I comunisti a Valenza dal 1921 al 1944
VALENZA – Nel 1920 Valenza è nelle mani del Partito Socialista che conta due deputati locali (Francesco Tassinari e Paolo De Michelis), il sindaco Giuseppe Marchese, il segretario della Camera del Lavoro Vittorio Berge, il segretario del partito Alessandro Morosetti. Inserendosi nel generale contesto di dissidio presente nel movimento, in dicembre la sezione socialista locale, nel corso di due animate assemblee, definisce l’indirizzo per il XVII congresso nazionale del partito. Nel diffuso tramestio quasi tutti i vecchi iscritti sono per i riformisti di Turati e Treves, mentre un’esigua minoranza sostiene le tesi di Gramsci e Bordiga; alla votazione si approva comunque l’indirizzo massimalista-unitario della mozione Serrati-Baratono.
Quindi Il 28 gennaio 1921 si tiene un’affollatissima assemblea generale dei socialisti valenzani per ascoltare la relazione dei rappresentanti Barge e Sacchi, reduci dal Congresso di Livorno (gennaio 1921) dove si è verificata la scissione ed i comunisti hanno abbandonato la sala e costituito al Teatro San Marco il Partito Comunista, sezione italiana della Terza Internazionale.
Anche a Valenza le discussioni sono lunghe e animate, parlano abbondantemente Morosetti, Panzarasa, Mazza e Sacchi; infine, all’unanimità (meno uno), viene approvata la relazione e le considerazioni dei due rappresentanti. Tuttavia, nel pentolone socialista dei malumori, i comunisti valenzani mugugnano e fanno fatica a sentirsi a casa propria. Ben presto, a rendere l’atmosfera ancora più incandescente, Florindo Panzarasa, Ercole Morando, Mario Scalcabarozzi ed altri escono dal partito e, seminando disappunto diffuso tra gli ex compagni, fondano in via Magenta il Circolo Comunista che attrae quasi subito quasi una cinquantina di aderenti ai quali si aggregano altri valenzani, già tesserati in Alessandria, quali Accatino, Casolari, Ferraris, Gobbi, Vaccario. Ingessati in una dimensione unica, sono convinti che il loro nuovo mondo non sia solo possibile, ma stia a portata di mano, invece il fascismo travolgerà tutti.
Nelle politiche del 15 maggio 1921 che ammettono il Partito fascista nell’arco costituzionale e il suo riconoscimento come insostituibile garante dell’ordine, a Valenza i socialisti ottengono il 55% ed i comunisti il 9% (popolari 9%, blocco 26%). Il clima dei tempi diventa sempre più tragico finché la sera dell’8 giugno del 1921, nei pressi del Circolo Comunista di Via Magenta, in una sparatoria, viene ucciso con un colpo di fucile da caccia un giovane squadrista alessandrino: Vincenzo Alferano. Impetuosamente vengono arrestati e poi rilasciati Ferraris, Mattacheo, Panzarasa, Piacentini, Ratti, Zeme e altri; intanto i camerati non lasciano sfuggire l’occasione e scatenano la violenta reazione delle loro squadracce fasciste, che giungono in città dai paesi vicini, offrendo bastonature, ferimenti e olio di ricino. Il Circolo Comunista e poco dopo la Camera del Lavoro vengono incendiati e quasi distrutti.
Anche con i compagni socialisti i rapporti sono malevoli; il giornale alessandrino “L’IDEA COMUNISTA” nel primo numero dell’8 giugno 1921 scrive “questo partito (socialista) cosa può fare di peggio che ancora non abbia fatto se non collaborare con la borghesia”.
Il 18 giugno del 1922 si tengono le elezioni amministrative comunali. La sensazione generale è quella di partecipare non ad una competizione ma ad un funerale. I socialisti e i comunisti non sono in condizione di presentare una loro lista. Poi nelle elezioni politiche del 1924, preparate e vinte dal listone fascista, anche a Valenza si verificano brogli, intimidazioni ed interferenze, ma qui prevale ugualmente la lista socialista massimalista che ottiene ben 1.736 voti contro i 106 della lista fascista; per i comunisti ci sono soltanto 70 voti, un numero troppo esiguo e marginale per opporsi concretamente al fascismo. Pure i socialisti rimangono disorientati in preda dei conflitti interni tra i resti della corrente massimalista e i riformisti. Inoltre, siccome le sciagure non vengono mai sole, il 16 gennaio 1925 sopraggiunge un altro boccone amaro: il Prefetto di Alessandria scioglie le federazioni del PSI e del PC.
Durante il regime molti esponenti della sinistra “clandestina” valenzana nutrono ancora il sogno fascinoso dell’uguaglianza affinché si abbia come conseguenza la libertà; gradualmente però per alcuni la loro anima socialista viene erosa e sostituita da una più adatta ai tempi di lotta: quella comunista. Se non sono in grado di effettuare azioni eclatanti, sono invece molti attivi nel sostegno della stampa antagonista al regime; spesso alla stazione ferroviaria locale si verificano scontri e scazzottate per l’illegale distruzione di giornali quali: Ordine Nuovo, Giustizia, Avanti. I loro locali pubblici di riferimento sono il Garibaldi e La Botte (la borghesia va al Caffè Teatro).
In un gruppo antifascista nostrano eterogeneo e attivo, variegato di coloriture politiche diverse, si confrontano (bar, baracche del Po) idealisti e combattenti che coniugano sovente all’idea politica il rigore morale, con qualche credenza utopistica e qualche passione rivoluzionaria in una città dove, in contrasto con il resto del Paese, il benessere è diffuso per il significativo sviluppo industriale dell’oreficeria e delle calzature. Ne fanno parte Aviotti, Bellone, Casolati, Corona, Dabene, Ferraris, Genzone, Guidi, Rigoni, Sforzini, Vaccario, Vaiarelli, Visconti e altri. Carlo Visconti è il più anziano (mancherà alla vigilia della guerra etiopica) ed è il principale animatore della compagine, egli possiede un’acutezza di vedute ed un’ampia cognizione di politica generale che illustra costantemente ai compagni, oltre ad essere un provetto calciatore della Valenzana: un illuminista fiducioso nel progresso e nell’uomo. L’applicazione dell’analisi completa e della ragione critica, con testi marxisti e politici in genere (letti e squadernati con attenzione e rispetto, ma con troppi miti e preconcetti) e con tutte le notizie non ufficiali che incalzano, provocano l’impatto decisivo per la scelta di lotta fatta da alcuni di questi uomini che hanno tuttavia anche vistosi e differenti divari culturali; ma al di là delle necessità contingenti e dall’ispirazione dottrinale agli attivisti comunisti un ruolo fondamentale è giocato dalla scelta individuale che assorbe la dimensione esistenziale assieme a quella politica. Prova ne sia che, anche a Valenza, non mancano i “fasciocomunisti”, alcuni eretici vacillanti tra le certezze del tempo, accontentati un po’ dalla destra e un po’ dalla sinistra.
Nell’estate del 1943 (il 15 maggio 1943 è nato il P.C.I.), tra euforie artificiose, frustrazione avvilenti e disorientamento generale, i comunisti valenzani intensificano i contatti e gli incontri: il giorno della riscossa si avvicina nel susseguirsi incalzante degli eventi. Dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), la prima riunione si tiene in casa di Giovanni Dogliotti, per valutare la situazione generale e l’azione da svolgere tra il visibile e l’invisibile; partecipano Dogliotti, Casolati, Rossi, E. Visconti, L. Vaccario e Della Gatta.
Si stabiliscono quindi i primi legami con esponenti esterni e con il valenzano Ercole Ferraris, fondatore e primo segretario del partito in Alessandria. Il P.C.I. è ufficiosamente rappresentato a Valenza da Ercole Morando: il calzolaio oppositore, senza peccato, uno sportivo sognante l’avvento di Stalin, che ha lottato a fianco dei principali rappresentanti provinciali. Tenace e coraggioso, egli è il punto di riferimento politico del comunismo locale che, pur con tante contraddizioni, rappresenta la scelta antifascista e repubblicana più radicale.
La seconda riunione del gruppo a impronta territoriale avviene in riva al Po (località Gambina) a fine agosto a cui partecipano il riorganizzatore clandestino appena scarcerato Osvaldo Camera, Dogliotti, Provera (di Ticineto) e Rota (di Valmacca).
Le autorità fasciste locali impauritesi si rendono conto che le loro idee sono destinate a soccombere; con circonlocuzioni spericolate sulla necessità di collaborare (cioè mera sopravvivenza), convocano in Comune alcuni noti antifascisti per costituire un Comitato di difesa civile. Il Comitato viene composto dai rappresentanti dei vari partiti antifascisti, Boris per i socialisti, Morando per i comunisti, Vaggi per la Democrazia Cristiana e Poggio per i liberali: una foglia di fico che sfuma in un batter d’occhio. Infatti, dopo poco, da questo primo nucleo, disarticolato e poco incisivo sulla vita reale, nasce il C.L.N. locale costituito da Boris (PSIUP), Morando (PCI), Vaggi (DC), Corones (PdA) in seguito modificato e integrato con Cuttica (P.L.), Dogliotti (PCI), Scalcabarozzi prima e Mazza poi (PSIUP). Le tante riunioni sono tenute in ordine di tempo in casa Boris, da Scalcabarozzi, all’Oratorio, in casa Mazza a Monte, in casa dei fratelli Marchese.
Ormai la gente è sempre più stanca della guerra, la vita quotidiana è mutata, cresce l’avversione verso il fascismo che ha ormai perso ogni influenza locale. Il giorno in cui i tedeschi occupano l’Italia, 8 settembre 1943, viene fondata la sezione locale del Partito Comunista Italiano. L’evento, destinato a lasciare il segno, si realizza in una singolare riunione notturna all’aperto in strada dello Zuccotto e con la presenza di Armando Baucia, Dante Casolati, Giovanni Dogliotti, Enzo Luigi Guidi, Carlo Masi, Ercole Morando, Luigi Prato, Ferruccio Rossanigo, Pietro Rossi.
Le cariche del primo Comitato Comunista locale vengono così distribuite: presidente Guidi, segretario Morando, economo Casolari, membro Dogliotti. Qualche settimana dopo, la segreteria viene assegnata al Guidi, uno dei principali protagonisti della Valenza antifascista e partigiana; di coraggio e di pensiero, è un capostazione sempre impegnato a rivendicare l’orgoglioso crisma laico e libertario, diventerà più spettatore che protagonista della politica locale nel dopoguerra. Dogliotti invece è il leader virtuale che si maschera con gran modestia; prestigioso incassatore, molto disponibile e vivace a livello sociale è rigidamente ortodosso in quello politico, sarà anch’egli protagonista della resistenza locale e diventerà sindaco della città nel 1951.
Ben presto si istituiscono le varie cellule a capo delle quali vi è un esponente più impegnato che mantiene i contatti con i suoi iscritti di cellula. I primi fedeli capicellula sono i nove fondatori e pezzi pregiati del partito comunista di Valenza. Passano pochi giorni e a complicare le cose arriva in città una colonna corazzata tedesca (Kommandantur K 1014) assumendone il controllo, unita alle forze fasciste (G.N.R. e brigate nere). Lo scenario che si delinea è disastroso, assistono attoniti i valenzani che subiscono un giro di vite dopo l’altro con qualche atto partigiano di sabotaggio e diversi rastrellamenti. Una situazione in cui paura e angoscia accompagnano le giornate dei cittadini.
Dopo circa un anno, ancora in clima d’acuto conflitto (1944), le cellule del partito sono ben 30, ognuna delle quali controlla da 15 a 20 iscritti che si sottopongono al versamento di contributi, sempre e solo tramite il loro capocellula. È un’organizzazione formata in modo tale da mantenere segreti i nominativi degli iscritti. Da questo momento anche a Valenza comincia ad estendersi con successo l’organizzazione comunista, a produrre e diffondere materiale di propaganda, a stringere rapporti diretti con la classe operaia.
Quasi tutti i protagonisti citati, continueranno ad ubbidire al partito (un amore indissolubile, vissuto come un sacramento laico) e un po’ alla propria coscienza con un’intensità che penetra nel profondo, purtroppo con pochi attestati di stima. Mentre Masi, Rossi, Prato e Rossanigo, con tenacia e lungimiranza strategica, unitamente a certe fissazioni ideologiche non ancora defunte, resteranno impegnati nella conduzione del movimento politico (Rossi sarà poi vicesindaco), la vecchia bandiera “Ercolino” Morando, con un certo disincanto e ormai poco brillante, abbandonerà la pratica politica attiva, dedicandosi alla sua cara U.S. Valenzana incassando un duraturo dividendo di simpatia tra i compagni. Baucia e Casolati, che tanto coraggio e passione hanno dimostrato nel difendere l’idea comunista, quasi come reduci messi in pensione, una volta finita l’eroica stagione resistenziale, non faranno parte del futuro gruppo dirigente locale del partito che vedrà partecipi anche Annaratone, Cavezzale, Ferraris, Lombardi, Ottone, Ravenni e altri.
Val la pena ricordare che in fondo l’essere stati un po’ idealisti (tentazioni poco marxiste) non è certo stato un difetto ma, soprattutto, un valore. A loro appartengono parole come coraggio, onore, virtù, che purtroppo oggi gli uomini pronunciano a fatica, come se si vergognassero. Poi verranno i giorni oscuri e al tempo stesso epici della “Resistenza”, che non sarà una processione di santi virtuosi, ma una lotta durissima in un crescendo di violenze: una guerra civile.