“Codice rosso per l’umanità. Assordanti i campanelli d’allarme”
Nei giorni in cui i roghi sono divampati in molte parti del sud Italia ed a Siracusa si è raggiunto un record storico europeo per la temperatura (48,8 °C), l’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), ha pubblicato la prima parte del suo sesto rapporto di valutazione sul clima (AR6), che sarà completato l’anno prossimo.
Il testo, redatto da 234 autori di 66 nazioni, traccia con toni foschi il futuro climatico della terra. Questa è la più aggiornata valutazione del nostro sistema e, partendo dagli ultimi modelli climatologici e dai dati in possesso, si possono creare i modelli per ipotizzare gli scenari futuri.
Le conclusioni sono nette: a meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento globale di circa 1,5-2 °C sarà obiettivo non raggiungibile. Le emissioni di origine antropica (cioè la combustione di idrocarburi e la riduzione delle foreste) sono infatti responsabili di un aumento di circa 1,1 °C rispetto al periodo 1850-1900, mentre i modelli climatici prevedono che nei prossimi 20 anni si aggiungeranno 1,5 °C rispetto l’era pre-industriale.
Un pianeta sempre più caldo ha a disposizione più energia, energia che provoca sia un riscaldamento netto (ondate di caldo più prolungate od inverni più miti, diminuzione dell’estensione dei ghiacci perenni che porta a un innalzamento dei mari), sia un aumento degli eventi climatici estremi (uragani in maggior numero e con forza maggiore, o anche solo ondate di maltempo più intense). La concentrazione delle precipitazioni in periodi di tempo più brevi porterà a prolungati periodi di siccità, contribuendo anche a più frequenti ed estesi incendi boschivi.
Modificazioni del clima terrestre sono già avvenute in passato ma mai, però, con questa velocità, che non è spiegabile con fenomeni naturali (ad esempio i cicli undecennali delle macchie solari o cicli di Milanković per le variazioni cicliche dei parametri orbitali terrestri come eccentricità ed inclinazione dell’asse) ma solo con l’immissione antropica di gas serra (principalmente metano e CO2). La concentrazione di CO2 è infatti passata dai 280 ppm (parti per milione, ovvero lo 0,28%) dell’epoca pre-industriale ai quasi 420 ppm attuali, mentre per il metano (gas serra più potente della CO2) la variazione è stata da 0,7 ppm a circa 1,9 ppm.
La stabilizzazione del clima richiederà riduzioni forti
Secondo l’opinione di Panmao Zhai, copresidente dei gruppo di lavoro che ha stilato la prima parte dell’AR6, «la stabilizzazione del clima richiederà riduzioni forti, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra e il raggiungimento di emissioni nette di CO2 pari a zero; limitare altri gas serra e inquinanti atmosferici, in particolare il metano, potrebbe avere benefici sia per la salute che per il clima». La riduzione dell’uso di idrocarburi avrebbe un effetto quasi immediato sulla qualità dell’aria (durante il lockdown del marzo 2020 crollarono in poco tempo le concentrazioni di tutti i principali inquinanti), mentre, per vedere degli effetti sul clima serviranno alcuni decenni, a causa dell’inerzia del sistema, che rende difficoltoso vedere una palese correlazione temporale fra emissioni e riscaldamento.
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Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che il rapporto è «un codice rosso per l’umanità. I campanelli d’allarme sono assordanti e le prove sono inconfutabili».
Come fronteggiare l’emergenza?
Per la prima volta questo rapporto fornisce anche una valutazione regionale più dettagliata sul cambiamento climatico, dando informazioni che possono essere utili per valutare il rischio in maniera più precisa, e consentire di poter prendere decisioni politiche più mirate.
Tutto questo può essere consultato su questo atlante interattivo.
Come fronteggiare questa emergenza climatica? Le possibilità sono diverse e da usare tutte. Se infatti domani l’umanità smettesse di bruciare idrocarburi fossili, questo porterebbe solo ad una cristallizzazione della situazione. I naturali processi geologici di sequestro della CO2 sono infatti su scala millenaria e questo non permetterebbero di tornare in tempi brevi a una situazione pre-industriale.
Una parte della soluzione è aumentare la massa verde. Gli alberi assorbono moltissima CO2, il legno è (in estrema sintesi) un polimero organico prodotto a partire dall’anidride carbonica atmosferica. Aumentare la quantità di alberi consente di intrappolare la CO2 per tutta la vita della pianta. In aggiunta a ciò è necessario un cambiamento di fonti di energia, passando dagli idrocarburi (che attualmente forniscono oltre l’80% dell’energia consumata) a fonti a basso impatto ambientale.
Questo però, come detto, servirà solo a cristallizzare o mitigare la situazione. Per tornare a livelli pre-industriali si dovrà estrarre la CO2 atmosferica con tecnologie di sequestro della CO2, che richiederanno quantità immense di energia.
Pochi giorni dopo il report Ipcc, anche la Unece (Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite) ha pubblicato un rapporto, inerente le strategie di decarbonizzazione per il controllo del riscaldamento globale. Rispetto ad altri report, questo è lapidario nell’affermare che, se nelle strategie di decarbonizzazione non verrà inclusa la fissione nucleare, gli obiettivi saranno impossibili da raggiungere. Questa è una significativa novità rispetto a studi precedenti, che giudicavano invece “molto difficili” gli obiettivi di decarbonizzazione nel caso non si fosse usata la fonte nucleare.