La Guerra dei Trent’anni a Valenza
Un nuovo salto indietro nella storia della città del gioiello
VALENZA – Nel 1630 Carlo Emanuele I è vittima dell’evento più probabile della vita: la morte. Il successore Vittorio Amedeo I, nel 1635, si allea con Francia, Mantova e Parma contro la Spagna e non è certo un bel segnale per Valenza.
Non è passato neanche un secolo di calma che sul nostro territorio si ripropongono terribili sfide appena si creano ostilità tra i potenti del tempo. È una lunga partita in cui vittorie e sconfitte si alternano spesso. Valenza, che meriterebbe una medaglia alla pazienza, torna per l’ennesima volta nel mirino come una preda strategicamente molto ambita e deve rassegnarsi all’ ineluttabile; è il problema numero uno della città in questo secolo.
Nel marzo del 1635 le truppe francesi invadono la Valtellina e tagliano i collegamenti tra i domini ispanici e quelli imperiali; tra giugno e luglio viene firmato un accordo segreto fra il duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, e il re di Francia, Luigi XIII, con cui si stabilisce che, in caso di vittoria, la Lombardia sarà ceduta ai duchi sabaudi con il titolo regio. Successivamente, anche il Duca di Parma e Piacenza, Ranuccio II Farnese, stipula un’alleanza con i francesi, spaccando definitivamente il tenue sistema d’equilibrio che ha consentito alla Spagna di controllare e di “pacificare” la penisola italiana per quasi un secolo (1535-1620).
Da questo momento la guerra coinvolge direttamente la Lombardia, che verrà messa a ferro e fuoco per tre decenni; anche Valenza, che parrà la Bisanzio assediata dai Turchi, sarà dilaniata da contrasti e diatribe inutili e spesso non riuscirà ad affrontare nel modo giusto i molti persecutori.
Al duca Vittorio Amedeo I di Savoia viene dato il comando di tutto l’esercito alleato, ma non ottiene più di 8.000 uomini dalla Francia. Sapendo che gli spagnoli sono bene armati, vorrebbe desistere, ma il Richielieu, vero “dominus” europeo, riesce a indurlo ad aprire le ostilità e nel settembre del 1635 i due eserciti si fronteggiano a Valenza. Questa volta l’impresa di salvare la città è assai complicata e una via di mezzo non c’è.
Con la ripresa delle guerre tra francesi e spagnoli e i loro complici più o meno occulti nell’Italia settentrionale per la successione di Mantova e Monferrato (1628-1631, il tempo dei “Promessi Sposi”) entro il più esteso quadro europeo della Guerra dei Trent’anni – che dal 1618 al 1648 insanguina l’Europa – e per la rivalità e l’ambizione degli onnipotenti ministri Richielieu e Olivares protagonisti di quest’epoca, Valenza, piazzaforte strategica e avamposto della Lombardia spagnola verso il Piemonte e il Monferrato dei Gonzaga, resiste a un aberrante accerchiamento di quasi due mesi (9/9/1635 – 27/10/1635) da parte degli eserciti collegati di Francia, Savoia, Parma e Modena – 14.000 fanti, 2.000 cavalieri francesi e parmigiani a cui si aggiungono 6.000 fanti e 1.200 cavalieri savoiardi – che intendono principalmente interrompere le comunicazioni con Genova ai milanesi. Questi assedianti, retrocessi quasi a uno stato animalesco, si sono collocati in fortini e trincee attorno alla città, mentre i valenzani osservano e pregano (in ogni tempo la provvidenza è la salvezza finale).
Dopo diversi scontri, la nostra città viene rinforzata con truppe spagnole e napoletane. Il 25 ottobre 1935, con un attacco decisivo al consistente fortino presidiato dai francesi che fronteggia la città oltre il Po, questi sono annientati dall’esercito italo-spagnolo di Carlos Coloma (nella foto sottostante) che apre la via alla città e decide le sorti di questo spudorato scontro bellico. I nemici sono costretti ad abbandonare l’assedio e a ritirarsi verso il Monferrato.
Tutti hanno coraggiosamente combattuto soffrendo accanto ai valenzani, ma il vero artefice della vittoria è il venerando capo dell’esercito spagnolo don Carlos Coloma e Saa, uno straordinario stratega e maestro di Campo Generale della Lombardia. Come un eroe omerico, l’uomo ha condotto efficacemente tutte le fasi della battaglia vera, dall’esterno delle mura – da Frascarolo collegato a Valenza dal ponte di barche spazzato via anche da una piena del fiume – e ha funzionato alla perfezione. Perché, come ci ha insegnato Milziade a Maratona nel 490 a.C., la migliore difesa è l’attacco. A Valenza i morti sono molti a causa dei cannoneggiamenti, delle azioni e delle malattie, atroci episodi che scaveranno ulteriormente il fossato di ostilità dei valenzani verso i Savoia. Il nemico se ne va con le ossa rotte: ha perso 2.500 uomini sul campo, Valenza è salva e il Ducato di Milano è al sicuro.
Questa città, vittima e principale capro espiatorio, è stata difesa dalle truppe spagnole e dello Stato di Milano con contingenti spagnoli, tedeschi, napoletani, svizzeri e milizie alessandrine, sotto il comando di don Alonso de Cordova marchese di Celada – un giovane e valoroso generale spagnolo deceduto per febbre il 27 ottobre 1635 e sepolto a Valenza – affiancato dall’amico don Filippo Spinola e da don Francisco de Melo.
Nel 1635 i governatori della città sono don Martin de Galiano, il comandante don Alonso de Cordova marchese di Celada – inviato dal cardinale de Albornoz, governatore dello Stato di Milano, all’inizio delle ostilità nel settembre del 1635 – e il valenzano Francesco de Cardenas, dal 1633 il feudatario è Gabrio Gattinara Lignana con annessi cortigiani: tutti spodestati nella circostanza dal Celada.
Questa la composizione della Lega assediante: esercito Francese (comandante Mar. De Créquy), esercito del Duca di Parma, esercito del Duca di Mantova, truppe Casalesi e Monferrine ed esercito Piemontese (comandante Vittorio Amedeo I di Savoia).
L’anno seguente, il 1636, nel mese di giugno, lo stesso borioso comandante francese Créquy (Charles de Blanchefort duca di Créquy, maresciallo di Francia) tenta furiosamente una nuova aggressione, ma il marchese di Leganes (Diego Mexía Felipez de Guzmán y Dávila), capitano generale e governatore del Ducato di Milano, accorre in anticipo a Valenza con truppe fresche e riesce a respingere i francesi.
L’andamento globale di questa nuova prova muscolare, forse intrapresa per occultare certe difficoltà, mal congegnata e favorevole agli Asburgo di Spagna e Germania, di cui l’assedio di Valenza è un episodio significante, poi muterà a favore della Francia. Frattanto, a metà maggio del 1638, una flotta spagnola fa sbarcare a Finale 2.000 soldati napoletani che si dirigono in Lombardia impadronendosi nuovamente di Valenza da poco occupata. Nel 1641 i francesi, con la ferocia di sempre e aiutati da soldati del Monferrato, tentano nottetempo di scalare le mura della città, ma sono respinti dal presidio e dalla milizia urbana al comando del valenzano Gabriello de Cardenas. La famiglia de Cardenas, giunta a Valenza nel ‘500, ha costruito il palazzo omonimo (oggi palazzo Ferrari-Trecate in via Banda Lenti), poi sede del governatore.
Alla macabra conta delle vittime inermi del passato si aggiungono quelle degli ultimi scontri, che ci offrono la misura del delirio guerrafondaio di quei tempi. La guerra si concluderà nel 1648 con la Pace di Westfalia, che sancirà un significativo potenziamento della Francia, la libertà di culto nell’Impero e farà crescere l’idea dell’assurdità delle guerre, che però non cesseranno.
Dopo il sangue, gli scontri e gli orrori degli assedi, il convento e la chiesa dei Cappuccini (Ordine francescano), che dal 1585-1589 sono insediati fuori alle mura e a un quarto di miglio da Porta Astiliano (poi Porta Alessandria), vengono abbandonati su ordine del governatore a causa della posizione strategicamente infelice, troppo adiacente alle mura, che pregiudica il campo di tiro dell’artiglieria. I religiosi si ritirano all’interno della città in piazza Statuto (località Colombina), dove erigono un nuovo convento e una nuova chiesa intitolata ai Santi Apostoli Simone e Giuda.
I conflitti causano l’abbandono di molte terre e riducono l’attività agricola; per l’assedio sono state tagliate tutte le vigne e gli alberi, rovinati i 5 mulini ecc. Il re spagnolo concederà l’esenzione dai tributi per compensare le perdite sopportate dai valenzani. Allo stesso tempo aumentano il costo del lavoro e il prezzo delle derrate alimentari. Valenza è composta da circa 2.200 abitanti (la peste del 1630 ha ucciso più di 2.000 persone), 15 cascine, il castello e un numeroso presidio di soldati spagnoli. Vi sono più di un centinaio di facoltosi, 4 medici, 6 barbieri 4 macellai, 2 notai, 2 fanti (Polizia urbana), 1 dottore fiscale per le imposte, 1 attuario criminale per giudicare i reati, 1 prevosto, 1 curato, 9 canonici, 20 cappellani, 3 conventi di frati e 2 di suore. Tra i vari dazi locali c’è il pedaggio per le importazioni di merci e bestiame, l’imbottato per il vino e le granaglie, la scannatura sulle carni macellate, i diritti di pesca, ecc. Non si paga dazio durante le due fiere annuali di San Marco e San Giorgio.
Il mondo è stato messo a ferro e fuoco dalla Guerra dei Trent’anni e ci vorrà un’intera generazione per vedere segni di ripresa; in verità i massacri, i genocidi e le sofferenze di questo secolo sfumeranno solo molto più avanti.