato, come un impegno scritto sull’acqua. Forse è stato solo un compromesso per arrivare al “meglio di niente”, pur trattandosi di regole di buonsenso. Disgraziatamente il borgo diventerà sempre più spesso un campo di battaglia; seguirà a rimorchio le vicende belliche senza freno di Valenza a causa della sua vicinanza ad essa. Nel 1321 il borgo è distrutto e incendiato senza pietà e senza motivo dalla soldatesca di Raimondo di Cardona (siniscalco e vicario in Lombardia di papa Giovanni XXII installatosi a Valenza). Nel 1347, dopo essere stato occupato da altri, tra cui i valenzani, e mentre dilaga una nuova pestilenza, ritorna nelle mani dei Paleologi del Monferrato. Nell’anno 1431 Francesco Sforza duca di Milano invade il Monferrato e nella sua corsa conquistatrice distrugge Lazzarone, Mirabello e Pomaro.
Negli statuti valenzani del 1397 si citano patti di protezione stipulati tra il Comune di Valenza e il “vice-conte” di Lazzarone Milano Visconti. Negli anni 1442-1443 inizia un’altra lunga vertenza, ampiamente documentata, per delimitare ancora una volta i confini tra Valenza, Lazzarone e San Salvatore: una tappa fondamentale nella definizione della fascia di territorio che dalla regione di Astiliano va fino alla regione Anda. Trattandosi di confini tra due signorie diverse (Milano per Valenza e Monferrato per Lazzarone e San Salvatore), la soluzione non raccoglie grandi consensi sul territorio, anche se alcuni temi sono stati evitati con cura. Un documento del 20 giugno 1460 determina nuovamente il territorio dei due Comuni: figurano quali “confeudatari” di Lazzarone gli eredi di Milano Visconti e i signori di Incisa. In un periodo favorevole di ripresa economica e commerciale, nella seconda metà del secolo XV, Lazzarone si costituisce Comune a sé e si regge con gli statuti approvati dai suoi feudatari, nel disperato e disperante tentativo di autonomia da Valenza. Un’ambiguità velleitaria e oltranzista che crea molta irritazione nei limitrofi “confederati” valenzani, che guardano i vicini di Lazzarone con lo stesso atteggiamento della nobiltà nei confronti del contado agricolo. Seguono ripicche e minacce del genere “con noi o contro di noi”.
Purtroppo è una borgata troppo adiacente a Valenza per poter evitare gli assedi e le battaglie del Cinquecento e del Seicento che i valenzani sopportano in emergenza permanente. Lazzarone subisce i saccheggiamenti con scenografie spettrali e l’esasperazione dei maltrattati e terrorizzati abitanti che spesso non sanno più a che santo votarsi e si verificano molti spostamenti incontrollati come effetto collaterale. Lazzarone e i suoi abitanti ormai sono ridotti l’uno a territorio di conquista e gli altri ad oppressi. Ne troviamo testimonianza nel Libro dei Morti, dove si legge: “Il 17 settembre 1696 questo luogo è stato saccheggiato dai Francesi andando sotto Valenza, benché passassero come amici, e per salvare le paglie che erano avanzate si dovette pagare una doppia ogni giorno”. Già nel 1638 gli spagnoli, battuti dai francesi presso Casale, ripiegando verso l’alessandrino si sono accaniti su questo luogo, mentre tre anni prima furono i francesi e i savoiardi, assedianti Valenza, a fracassare il paese e a sottoporre i residenti a ogni tipo di vessazione.
Nel 1722 Lazzarone — con tante incognite entrato a far parte dei domini della Real Casa di Savoia nel 1708 — riceve una speciale Sovrana Patente per reggersi come Comune con propri amministratori; ha circa 500 abitanti e una superficie di circa 400 ettari in mano a pochissimi proprietari. A monte di tutto qui permane una religiosità profonda (che significa ancora supremo onore al clero), con una piccola chiesa parrocchiale che dipende dalla Diocesi di Casale dal 1474 (prima dalla Diocesi di Vercelli).
Tra l’aprile e il maggio del 1859, il paese è coinvolto nell’inizio della Seconda Guerra d’Indipendenza, rischiando parecchio. Nelle vicinanze (San Salvatore) si stabilisce il Quartier Generale dell’Armata Sarda con il grosso delle truppe al comando di Vittorio Emanuele II, dove sopraggiunge anche Garibaldi a ricevere ordini dal sovrano, e poco dopo a Occimiano si accampa l’imperatore francese Napoleone III, alleato del Piemonte contro l’Austria.
Nell’Ottocento la popolazione vigilata e conformata cresce. Secondo i dati, nel 1796 gli abitanti sono 511, di cui 176 sotto i 15 anni, 1 parroco, 1 altro sacerdote, 1 chierico, 1 frate e 5 monache; i morti dell’anno sono 22. Nel 1836 ci sono 542 abitanti e una sola monaca, nel 1865 652 abitanti, 9 elettori politici, 73 amministrativi e 15 consiglieri comunali.
Nella prima metà dell’Ottocento si producono annualmente circa 800 quintali di grano, 200 di meliga, 700 ettolitri di vino e 1.000 quintali di fieno. I cavalli sono più di 100, i buoi quasi 200, le vacche quasi 100, come pure i manzi-tori e i maiali. Nel luogo vi è un mulino.
Con Regio decreto del 20 gennaio 1901, il Comune di Lazzarone cambia nome in Villabella, corrispondente alla villa “Vittoria” edificata nel ‘700, al tempo degli illuminati e vezzeggiati marchesi Gozani, o Gozzani, un’élite ormai sparita, La villa dotata di un parco, un laghetto e uno sfavillante giardino dell‘Ottocento, viene modificata e abbellita dal nuovo proprietario, l’ingegnere Oreste Simonotti. Nella scuderia della villa hanno alloggiato i sacrali cavalli dell’esercito reale e molto più recentemente nella tenuta hanno stazionato i monaci arancioni.
Villabella resterà Comune fino al 1929, quando, sotto la spinta del regime fascista vengono fatte moltissime aggregazioni comunali; un po’ per scelta e un po’ per l’impossibilità di opporsi, passa sotto l’amministrazione di Valenza, una necessità quasi inderogabile, diventando una sua frazione. Gli ultimi atti sono trasferiti al Comune di Valenza nel 1938. Nessuna motivazione etica, ma solo obiettivi reali, consenso unanime senza pentimenti e senza imbarazzi sono alla base del passaggio di Villabella sotto l’amministrazione di Valenza. Solo un pugno di irriducibili settari reclama la perduta autonomia.
Da tempo la chiesa parrocchiale è in lenta e contraddittoria agonia. Dedicata a Sant’Agata, risale al XVIII secolo e oggi, con le panche sempre più vuote, fa parte della diocesi di Casale. Valenza, invece, nel 1805 è passata dalla diocesi di Pavia a quella di Casale, poi nel 1817 è stata assegnata definitivamente alla Diocesi di Alessandria.
Edificata sul luogo dove sorgeva la chiesa più antica del 1600, è stata ricostruita e consacrata da Ludovico Gavotti Vescovo della Diocesi di Casale il 5/10/1907. Sulla facciata è collocato un medaglione ovale in pietra di Vicenza, raffigurante Sant’Agata, che pesa 20 quintali e ha un dimetro di 2 metri. Sul campanile si scorgono resti di un quadrante solare databile alla seconda metà del secolo XIX. All’interno si trovano un battistero barocco in marmi policromi chiuso da una cancellata del secolo XVIII, una statua lignea della Madonna del Rosario (1780), una tela rappresentante Sant’Agata di fine secolo XIX, due tele ovali raffiguranti S. Isidoro e S. Vincenzo de Paoli. L’organo meccanico ha una tastiera con 20 registri ed è stato realizzato da Dal Molin e Cordone nel periodo fascista. Nel 1836 la parrocchia aveva una popolazione di 537 persone, 3 sacerdoti e altri 2 religiosi; le nascite dell’anno furono 28 e i morti 19.
I recenti dati statistici della frazione mettono in evidenza un deflusso migratorio diretto principalmente a Valenza centro. Nel censimento del 1951 gli abitanti sono 368, nel 2001 244 (123 maschi e 121 femmine), con 191 famiglie e 107 edifici. Nella nuova era della pandemia (2021) i residenti sono 253 (131 maschi e 122 femmine); di questi 9 hanno la laurea, 60 il diploma e 86 la licenza media. I cittadini stranieri sono sei. Complessivamente sono presenti 91 edifici, dei quali 80 adibiti a edilizia residenziale.
Oggi questo semplice borgo suscita un sentimento ambivalente e suggestivo, grazie alle voci nostalgiche e lontane di chi c’era e a quelle concrete e vigorose di chi c’è ancora per assicurarne l’identità e il futuro.