Monte Valenza e le sue fonti
Un nuovo approfondimento sulla storia della città del gioiello
VALENZA – Monte Valenza è stato uno degli agglomerati primordiali di Valenza; al suo confine, sull’altipiano in regione Gropella, ci sono stati diversi ritrovamenti romani.
Nell’Alto Medioevo, sotto il dominio dei Franchi, l’imperatore Carlo il Grosso (discendente di Carlo Magno) dona al vescovo di Vercelli Liutwardo (Chiesa eusebiana) parecchie “curtes” regie (con i relativi poteri regali), tra le quali parte del nostro territorio. Il diploma imperiale è dell’anno 881-882 e sancisce anche la donazione del borgo di Monte all’Abate del Monastero Sant’Ambrogio di Milano; tale donazione pare sia successivamente riconfermata dagli Ottone nel 951 e nel 996. Risulta da un documento del tempo che nell’anno 1188 durava ancora il dominio di quel monastero milanese su Monte; la sgangherata sovranità ambrosiana sulla borgata durerà sino al XIII secolo con equa ripartizione della miseria tra i borgatari.
Monte, che dista circa 5 chilometri da Valenza, nei primi anni del Duecento passa quindi ai Marchesi di Monferrato che lo concedono in Feudo a certi Cattanei (vocabolo obsoleto, forse una definizione generica di conti rurali, castellani, capitani), fatalmente vocati all’oblio.
D’altronde, sempre seguendo a rimorchio le vicende di Valenza e scontrandosi con la durissima realtà dei tempi, il borgo è ormai diventato un ricorrente campo di battaglia: è distrutto e incendiato nel 1321 dalla soldatesca di Raimondo di Cardona (siniscalco e vicario in Lombardia di papa Giovanni XXII installatosi a Valenza). Nel 1347, dopo essere stato occupato da altri e soprattutto mentre dilaga nuovamente una pestilenza (nel 1630 la più terribile), ritorna ai Paleologi del Monferrato. Ma la tormentata e screditata signoria monferrina leverà le tende dopo solo pochi anni perché nel 1370, quando avviene l’ignominioso storico assedio di Valenza durato ben dieci mesi, il borgo deve assoggettarsi anch’esso ai Visconti duchi di Milano. Da allora Monte resterà unito e amministrato dal Comune valenzano accompagnato anche da anomale e passeggere sospensioni, ma, soprattutto, sempre coinvolto nei tanti eventi bellici.
Abitato da contadini vincolati al proprietario, è la parte estrema del terziere Monasso: uno dei tre quartieri valenzani, gli altri sono Astiliano e Bedogno. Nel 1557 viene drammaticamente saccheggiato dalle truppe francesi che rimangono sino al 1559 quando, conclusa la pace tra Francia e Spagna, Valenza torna a essere una sorta di colonia spagnola. Ma purtroppo non finisce qui, seguono altri attacchi e occupazioni con scenografie spettrali e l’esasperazione dei maltrattati e terrorizzati abitanti che spesso non sanno più a che santo votarsi.
Un documento del 1607 afferma che il borgo di Monte, formato da circa 50 case, è soggetto, come Valenza, al governatore di Milano e per l’amministrazione della giustizia dipende dal podestà di Valenza. Sotto la Diocesi di Vercelli, ha le chiese di San Virgilio e Santa Marta (di entrambe non si trovano precise memorie), la parrocchiale di Sant’Eusebio (risalente alla fine del Cinquecento) e la bella chiesetta del convento dei PP. Serviti (che sarà soppresso nel 1787) dominata da un attraente campanile. Inoltre, il castello pesantemente ridisegnato (ha subito rilevanti devastazioni), è di proprietà della autorevole famiglia Bellone: passerà più avanti in eredità all’Ospedale Mauriziano.
Nel settembre 1696 dopo tre giorni di accampamento violento e oppressivo attorno a Monte (come già nel 1635 per quasi due mesi) l’esercito francese- savoiardo, composto di 50 mila fanti e 14 mila cavalieri con 60 grossi cannoni, comandato dal duca Vittorio Amedeo II, circonda Valenza (estremo caposaldo degli spagnoli) e apre il fuoco su di essa.
Nelle colline che circondano Valenza si stanno estendendo a poco a poco e con fatica le prime piccole aziende agricole da casolari privati che sono stati finora poco più di abitazioni contadine. L’agricoltura rappresenta in questi tempi ancora l’attività principale (90% della popolazione di Monte).
A seguito della pubblicazione di alcuni manifesti camerali di vendita del luogo, nel 1736, nel 1741 e negli anni successivi tutto diventa assai ingarbugliato. Il re Carlo Emanuele III (che deve far fronte alle enormi spese di guerra del 1742-1748) rifiuta al feudo-sobborgo di costituirsi Comune indipendente, confermando l’esposizione vacante di questo feudo. Un solenne e umiliante smacco che fa evaporare le ultime speranze di alcuni preminenti fanatici autonomisti locali, già predisposti però a cambiare idea ben presto; Valenza decide allora di acquistare il dominio, che già da tempo amministra. Il delegato valenzano alla trattativa con il governo di Torino, Giuseppe Campi (grazie al talento e a un uso sapiente della filosofia da martire genuflesso), chiude l’acquisto per 7.500 lire piemontesi, che i sindaci Mario e Dardano (dal 1726 il Consiglio comunale elegge due sindaci “gemelli”), messi maluccio come cassa, ottengono in prestito dai consiglieri Vincenzo Salmazza (Priore del SS.Sacramento), Bartolomeo Campora e da un ebreo casalese Moysè David Pavia. Il Feudo dopo lunga e tormentosa trama è unito solennemente nel 1743 (1753?) a Valenza la quale diventa “Contessa di Monte” (titolo comitale, ormai buffo e anacronistico, che manterrà sino al 1798).
Nell’aprile 1746 Valenza subisce ancora due nuovi deplorevoli assedi che coinvolgono anche il suo borgo di Monte ad opera di truppe austriache e piemontesi spodestate un anno prima dai franco-spagnoli nella battaglia di Bassignana del 27-9-1745, in seguito alla Guerra per la successione d’Austria.
Nel marzo del 1821 alcuni patrioti valenzani toccano con mano come sia difficoltoso dar corpo al sogno di abbattere la monarchia sabauda. Partecipano allo sfortunato, quanto improvviso, episodio di conquista della Cittadella di Alessandria (10 marzo 1821), divenuta ormai il cuore di quella prima rivoluzione carbonara. Nei giorni seguenti a Valenza vengono costituite tre compagnie (ufficiali sono i capitani Vincenzo Piacentini, Giuseppe Calvi e Giovanni Piazza) di cui una composta da abitanti di Monte che, caduti in uno stato di trance euforica, vorrebbero partecipare al breve e funesto evento sovversivo: il proposito è lodevole, la sostanza un’infelice carnevalata tardiva che lascerà detriti e scorie pericolose (con fughe, perquisizioni, delazioni e qualche scaltro truccato da fesso).
Nelle vere battaglie risorgimentali e nelle varie guerre che seguono sono molti i combattenti cittadini di Monte Valenza di cui diversi caduti e mutilati. Nel 1887 viene inaugurata la lapide al soldato Paolo Perrone (nato a Monte Valenza il 18 aprile 1865) morto per le ferite riportate a Dogali nel gennaio 1887.
Incostanti e non sempre placidi i legami e i rapporti con l’amministrazione comunale nel XX secolo: le solite lune di miele cui seguono quelle di fiele, tra forti contrapposizioni ideologiche, verità, menzogne e tanti inerti.
Siccome spesso i numeri dicono molto più delle parole, vediamo infine quelli inoppugnabili degli ultimi secoli. Nel 1796 il sobborgo conta 350 abitanti, 456 nel 1815 e 496 nel 1836. Dal censimento del 1911 risulta che la parrocchia S. Eusebio di Monte, estesa nelle campagne, ha 822 parrocchiani (ne aveva 426 nel 1796 e 625 nel 1836). Nel 2001 si trovano 153 edifici e 265 residenti; attualmente vi sono complessivamente 119 famiglie residenti, per un numero complessivo di 272 componenti.
Le Terme di Monte Valenza
E veniamo alle fonti termali che rendono noto il luogo.
Da tempo remoto gli abitanti di questo borgo utilizzano le acque solforose di una fonte naturale frutto di una polluzione spontanea provvista di cunicolo drenante e “quando il sale era a caro prezzo si servivano di quell’acqua per le vivande”. Ora conosciamo che questa salutare e congeniale acqua sgorga da una potente e costante vena posta a 62 mt di profondità sotto uno spessore di tufo, trovando spontaneamente l’uscita. Al di sotto c’è un giacimento di zolfo e gesso del quaternario.
Nella zona valenzana ve n’erano altre: Salcido, Valmadonna e a Valenza in zona Belvedere verso Alessandria la Fontana Marcia (il Funtanì, ora chiusa). Un’acqua purgativa che sgorgava spontanea con un forte odore di uova marce per la presenza dello zolfo (fonte da non confondere con quella più avanti del Resinone).
Nell’Ottocento i proprietari del fondo di Monte, conti Arribaldi Ghilini, chiudono la fontana in una torretta dove due canaletti danno continuamente acqua in abbondanza (una scritta enuncia “Fonte di privata proprietà alla salvaguardia del pubblico affidata 1881”, mentre a fine secolo i nuovi e scaltri proprietari Mazza chiudono la fontana con uno steccato funzionale affinché la fresca acqua montina (sgorgava e sgorga a circa 14 gradi) possa essere distribuita con tornaconto. Nel frattempo, visto l’interesse popolare crescente, in Comune si discute insistentemente sull’acquisto della fontana per renderla pubblica “…..onde regolare, con speciali discipline, il grande concorso alla fontana stessa nella stagione estiva….” (delibera Consiglio comunale del 18 novembre 1893): tutto viene però archiviato non producendo alcunché.
I Mazza (i cui discendenti sono ancora oggi proprietari e protagonisti), smarcandosi da una certa liturgia di prudenza dei tempi e facendosi i fatti loro con debita disinvoltura e consistente zelo, costruiscono un sorprendente “Stabilimento bagni ed acque minerali con alloggio e stallazzo” dotato di camere d’albergo per soggiornare e per seguire le terapie termali. In un rapporto al Sindaco del 1916 sull’acqua della fonte si legge “ molti sanitari….la giudicano gustosa, digestiva e ottimamente tollerata dallo stomaco e dall’intestino … reca vantaggi nelle forme catarrali, gastriche ed enteriche, nella stipsi abituale, nelle congestioni epatiche e postumi di lente infiammazioni addominali,….”. Le sue componenti dichiarate nel 1918 sono talco, magnesio, sodio, cloro, acido solforico, acido carbonico.
Già ai tempi della Grande Guerra si imbottiglia l’acqua solforosa per commercializzarla. Prende nel tempo nomi diversi: da esportazione, tipo Janos, da tavola, solforosa purgativa, Montecatini Alessandrina, mentre l’ingresso alla fonte rimane libero a tutti. L’acqua di questa fonte è gratuita (quasi come dovere morale) e gode di un’ampia credibilità terapeutica.
Il parco con le fonti, attorniato all’esterno da piazzisti e bancarelle, è meta delle scampagnate domenicali dei valenzani e altri, occasione di gioia e spensieratezza, per alcuni quasi un dovere sociale ricreativo e salutare; anche il treno compie una comoda fermata a due passi del luogo. A ferragosto la festa dura dieci giorni, una tradizione che proseguirà nel primo dopoguerra quando si svolgeranno dilettevoli matinée danzanti con le orchestre e i cantanti più famosi (Angelini, Pizzi, Latilla, Boni, Togliani, ecc.).
Purtroppo durante l’ultima guerra i coercitivi tedeschi smantellano e sottraggono miseramente gli impianti facendo finire l’imbottigliamento, senza rendere conto a nessuno e causando gravi danni.
Attualmente le acque che alimentano il bel complesso termale di Monte Valenza completo di hotel, ristorante, parco, piscine e acquascivolo, laghetto, zoo, vari sport, ecc. sono primariamente solfuree e scaturiscono dalle fonti Sanatrix e Angelica. Le principali patologie che possono essere curate grazie a queste acque termali riguardano l’apparato intestinale e gastro-enterico.
Oggi, questa piccola frazione di Valenza descritta, sta sempre arroccata lassù nel suo ambiente più che naturale, con le sue vecchie case aggrappate alla prominente collina e con alcuni recenti villini sparpagliati e distanziati lungo i rilievi, quasi a occhieggiare e vegliare su Valenza.