Facino Cane a Valenza
VALENZA – A fine 1300 Valenza è commercialmente ancora una cittadina agreste, con una vasta distesa di vigneti fuori le mura, ed è stentatamente alla ricerca di un posto da protagonista economico; resta invece all’incirca quella di sempre, con una vita sociale e costumi tipicamente contadini e con alcune categorie (in misura minore) artigianali e commerciali che raffigurano in embrione la piccola borghesia futura, ma in quantità talmente ridotta da rendere l’aspetto agricolo ancora più evidente.
Rispetto ai segnali di incoraggianti dinamiche sociali, appare netta la decadenza delle tradizionali famiglie signorili, incapaci di sostenere il confronto con la nuova realtà, soprattutto per inerzia. La profonda disdetta delle istituzioni, seguita alla morte di Gian Galeazzo Visconti nel 1402, offrirà di nuovo spazio ad alcune casate nobiliari locali, che mostrano minor rispetto per non dire più intenso disprezzo per i Visconti, sempre pronte ad intercettare il carro del vincitore, piene di fiele e di odio alla ricerca di un’improbabile gloria.
Le fiere e i mercati hanno una ragguardevole rilevanza economica, anche perché in queste circostanze sono accordate franchigie da dazi e, in certi casi, esenzioni e moratorie giuridiche; lì circolano notizie e rumori e lì cominciano tutti i subbugli.
Sul Po c’è un importante porto natante (portus) con uno zatterone, atto a traghettare persone e merci, con altre imbarcazioni di servizio. Il pedaggio che viene riscosso dai portolani a carico dei forestieri è una delle principali entrate economiche della comunità valenzana.
La popolazione è composta di circa un migliaio di famiglie (3.500-4.000 abitanti), pochi i concubini e gli eretici e troppi gli usurai. Molto attiva la vita religiosa, Valenza è sede di Vicariato generale del vescovo di Pavia per i territori posti a sud del Po e gode quindi di una posizione di gran rilievo anche dal punto di vista religioso. Corposo è l’elenco delle chiese, delle abbazie e dei monasteri: San Francesco, Santa Caterina, Sant’Antonio, San Bartolomeo, Santo Spirito, Santa Croce, San Giacomo, SS. Nicola e Paolo, San Giovanni, San Giorgio. Sussistono altri 4 ordini religiosi: di San Antonio e Santa Croce, dei Canonici dentro le mura, dei Gerosolimitani e della chiesa di San Giacomo fuori le mura: soggiogano il popolo soprattutto con lezioni di moralità. Oltre alle tante chiese fuori dell’abitato la campagna valenzana è anche ricca di cappelle (melius abundare quam deficere).
Il patriziato locale ha poco apprezzato i requisiti di necessità dei nuovi statuti del 1397 (da loro applicati solo quando fa comodo); l’amministrazione comunale è costantemente in affanno e sempre confusa sul da farsi; risponde sempre più a logiche da nomenclatura. Però la civiltà comunale è avviata ad un processo d’involuzione, sia per ragioni esterne sia intrinseche: carestie, epidemie, tensioni sociali, serie di guerre. Secoli di lotta fra Chiesa e Impero hanno fornito anche i simboli, Guelfi e Ghibellini, sotto i quali si schiera ogni porzione del paese. I potenti governanti di Valenza (il podestà Ottobono dei Salimbeni di Piacenza, il sindaco giureconsulto Giacomo di Nibolono e il rettore Bertolino del Pozzo) sono scoperti a praticare manovre che avrebbero preferito rimanessero segrete. Verranno messi alla gogna e torturati. I rapporti sono talmente scompigliati che si rischia d’essere colpevoli e innocenti al tempo stesso.
Nella nostra zona si afferma un anarchico capobanda, poi famoso condottiero di ventura, in seguito anche signore feudale: Bonifacio Cane detto Facino, da Bonifacino, nato a Casale Monferrato intorno al 1360. È figlio di Emanuele Cane di Casale, ma originario di Borgo San Martino. Facino è un mercenario crudele detto “Il Terribile” destinato a lasciare il segno; vanterà una carriera militare lunga circa 30 anni con capovolgimenti stupefacenti, alla conquista di 240 località; inizia a combattere a meno di 20 anni, servendo gli Scaligeri a soli 26 anni.
Teodoro II, marchese di Monferrato e Facino Cane sono i protagonisti non solo della storia della nostra zona e del Monferrato ma anche dell’Italia Nord-occidentale intorno al Quattrocento. Essi hanno vite parallele, sovente accomunate da interessi reciproci e quando si tratta di far fuori qualcuno vanno d’amore e d’accordo (ne sanno qualcosa i valenzani).
Tra il 1396 e il 1397 il condottiero guerreggia contro i Savoia e gli Acaia per conto di Teodoro II, il quale per i suoi servizi lo ricompensa infeudandogli Borgo San Martino, il borgo natio del padre, dove può organizzare ed alloggiare i propri uomini nelle lunghe soste invernali. Quello che lo induce a combattere crudelmente è l’arricchimento suo e dei suoi devoti soldati.
Affermatosi come capo militare, dal 1400 ottiene pure i primi successi politici, anche se governare è una cosa, far politica è un’altra. Dopo la morte del duca Gian Galeazzo Visconti, avvenuta nel 1402, occupa alcune città del ducato che, governato nominalmente dal giovanissimo dispotico tiranno Giovanni Maria Visconti (dal 1402 al 1412), in realtà verrà percorso dalle soldatesche di Jacopo Dal Verme, di Carlo Malatesta e specialmente di Facino Cane; il Ducato di Milano sarà in questi anni in piena anarchia.
Nel settembre del 1403 entra fraudolentemente ad Alessandria, aiutato da alcuni cittadini favorevoli al duca di Milano; alla testa di 600 cavalieri e dei ghibellini locali antitetici a Gabriele Guasco, in pochi giorni costringe i Guelfi e i Francesi (contingente genovese) a ritirarsi nella fortezza di Bergoglio (nel feudo della nobile famiglia guelfa dei Guasco) e, con l’ausilio di alcuni pezzi di artiglieria, bombarda il castello imponendone la resa. Privo di ogni magnanimità e misericordia, oltre che tante uccisioni e riscatti, a molti prigionieri francesi considerati furfanti viene addirittura tagliata la mano. La città è saccheggiata e incendiata per otto giorni (quasi una vendetta per la distruzione di Casale nel 1215). Il bottino è acquistato in gran parte da mercanti valenzani e per la vittoria Facino riceve in pegno dalla duchessa Caterina Visconti (madre tutelante di Giovanni Maria) le terre di Valenza (valore 40.000 fiorini) e di Montecastello (valore 8.000 fiorini).
Ha così inizio anche in Valenza la sanguinosa e spietata tirannia di Facino Cane, cui troppo spesso prudono le mani e uno con cui litigare lo trova sempre.
I suoi raid e spedizioni devastanti che seguono provocano la distruzione e la spogliazione di queste terre esercitando repressioni, terrore e crimini atroci. L’intera zona subisce i colpi di questi assalti; si diffonde nel popolo di questo territorio il timore e l’insicurezza in mezzo ad un caos infernale; inoltre devastanti epidemie si portano via ciò che è stato risparmiato dalle guerre. Miseria e fame restano ancora rilevanti; le gabelle da pagare al signore ed alla chiesa sono sempre più elevate; le tasse, i pedaggi e le taglie gravano sul popolo (podestà è Antonio Bossi, abbandonato nelle grinfie del condottiero).
Nel maggio 1405 il condottiero aggredisce nuovamente i Guasco di Alessandria nei loro castelli; distrugge quello di Sant’Antonino, posto sulle colline tra Alessandria e Valenza, e uccide in condizioni orribili tutti i Guasco che cadono nelle sue mani. Dona la rocca alla famiglia ghibellina alessandrina degli Inviziati. Si insignorisce di Alessandria: il duca Giovanni Maria Visconti lo nomina “prefectus” della città, ma egli muta il termine in “dominus”.
Inesorabile guerriero, reduce da una sonora sconfitta con il Duca milanese (con cui però, com’è solito in quest’epoca, ben presto si riconcilia) si ritira malconcio a Valenza dove uccide crudelmente alcuni nobili bolognesi e alessandrini. In un documento del 5 maggio 1407 risulta l’abitazione del condottiero a Valenza, dove è stato steso l’atto.
In costante lotta contro Genova, nell’ottobre 1409, dopo una battaglia vittoriosa a Novi (i due eserciti si scontrano nella zona Fraschetta) sul Maresciallo di Francia governatore di Genova Boucicaut (Jean II Le Meingre), Facino si ritira nuovamente a Valenza, contrastando l’azione del patriziato locale che, pronto ad ogni sorta d’intrigo, rivendica il potere. Riconciliato con Giovanni Maria Visconti (Facino è il suo più grande condottiero), nel 1410 diventa governatore dello Stato (una specie di sovrano senza regno e senza corona).
Ma ormai imbocca la via del declino; la forte fibra, minata dalla gotta e logorata dalle innumerevoli campagne militari, sta per cedere. Muore a Pavia nel 1412. I suoi possedimenti sono ereditati da un fratello e da due nipoti, mentre il restante ingente patrimonio e le pertinenze (Valenza, Alessandria, Novara, Breme, Varese, Vigevano e forse Tortona) passano alla vedova Beatrice, che si risposa poco dopo con Filippo Maria, unico erede dei Visconti, costringendo nuovamente Valenza a prestare fedeltà ai duchi di Milano. Per Valenza incomincia però un periodo tutto sommato più tranquillo.
In un’epoca storica in cui il tradimento era valutato quasi una piccola bugia, Facino Cane non ha mai tradito, pure quando per l’infedeltà altrui sarebbe stato giustificato; questo gli ha conferito l’attributo di uomo fedele. È stato spietato, ma a modo suo un uomo d’onore raro per quei tempi.