La svolta politica del 1910 a Valenza
Un nuovo viaggio indietro nel tempo
VALENZA – Nei primi anni del Novecento a Valenza l’Unione dei Liberali (Destra e Sinistra storica), ormai un raggruppamento politico recalcitrante e diviso guidato da Giovanni Merlani (stile austero dal piglio decisionista, simbolo della vecchia politica, di una destra che fu) e condotto da alcuni suoi inamovibili sodali quali Abbiati, Ceriana-Mayneri, Vaccari, Cuniolo, Bonafede, Ceriana, Biglieri, Visconti, Ferraris, annovera nella zona circa un migliaio di aderenti. Sono in maggioranza sostenitori di Giolitti e della Sinistra costituzionale, quasi di centro-sinistra (volendo utilizzare un’espressione di oggi), ma sono presenti anche falsi moderati, conservatori, nazionalisti e massoni. Hanno il loro giornale domenicale “L’Aurora Liberale”, fondato nel 1903, e sostengono ancora il cardine ideologico dell’Italia post-unitaria, la triade: Dio, patria, famiglia.
Gli oppositori socialisti valenzani più impegnati e riottosi sono per lo più veterani del Partito Operaio e di gruppi radicali; condividono poco le tendenze riformistiche (tra i più impegnati De Michelis, Camurati, Ferraris, Gaudino, Melgara, Marchese, Oliva, Soro, Tassinari, Vecchio, Visconti); alcuni hanno rifiutato l’anarchismo e certe astrazioni fanatiche, ma solo a parole. Molti invece tra gli iscritti i massimalisti sindacalizzati, impegnati nelle varie leghe e nelle organizzazioni sociali d’ogni seme, tra cui anche alcune teste matte imbevute di sindacalismo rivoluzionario e di elogio della violenza. Il loro giornale “La Scure” (amato e detestato dai valenzani) è spesso insolente e offensivo. Sono generalmente tristi e col dente decisamente avvelenato nei confronti degli avversari politici; invocano maggior moralità e responsabilità, però se si tratta di destabilizzare tutto è buono: per la proprietà transitiva risucchieranno il voto alternativo nuovo, delle passioni contro un certo retaggio senile conservatore.
Questa perenne opposizione della sinistra anticlericale, nel suo cieco odio verso chi sta al potere locale, perseguito con zelo missionario e ideologico, ha contribuito ad affossare diversi buoni provvedimenti dell’amministrazione cittadina (insignificanti dal punto di vista simbolico ma rilevanti da quello economico). I toni sono sempre accesi e taglienti come nelle guerre civili; manca un dialogo pubblico pluralistico, aspro ma aperto. Destra e Sinistra, zavorrati di aggettivi infamanti, litigano sul da farsi e si rimproverano a vicenda le proprie mancanze, in sezioni di partito fumanti per soli maschi dove si respira aria di lotta politica e vigilia di conflitti.
I liberali, dopo aver fatto per molti anni a Palazzo Valentino (Comune) il bello e soprattutto il cattivo tempo, un po’ per volta si stanno smantellando, hanno disperso negli ultimi anni molti consensi da assicurarsi l’annientamento alle prossime elezioni comunali.
Nell’inamidata borghesia valenzana resta ancora impressa una certa nostalgia crepuscolare, quasi gozzaniana, fatta di onesti sentimenti, di disciplina e di senso del dovere, ma con il sapore asprigno della capitolazione: ormai ognuno recita a soggetto, disprezzando qualsiasi opinione che non sia la sua.
Sorprendentemente, nelle elezioni politiche del marzo 1909 il Merlani socialista (Alberto, nato a Valenza nel 1855 ma torinese, con la stoffa di predicatore più che di politico) ha vinto nel nostro Collegio un secondo giro in Parlamento contro i liberali Annaratone e Roncati, stravincendo a Valenza con il 74%. Era stato però battuto l’anno prima nella Suppletiva, per la morte di Giusto Calvi, dal liberale Michele Ceriana-Mayneri, fratello del conte Ludovico già deputato, scomparso tre anni prima.
Il tornado elettorale sopraggiunge però nel 1910 quando avviene il trapasso definitivo dall’Amministrazione municipale liberale a quella socialista, la quale inizia così a costruire il fortilizio del proprio potere e la rovina degli altri. Un risultato clamoroso, una Waterloo che si abbatte come ennesima clava sul moribondo movimento liberale valenzano inesorabilmente travolto, pure se non inatteso.
In questo scenario politico lo sviluppo economico della città, pronta ad afferrare gli effetti della seconda rivoluzione industriale, si svela efficacemente da questi numeri del censimento 1911: 11.372 residenti (abitanti 10.741), 2.806 famiglie, ma nella realtà si presumono 12.000 abitanti e 3.100 famiglie. Le Parrocchie sono due: S. M. Maggiore a Valenza città con 9.919 parrocchiani e S. Eusebio a Monte con 822 parrocchiani. Le imprese sono 185 (da rilevazione cens.ind. del 30 marzo 1911 ne risultano 174), di cui 118 (125 cens.ind.) fino a 10 lavoratori e 67 (47 cens.ind.) con più di 10 lavoratori. Nel settore orafo operano 46 (43 cens.ind.) aziende con 652 (613 cens.ind.) operai; i tomaifici sono 18 e le fabbriche da scarpe 6 con 560 operai complessivi; le fornaci sono 3 con 180 operai, la filanda Ceriana ne ha più di 200. Il totale degli operai occupati nelle industrie locali supera ampiamente duemila. Oltre l’evidenza di questi dati c’è però un’industria orafa che attraversa un imprevisto momento di crisi, aggravato dal fallimento del banco Visconti e la chiusura di diverse imprese. Sono anche molte le vertenze di lavoro e gli scioperi.
Il 26 giugno 1910 si deve votare per sostituire 11 consiglieri comunali decaduti (10 scaduti uno defunto, da eleggere 9 per la maggioranza e 2 per la minoranza) e pochi prevedono il patatrac che sta per accadere: il trapasso definitivo dall’amministrazione liberale, al potere ininterrottamente da decenni, a quella socialista.
I socialisti espongono un ambizioso programma che prevede interventi di lavori pubblici, istruzione, igiene pubblica, tributi, assistenza sociale. I liberali costituzionalisti rivendicano i risultati ottenuti, magnificano le opere edilizie realizzate, il risanamento e l’igiene compiuti in tanti anni di amministrazione della città e programmano per l’avvenire la costruzione di un macello pubblico, l’edificazione di un unico fabbricato per le scuole (un sogno ricorrente ancora per molto), un sistema di illuminazione pubblica a energia elettrica.
I 1.371 elettori votanti, su 2.295 aventi diritto, mandano in Comune 9 popolari-socialisti (quasi tutti contadini e operai) e 2 liberali-costituzionalisti (gli autorevoli ex consiglieri Abbiati e Vaccari) facendo così scendere a 12 su 30 la vecchia maggioranza. Le aspettative disattese hanno generato una potente reazione degli insofferenti elettori, favorita dalle nenie da novena di certi cattolici liberali e da un certo catastrofismo ben pilotato dai socialisti sul presente e sul futuro. Il risultato è un colpo di scena, una vittoria che probabilmente è una sorpresa anche per chi ha vinto.
In un clima assai teso, con critiche velenose e insulti, il 16 luglio 1910 è eletto dal nuovo Consiglio (presenti 23 su 30 membri) il primo sindaco socialista di Valenza, il commercialista socialista ragionier Luciano Oliva. Egli ammalia solo una parte del popolo della sinistra, è l’archetipo dell’onesto e utopico intellettuale socialista di gusti moderati (con poco carisma, a metà strada tra i non pochi ultrà, sempre incerto tra rivoluzione e riformismo), ma affiancato da un drappello di sinistra spinta che tiene le redini del partito. Convinto sostenitore di una transizione pacifica, va spesso controcorrente non cantando nel coro; ha fatto qualche vuoto attorno a sé (designato con 16 voti, uno a Marchese e 6 bianche), cercherà di perseguire obiettivi che trascendono dalla sua ambizione personale e terrà la carica sino al 1920.
(Luciano Oliva)
I nuovi assessori sono: Gerolamo Visconti, Giuseppe Melgara, Carlo Giordano e Giuseppe Marchese, destinati a finire nel tritacarne della nuova dogmatica opposizione cattolica liberale e di alcuni inconsolabili fuorusciti (un’élite non più all’altezza delle sfide).
Un voto glorificato dalla sinistra che seppellisce un’amministrazione senza il consenso del popolo umile (che non vota), moribonda da qualche tempo e, soprattutto, un gruppo liberale in grande imbarazzo e diviso che non sa se prendersela con gli antagonisti o con se stesso, oltre che esecrarsi fra caporioni politici stroncati in piena confusione mentale.
La figura del nuovo sindaco segna un vero e proprio spartiacque tra una “belle époque” (solo per una minoranza assai sgradita) e un’era disdicevole di conflitti bellici e sociali. E, come ormai si usa spesso dire, nulla sarà più come prima.