Investiture, successioni e supremazie dei conti Gattinara Lignana a Valenza
VALENZA – In segno di profonda gratitudine e per onorare una promessa fatta, il 27 luglio 1522 Francesco II Sforza, duca di Milano, ritornato in possesso del suo Stato già occupato dall’esercito francese, grazie “all’opera, ed assistenza del Gran Cancelliere” dell’imperatore Carlo V cardinale (dal 1529) Mercurino Arborio di Gattinara, assegna la contea di Valenza con il titolo comitale “per lui, suoi descendenti maschi, e femine, e estranei all’Infinito, de’ Castelli, e Luoghi di Valenza, e Sartirana, assieme alle pertinenze, e dipendenze loro (come legittimamente devoluti al d.o Duca) in feudo nobile, franco, e Libero”. Mercurino Arborio è uno dei personaggi più rilevanti nella politica europea del suo tempo, una vita passata a fianco delle personalità storiche più importanti, un poliglotta in grado di esprimersi in italiano, spagnolo, francese, tedesco e olandese.
Dopo la morte del cardinale, avvenuta ad Innsbruck il 5 maggio 1530 mentre si recava in Germania per partecipare alla dieta di Augusta, l’erede universale dei feudi di Valenza, Rivalta e Ozzano e altri diventa l’unica sua figlia legittima e naturale Elisa, alla quale il testatore sostituisce, nel caso non voglia accettare l’eredità, Antonio e Mercurino, i figli nati dal suo matrimonio con Alessandro Lignana conte di Settimo Torinese, “….ed instituisce in sua Erede Universale La Dama Elisia Unica sua figlia Vedova d’ Alessandro Lignana Sig.re di Settimo, Specialmente nel Contado di Valenza, ragioni spettantigli nel Contado di Refrancore, e ne’ Castelli, e Luoghi di Ozano, Teruggia, Rivalta, e Tonengo, e in tutti Li beni, che possedeva nel Marchesato di Monferrato, ne’ beni dal medesimo acquistati nel Luogo di Lignana, ne’ feudi, e Baronie ivi specificate esistenti nei Regni di Sicilia, e Napoli: Colle sostituz.ni à favore di Antonio, e Mercurino figliuoli di detta Elisa ivi espresse, colla reciproca fra questi…”.
Ad Antonio andrebbero quindi i feudi “nell’una e l’altra Sicilia”, a Mercurino II i feudi nel ducato di Milano (Valenza) e nel Monferrato, con l’obbligo però per entrambi di assumere il cognome del testatore.
Il conte feudatario della città, incarna ancora una certa sacralità del potere locale; la popolazione valenzana forzatamente compiacente, oltre a dover provvedere al mantenimento della guarnigione, sarà per lungo tempo costretta a passare un copioso vitalizio agli eredi di Mercurino Gattinara, senza contare alcune tasse locali in loro favore e i doni feudali doverosi in certe occasioni, quali matrimoni, nascite, ecc.
In questo mondo chimerico alquanto staccato dalla realtà in cui sono immersi questi agiati e fausti individui, con il folto entourage che ruota loro intorno, la saggia vedova contessa Elisa, animata da una forte fede cristiana pur se travagliata da continue malattie, riesce a far crescere il consenso e il populismo locale mantenendo, nei pochi anni di governo, la sua abituale dimora nel castello di Valenza dove muore il 24 luglio 1536. Collaboratore fidato e suo agente generale è stato il valenzano Antonio della Chiesa.
In seguito alla morte di mamma Elisa viene investito Mercurino II Gattinara Lignana capostipite dei Gattinara-Lignana, nipote di Mercurino I, dopo un lungo braccio di ferro con la Camera Ducale. Egli compie nel 1545 il giuramento di fedeltà e nel 1549-1550 ottiene la conferma dei privilegi, “Diploma dell’ Imperatore Carlo V. d’ erezione de’ feudi di Valenza, ed Ozano in Primogenitura, à favore del Conte Mercurino Gattinara Lignana, e suoi Discendenti delli 29. Luglio 1543== Coll’ Interinazione Senatoria delli 27. Giugno 1550-Patenti della Duchessa Anna Margarita di Mantova Marchesa di Monferrato d’ approvazione dell’ Errezione fatta dall’ Imperatore Carlo V. de’ Feudi di Valenza, ed Ozano, in Primogenitura, à favore del Conte Mercurino Gattinara, e suoi Discendenti delli 13. Agosto 1550”.
La sua politica troppo favorevole agli Spagnoli non sfugge ai Francesi; quando nel 1555 questi conquistano Casale, Mercurino e il suo capitano d’armi sono costretti ad una poco onorevole fuga attraverso i campi, in direzione di Valenza. Da Casale i Francesi muovono quindi alla volta di Valenza con un ragguardevole numero di artiglierie pesanti e le armate spagnole, terrorizzate dall’imponenza delle forze avversarie, abbandonano nottetempo la nostra città.
Uno dei primi atti del comandante francese Brissac (Carlo de Cossé, conte di) è di rifilare una pedata al Conte con la confisca dei beni e la demolizione del suo castello: da allora i conti feudatari di Valenza conteranno sempre meno, le decisioni saranno prese altrove (governatori, comandanti, ecc.); dovranno pure alloggiare in palazzi privati. Mercurino II (sposo di Vittoria Acquaviva d’Aragona), con stoica tenacia, tornerà in qualche modo nel 1559 quando Valenza tornerà ad essere una sorta di sfilacciata colonia spagnola.
Nel 1558 egli ottiene: “Privileggio di Filippo 2.o Re di Spagna di Cittadina.za di Milano, e Pavia, à favore del Conte Mercurino Gattinara, senza obligo di residenza delli 24. Marzo 1558”.
Con il giuramento di fedeltà, il giovane Mercurino II Gattinara Lignana viene in possesso dei beni lasciatigli dalla madre Elisa. La cerimonia d’insediamento della Contea è celebrata a Valenza il giorno 22 dicembre 1545 con particolare solennità secondo le tipiche forme di ossequio verso l’incarnazione del potere. Questa la descrizione di come si è svolto il cerimonioso rito.
Egli, dopo aver varcato le tre porte della città (Alessandria, Casale, Bassignana) in pompa magna, raggiunge la soglia del castello (ubicato dietro gli attuali oratori di viale Vicenza sul suolo del vecchio macello) ove sono ad attenderlo una fastosa tappezzeria di massime autorità civili, militari e religiose che gli danno in custodia il sigillo della città e le rituali chiavi. Sono il governatore de Ranzo, il parroco Rossignoli, i consoli Aribaldi, Bellone, Cagnoli, e molti altri dell’élite cittadina veri protagonisti della vita locale.
Poche ore dopo questa investitura Mercurino II emana un’ordinanza, attraverso la quale impone a tutti i capifamiglia di recarsi nel duomo di Santa Maria Maggiore, ove si svolgerà il rito di fedeltà alla sua persona e, non parendogli abbastanza, diffida chi non avesse ottemperato all’imposizione al pagamento di duecento scudi d’oro quale punizione: una cifra che un popolano non consegue neppure durante il lavoro di tutta una vita.
Il fatto, con caratteri tragicomici, comprova quanto questo feudatario sia più attaccato alla sua supremazia e ai suoi giovamenti personali che al benessere dei suoi sudditi, i quali si devono conficcare in testa, finché è ancora attaccata al loro collo, che volenti o nolenti sarà lui a decidere molte cose, anche solo con uno schiocco di dita. Ma non sarà proprio così.
Nella cerimonia religiosa (una perfetta farsa), per noi oggi del tutto surreale, il giovane conte, in posa plastica da sirenetto, seduto al centro dell’altare a braccia conserte come il faraone nel sarcofago con in grembo una bibbia e chissà se pure araldo della remissione dei peccati, in modo solenne e umiliante ordina ai suoi sudditi di inginocchiarsi e di giurare fedeltà incondizionata alla sua persona. Infine, con la consueta dose di arroganza, accorda un’amnistia generale e si dichiara disposto a rispettare l’architrave del governo: gli antichi statuti locali.
È un delirio di onnipotenza, un culto con caratteristiche religiose che include probabilmente anche i miracoli e, se l’obiettivo è l’incutere paura per ottenere devozione, sicuramente viene raggiunto. Ora se non parlassimo di cose drammaticamente serie in quei tempi, ci sarebbe perfino da ridere, ma queste cerimonie prevedevano già nel passato rigide e ben precise regole feudali medioevali, in parte ormai svaporate: la sera prima il futuro feudatario doveva digiunare, confessarsi e trascorrere la notte in orazione (“veglia delle armi”), seguivano l’atto di sottomissione (chiamato omaggio), il giuramento di fedeltà e la concessione del feudo.
L’intero avvenimento descritto mette chiaramente in luce la protervia e il narcisismo di questi feudatari improvvisatisi patriarchi o addirittura pontefici, poco orientati alla costruzione del consenso e tutt’altro che alieni alla ricerca del proprio piacere e come al solito ringhiano con i deboli e belano con i forti. Tuttavia siamo nel corso del declino morale e reale di questa istituzione pressoché in progressiva via d’estinzione.
Nel 1564, alla morte di Mercurino II (a Milano il 12 marzo), la poltrona passa al figlio Alessandro Lignana Gattinara. I valenzani non pensano certo che sia un gran fautore della democrazia, ma almeno sperano sia più prudente del padre. Il nuovo conte di Valenza è fortunatamente di carattere pacifico e vive per la maggior parte in questa città. Insigne benefattore del nuovo ordine dei Cappuccini, come prima il genitore, sostiene la costruzione di un convento fuori della Porta Alessandria e della chiesa di SS. Trinità e Assunzione di Maria. Partecipano ai costi, con considerevoli donazioni, pure le famiglie Basti, Lana, Annibaldi, Stanchi, Scotti, Bocca, Campi, Croce, Turone.
Alessandro, sposato con Ersila Marina de Marinis, è religioso e colto, ma soprattutto incerto (deve anche sorreggere la città nell’inondazione del 1567 e nella terribile pestilenza del 1585); è spesso connivente per via indiretta o per paura con chi ha il vero potere politico (etica farsesca di convenienza), ossia i nuovi e tanti governatori spagnoli che si avvicendano.
Con la sua carica illusoria, avvolto da una nube di nulla, mette alcune volte in gioco anche la propria vita mentre dovrebbe avere più contezza del contesto presente. Muore a Valenza il 26-11-1588 (16-7-1588?) ed è sepolto in San Francesco, accanto ai suoi parenti.
Nonostante l’attenzione dimostrata dal cardinale Mercurino nello scandire le sue ultime volontà, precisando le regole successorie ai suoi feudi, sul finire del Cinquecento si apre un lungo contenzioso tra i discendenti che si protrarrà in un crescendo fosco per circa un secolo di graduale decadenza.
Mercurino III Gattinara Lignana, nominato dal 1588, è il primogenito di Alessandro. Documento dell’epoca è un “Contratto di Matrimonio tra il Conte Mercurino figlio Primogenito del Conte Alessandro Gattinara Lignana, Conte di Valenza, e D.a Lucia figlia del Conte D. Gio. Batt.a Serbellone, con Costituzione in Dote di Scudi 20/m. delli 11 Marzo 1588”.
Deve rivaleggiare con i fratelli per i diritti di successione su pezzi del vasto e disperso territorio che va dal Marchesato di Monferrato (Terruggia, Rivalta, Tonengo, Murisengo, ecc.) a quello di Savona e di Milano. La lite riguarda in un primo momento il feudo di Rivalta Bormida che sarebbe dovuto pervenire diviso in parti uguali ai figli ultrogeniti del conte Alessandro Lignana Gattinara, nipote di Elisa, come da suo testamento del 21 novembre 1588.
Al primogenito Mercurino III spetterebbero i feudi di Valenza, Ozzano e Coniolo, egli però si impossessa, con il tacito assenso del duca Gonzaga, propenso a consolidare il principio della primogenitura, del feudo di Rivalta contro il fratello Giò Batta, ultimo superstite dei suoi cinque fratelli, cui erano toccate per successione anche porzioni degli altri. Un documento dell’epoca dice: “Sentenza arbitramentale proferta dal Senatore Camillo Trotto sovra le differenze insorte tra Li Conte Mercurino Gattinara Lignana figlio del Conte Alessandro, e Contessa Ersilia Marina, Madre, e Tutrice, e Curatrice di Giglio, Gio. Battista, Ferdinando, e Gerolamo per causa della Sostituzione, e Primogenitura, e Successione ne’ beni ed Eredità del fù Cardinale, e Gran Cancelliere Mercurino Gattinara, per cui ha dichiarato spettare al detto Conte Mercurino Primogenito li feudi, e beni…”.
Egocentrico e di vocazione autoritaria, ha tre figli maschi (Gabriele o Gabrio, Fabrizio, Alessandro) e quattro femmine, conduce una vita dispendiosa, interpreta il ruolo di governante confondendo spesso la realtà con le proprie ambizioni. Soprattutto un ozioso impopolare che inciampa in vistose e infelici cantonate durante la peste del 1598 e per questo chiassosamente attaccato, dileggiato e persino insultato. Mantiene nel suo ambiente quasi un clima dispotico, anche se artefici principali delle scelte, di controllo e oppressione sulla città sono sempre i governatori spagnoli i quali una volta ti mettono sul piedistallo e un’altra ti mettono alla gogna.
Ultimo dei conti feudatari è dal 1633 Gabrio (o Gabriele) Gattinara Lignana. Figlio primogenito di Mercurino III e barone di Ozzano, sposato con Valeria Testi, di carattere non facile e spigoloso, autoritario ma anche pronto a sottomettersi ai potenti; come guida di questa città non sarà un granché, il suo verbo non è certo il vangelo, subisce confisca di beni, spogliazione e liti con il fisco. Agli inizi, nel 1635, deve porre riparo ai terribili sfaceli causati dall’assedio delle poderose truppe di Vittorio Amedeo e di Odoardo Farnese al comando del generale Créquy (Carlo I de Blanchefort, marchese de Créquy) nel nuovo conflitto tra la Francia e la Spagna.
Chiederà, come si esige ai giorni nostri, un ristoro per i danni subiti dalle guerre del periodo “…..il Magistrato Straordinario nella causa del Conte Gabrio Gattinara di Valenza, contro il Regio fisco, per il ristoro da detto Conte pretteso de’ danni dal medesimo sofferti, pendente L’occupazione di detto feudo, e Redditi fatta da’ Francesi del 1658”.
Si trova sempre più solo su una traballante poltrona tra assedi e occupazioni militari, svilito e messo in un angolo; il dubbio, insomma, è sempre lo stesso: con chi stare. E ogni passo rischia di essere falso. Muore nel 1681 senza discendenti e la vicenda successoria si complica finché tutto torna alla Regia Camera, contro cui fanno opposizione e un muro contro muro dalle retrovie alcuni pretendenti, quali: gli Arribaldi Ghilini, il capitano Francesco Riccio, il conte Lemos e il marchese Alfonso di Gattinara. Ma, nonostante la guerra giudiziaria scatenata, con l’annessione di Valenza al Piemonte sabaudo, lentamente, con alcune transazioni e compromessi, anche le pretensioni svaniscono, come pure la fiducia verso di loro.