I primi passi del fascismo a Valenza e il delitto Alferano
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Andiamo a un secolo fa. Dopo il Biennio Rosso (1919-20) e la nascita del Partito Comunista d’Italia (gennaio 1921) si scatena la reazione schizofrenica dello squadrismo fascista. L’aria è dovunque avvelenata; anche la politica locale è ormai arroventata e pervasa da posizioni squilibrate, con la brutta voglia di menare le mani. La popolazione valenzana agogna al socialcomunismo, ma non pochi preferiscono il fascismo vivendo di speranza e illusione, spesso disgustandosi per finta. Per cattolici, socialisti e comunisti è impossibile darsi la mano e, dietro gli schiaffi e i colpi bassi, si avvertono un’ottusità ideologica e un terribile vuoto che ben presto verrà riempito da altri.
In occasione dello sciopero generale del 20 marzo 1921, una pianificata scorreria antisciopero, per dare una ripassatina ai lavoratori turbolenti, è attuata a Sartirana da facinorose squadre d’azione del casalese unitamente ad alcuni valenzani (Casale è forse la città più fascista di tutta la provincia), che scatenano violenti scontri (vero obiettivo di chi ha guidato e fomentato il combattimento). Tra i diversi contusi, è gravemente ferito lo squadrista Carletto Spagna che ben presto viene condotto con un autocarro all’ospedale di Valenza dove muore dopo due giorni (si dice dissanguato) e a quel punto nulla lascia presagire alcunché di buono.
Mentre il dolore e la rabbia si diffondono tra gli squadristi locali, nel locale attiguo all’ospedale valenzano i compagni socialcomunisti organizzano una veglia danzante quasi per festeggiare la morte del fascista, atto che fa ribollire ancor più il calderone della collera.
Se la festa voleva essere una provocazione, essa consegue in pieno lo scopo, ma la reazione è di gran lunga maggiore delle aspettative di chi l’ha lanciata. Gli esaltati squadristi si precipitano nel locale, sfasciando tutto e malmenando duramente i presenti; la tensione a Valenza lievita ancora di più. Tra i gruppi partecipanti all’assalto ci sono pure esponenti fascisti di Bosco Marengo; tra loro c’è Vincenzo Alferano ed è facile intuire che questo fatto costituirà un grave precedente facendo crescere l’odio nei confronti dello squadrista di Frugarolo quando egli sarà fatto venire in città per collaborare alla creazione del locale Fascio di Combattimento (sarà inaugurato il 24 luglio 1921 con diverse centinaia di presenti all’adunata e intitolato a lui ormai scomparso).
Vincenzo detto “Cenzo” nasce a Frugarolo il 16-4-1899; a soli 17 anni si arruola volontario e parte per il fronte; durante il Biennio Rosso è tra i primi ad aderire ai Fasci Italiani di Combattimento dell’alessandrino, entrando poi nelle squadre d’azione.
Siccome a Valenza, città ampiamente “rossa”, l’inferiorità numerica dei militanti fascisti è schiacciante (poche persone si dichiarano esplicitamente tali indossando in pubblico la camicia nera, i primi sono stati alcuni agrari); per dar loro man forte e permettere l’apertura del Fascio di Combattimento, vengono inviati da Alessandria alcuni camerati di provata fede, tutti pronti a ingaggiare scontri con gli avversari politici locali; tra questi attivisti fascisti c’è il giovane e sanguigno Alferano (5 aprile 1921).
Egli, distintosi per il suo protagonismo e spirito combattivo, è solito sfidare i “rossi” camminando baldanzoso, solo o in compagnia di pochi camerati, per la “Cuntra Granda” (corso Garibaldi) indossando un grande e vistoso cappello a falde larghe, nero come la camicia: sta a tutti sulle scatole.
Dopo i tafferugli e l’innalzamento del livello di scontro, con avvisaglie dei nuovi metodi, durante la campagna elettorale delle elezioni politiche del 15 maggio 1921 (trionfo dei socialisti con 1.494 voti contro i 692 del Blocco, 256 per i comunisti e 251 per i popolari), si giunge ben presto alla tragica notte dell’imboscata. Alferano in compagnia dei valenzani Ferraris e Facelli, degli alessandrini Mantelli e Gorgoglini ed altri (sette in totale), inizia il solito giro notturno di perlustrazione della città: sono le ore 22 dell’8 giugno 1921. E’ una mite notte d’inizio estate, quieta e silenziosa, ma mentre il gruppo percorre viale Vicenza (Circonvallazione Est dei tempi), giunto nei pressi dell’ex Centrale del latte (vicino alla sede del circolo comunista in via Magenta) il destino del giovane si compie. Parte una scarica di colpi, cui i fascisti rispondono dando origine a una breve sparatoria nel buio: l’audace ed incauto squadrista ventiduenne, già ferito in precedenti azioni, cade colpito al cuore, forse da due colpi di fucile da caccia. Nell’attentato è coinvolto anche il segretario del Fascio locale Mantelli, ferito a una gamba.
L’omicidio si verifica nella fase più acuta della lotta che i fascisti e i nazionalisti combattono contro socialisti, anarchici e comunisti e segna quasi l’inizio dell’affermazione del partito di Mussolini.
La ritorsione delle squadracce
Com’era ampiamente prevedibile, a seguito di questo brutale avvenimento, si scatena la violenta e immediata reazione delle squadracce fasciste di Alessandria (i manipoli del capo squadrista Sala) appoggiate da alcuni esaltati accoliti valenzani. Viene subito attaccata la Camera del Lavoro e picchiati diversi “bolscevichi”. Il giorno dopo una più ingente spedizione punitiva di esagitati camerati venuti da fuori e affratellati per appartenenza (squadre casalesi, alessandrine, astigiane e a dargli man forte alcuni provenienti da Frugarolo e Boscomarengo), colpisce e distrugge in modo feroce la Casa del Popolo, la sede del Partito Comunista (da poco aperta) e incendia la Camera del Lavoro, con l’aggiunta di bastonature, violenze e olio di ricino, facendola ormai sempre franca.
Nei giorni successivi anche i consiglieri comunali socialisti subiranno un’escalation di violenze e, sfiduciati, non riusciranno a sfruttare in qualche modo gli eventi, finché il sindaco e la giunta umiliati daranno le dimissioni (11 giugno 1921). Il prefetto nominerà a reggere il Comune Pietro Farina, funzionario dell’Amministrazione Provinciale. Anche il glorioso giornale socialista “La Scure” cesserà la pubblicazione e il 10 luglio, a consacrare il passaggio alla nuova era, verrà pubblicato il primo numero del settimanale locale fascista ” La Mazza”. Sarà diretto per un certo tempo da Aldo Marchese (nel 1926 Segretario provinciale del Partito fascista) e redatto dal segretario politico locale e giornalista Mario Alberto Tuninetti, l’idealtipo dell’italiano del ventennio che diventerà vice-federale di Alessandria e direttore de “Il Piccolo” durante la repubblica di Salò. Il fratello Dante Maria Tuninetti, altro valenzano, sarà molto più importante e rivestirà molte cariche prestigiose durante il regime (Federale di Torino, Trento, Bengasi e Tripoli, Prefetto di Novara e Pavia, direttore di molti giornali).
Dopo circa un anno di commissariamento in un clima di malessere sempre più profondo, nel 1922 si tengono le elezioni amministrative comunali (per molti sembra che sia una cosa negativa anziché il contrario): candidati solo fascisti e liberali. Viene eletto sindaco Luigi Vaccari (diventerà poi il primo podestà di Valenza), assessori effettivi della nuova giunta sono Massimo Barbero, Edoardo Mazza, Livio Ratti, Mario Soave (più avanti sarà podestà), assessori supplenti Giovanni Rolandi e Luigi Garavelli: non sono tutti fascisti.
Siamo ormai all’inizio del regime; i fascisti, possono imporre la loro logica prevaricatrice e il loro ordine, anche in spregio alla legge perché i suoi tutori non sono certo solleciti a proteggere coloro che, in precedenza, li avevano insultati, aggrediti e minacciati. Molti coraggiosi politici locali sono stanchi e se ne vanno disgustati, escono dalla scena in un momento dei più agitati. Tanti valenzani si imbarcano giulivamente sul nuovo treno, per convenzione più che per convinzione, alcuni passando da un opposto all’altro inchinandosi. Molti chiudono gli occhi, preferiscono non vedere e non agire, ma parecchi valenzani non ci stanno a considerare i loro amici o familiari in camicia nera come dei criminali di regime. Però è sempre difficile e spesso fazioso giudicare con modelli correnti situazioni storicamente diverse, calpestando spesso anche le proprie radici.
Le circostanze dell’omicidio rimarranno misteriose, anche dopo tre processi, con molti arresti, tanti silenzi e omissioni (Panzarasa, Ghidetti, Ferraris, Mattacheo, Piacentini, Ratti e altri, che antifascisti lo furono davvero, ritenuti in un primo tempo responsabili dell’uccisione saranno poi prosciolti). Le indagini svolte per un lungo periodo brancolando nel buio non daranno mai esiti certi e definitivi, alcune voci circolanti all’epoca indicheranno come movente perfino una questione di “corna”, oppure una faida perpetrata all’interno del fascio tra le due velleitarie e agguerrite anime ideologiche: una di sinistra (interventisti, sindacalisti rivoluzionari, arditi, repubblicani) e quella di destra (monarchici, militari, irredentisti, nazionalisti).
Cicerone diceva che “la verità si tradisce sia mentendo sia tacendo”. Pensieri di altri tempi? Certamente no!