L’ultimo assedio del Seicento a Valenza
Un nuovo approfondimento del professor Pier Giorgio Maggiora
VALENZA – Nel 1679 anche a Valenza si celebrano solennemente gli accordi di pace, più sulla carta che nella realtà, conclusi tra Spagna e Francia e mai rispettati (altro che “pacta sunt servanda”), sperando invano di essere lasciati indisturbati. Ma la storia si ripete, poiché combattere è la loro ideologia.
Sul finire del secolo si profila una sconvolgente contesa armata. La città è nuovamente minacciata dalla guerra che quasi tutti gli stati d’Europa (Lega di Augusta del 1686) hanno intrapreso contro il dispotismo di Luigi XIV. Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, che allo scoppio della guerra era sotto la protezione francese, nel 1690, temendone l’ingerenza, con una pratica di governo spregiudicata, cambia campo e si schiera con le potenze della Lega. Avuta poi Casale dal Re di Francia, si allea con lui per gettarsi contro gli spagnoli: sembra il gioco delle tre carte. Condotte simili, se non peggiori, sono messe in atto da molti altri. Nell’arte del governo vale la legge del mai dire mai e il popolo non è che uno strumento di sopruso.
Essendo un luogo fondamentale per il controllo del corso del Po e una porta importante dello Stato di Milano ancora retto dagli spagnoli, Valenza subisce il nuovo assedio nel 1696 (19 settembre – 9 ottobre) e il motivo non differisce molto da quelli che lo hanno preceduto: i francesi uniti ai piemontesi, che non hanno mai smesso di allungare gli artigli su Valenza, vogliono togliere nuovamente la città agli spagnoli. È un incubo che non finisce mai. La posizione di questa città è una sorta di maledizione, per cui tutto si ripropone sempre uguale. È una città che patisce senza colpa gli effetti di queste guerre. Tuttavia riesce a resistere alle diverse migliaia di francesi e sabaudi — dati poco credibili riportano decine di migliaia di fanti e cavalieri, forti di 60 cannoni e molti mortai — guidati da Vittorio Amedeo II e all’incessante bombardamento che provoca molte perdite.
L’attacco comincia con un martellante cannoneggiamento concentrato nel medesimo punto in cui i francesi erano intervenuti con successo nel 1656: il lato Nord-Est compreso tra la Porta di Bassignana (attuale via Banda Lenti) e il Bastione Caracena (poco oltre l’inizio di via Cavour).
Sciagure simili agli assedi precedenti sono le scorrerie che fanno terra bruciata dei territori circostanti (Piovera, Montecastello, Pietramarazzi, ecc.), in un caos quotidiano permanente. In questa euforia bellica, anche Lazzarone (Villabella) è saccheggiato; andrà sotto Valenza sino al 1722 quando i Savoia gli concederanno la speciale patente per reggersi come Comune.
Valenza è comandata dal governatore spagnolo don Francisco Colmenero y Gattinara (Maestro di Campo del Tercio di Napoli), il quale, ad armi impari che avrebbero dovuto suggerirgli la resa, sa tener testa a tutti gli attacchi degli alleati avversari. Una resistenza eroica dove spuntano diversi prodi e un terribile bagno di sangue.
Colmenero è il Leonida delle Termopoli valenzane, un condottiero carismatico che ha il fegato di scontrarsi, amato e temuto, al quale verrà dedicata la Porta Bedogno (per Bassignana), che dal 1696 prenderà il suo nome. Sono capi dotati di ampia capacità di combattere, e si spera che nei momenti di pericolo e di difficoltà siano capaci di mantenere coese le proprie soldatesche e di conseguire il successo. In fondo è preferibile scaricare tutto il peso su uno solo, l’uomo della provvidenza; se poi non riesce si fa presto a sputargli addosso.
In seguito alla Convenzione e Trattato di Vigevano del 7 ottobre 1696 (approvazione dai componenti della Lega di Augusta della neutralità dei territori italiani), l’assedio è tolto e Vittorio Amedeo II ottiene il riconoscimento che cercava: l’imparzialità dei propri territori.
Il frutto tossico di quest’ultima allucinante battaglia, combattuta con nervosismo e isteria, è un sostanziale fifty-fifty, riacciuffato per i capelli quando già si sentiva intonare il De Profundis. Una soluzione più politica che militare — che salva capra e cavoli — in cui alcuni hanno ritrovato l’onore e Valenza ha dimostrato di non essere per niente una scarna e inefficace retrovia, ma una città in forze, decisa a combattere e a resistere, capace di vincere contro nemici decine di volte più numerosi.
Nonostante la brevità dell’assedio, i danni alle persone, alle abitazioni e a molte strutture sono gravissimi. Ci sono più di un centinaio di vittime. Il monastero dell’Annunziata, fondato nel XV secolo dalle religiose di Sant’Agostino, quasi addossato al Forte Caracena, è completamente distrutto e le monache si devono trasferire presso l’Ospedale a Porta Po, messo a loro disposizione dal governatore dello Stato di Milano. Tre anni dopo, nel 1699, la chiesa della SS. Annunziata sorgerà nel nuovo luogo.
All’epoca a Valenza centro ci sono circa 3.000 abitanti civili — sfruttati, vessati e sdegnati — all’esterno 15 grandi cascine, il piccolo borgo di Monte con circa 300 abitanti, molti religiosi e militari. C’è il castello-rocca — che è stato trasformato in una cittadella militare ed è quindi diverso dalla costruzione medioevale residenza dei feudatari demolita verso il 1557 — con le fortificazioni interne ed esterne, rovinate e migliorate più volte e un numeroso presidio di soldati spagnoli. Ormai sono troppe le guerre inutili, senza significato né onore, che hanno sfigurato questa città con le armi da fuoco. Esse nascono sempre dal desiderio di dominare o di vendicare, ma gli uomini sono fragili, cinici, spesso ingrati, e ciò che normalmente non è ragionevole, in questi tempi può esserlo.
Forse è a causa dell’euforia del successo che l’aitante governatore Colmenero, promosso a Sergente Generale di Battaglia, che ama fare tutto da solo, a Valenza non ne azzecca più una. Il celebrato eroe dell’assedio, dalla guida suprema assai spregiudicata, che non sopporta troppo certi emuli irriguardosi e vorrebbe sbarazzarsi di loro, è ben presto isolato nell’angolo in cui si è cacciato da solo combinando alcuni guai. Viene vituperato e accusato di cattiva amministrazione, declassato da eroe a sciagurato, secondo lo stereotipo infame, da denigratori blasonati, irriconoscenti e forse accecati dall’odio e dall’invidia biliosa.
Passati dall’innamoramento al disprezzo, alcuni gli hanno stracciato l’eroica aureola da lui conquistata, raccontando in giro un bel po’ di malignità. Tra i suoi principali nemici pretendenti ci sono Giovanni e Alonso de Cardenas e Virginio Bellingeri. Un dato è certo: i valenzani considerano Colmenero un grande. Un grande uomo o un grande furfante.
Nel 1697 l’inchiesta contro di lui è condotta dal giureconsulto tortonese Claro Antonio Calvino (podestà per il tempo), a cui sono stati attribuiti enormi poteri, tanto da surrogare ogni autorità. Essenziale è il consenso del prevosto Giulio Stefano Lana, il più meritevole. Colmenero diventerà in seguito Generale d’Artiglieria (1702), Generale di Campo dell’Esercito Milanese (1704) e infine Luogotenente Generale degli Eserciti Reali. Morirà a Milano nel 1719 (1715?).
Ma ormai qualsiasi iniziativa spagnola risulta la più aberrante agli occhi dei valenzani: essi cominciano a non sopportare più l’arroganza di una nobiltà retriva e codina che tenta di conservare il potere a qualunque costo, tra angherie, delazioni, connivenze, privilegi e contraddizioni, come sempre sulla pelle degli altri.
Ben presto il Comune produce una supplica, ambigua e di poco successo, a re Carlo II di Spagna per ottenere un indennizzo. In essa si ricorda che dopo l’assedio del 1557 Filippo II concesse certe esenzioni tributarie per vent’anni, che dopo quello del 1635 Filippo IV gliele accordò nuovamente per lungo tempo e che furono rinnovate anche dopo l’assedio del 1656. Nella supplica i danni di questa ultima avversità vengono quantificati in 300 mila scudi.
Pochi anni dopo, tra il 1707 e il 1708, i territori valenzani passeranno definitivamente ai Savoia, sempre pronti a scatenare altre guerre.
In verità in questi conflitti troviamo inquietanti analogie con l’oggi: si fa sempre presto a fare la guerra a casa e con la vita degli altri. Anche se i suonatori cambiano la musica è sempre la stessa.