Le giunte assembleari degli anni ’60 a Valenza
Una nuova pillola storica del professor Maggiora
VALENZA – Rintracciando quello che eravamo tra le retrovie politiche locali del passato, andiamo negli anni Sessanta quando iniziava la lunga depressione economica italiana mentre, all’opposto, Valenza proseguiva col suo ritmo progressivo che la rendeva uno dei centri produttivi più atipici del Paese. Per molti anni una buona parte di valenzani camperà (anche molto bene) sul capitale accumulato in quei tempi.
Dopo le elezioni politiche del 1963, i partiti locali, gonfi della consueta dose di arroganza, toccano uno dei momenti più bassi di consenso. Il Partito Comunista valenzano, poco capace di rinnovarsi e al potere da quasi due decenni, pare vada avanti quasi per inerzia, sempre con gli stessi esponenti da troppi anni. La Democrazia Cristiana locale ha da poco avuto un importante mutamento al vertice con un gruppo più giovane, privo di esperienze del periodo post-bellico e resistenziale, che ha reso più morbida la sua condotta politica favorevole alla linea di centrosinistra. Mentre il vecchio Partito Socialista col passare degli anni si è ridotto sempre di più: quasi un vizio genetico.
Nell’ottobre 1964 la locomotiva elettorale è nuovamente in pieno movimento e i vari partiti stanno preparandosi ad affrontare la sfida che porterà al voto del 22 novembre per il rinnovo del Consiglio Comunale che dovrà poi nominare il sindaco (l’elezione diretta sarà dal 1993). Si sente aria di cambiamento, ma pochi prevedono l’inizio del periodo politico tanto convulso che resterà come uno dei più ricchi di contraccolpi nella storia di Valenza; si dovrà votare per ben tre volte in due anni per riuscire a dare una salda giunta comunale in grado di amministrare la città. Il fatto che sconvolge il rapporto di maggioranza in queste e nelle successive elezioni è la divisione dei due partiti socialisti che certo non giova alla sinistra. È arrivato a maturazione uno scontro che si era manifestato già all’indomani della nascita dello PSIUP (gennaio 1964).
Quest’ultimo, che con il PSI ancora unificato aveva quattro suoi esponenti in Consiglio (Ferruccio Rossi, Luigi Capra, Paolo e Mario Vecchio), ottiene in questa nuova elezione solo un seggio (5,48%) che, sommato ai 14 ottenuti dal PCI (43,03%), un solo consigliere in più dalle precedenti comunali, non dà la maggioranza a meno di non trovare altre alleanze in uno degli altri partiti che hanno loro rappresentanti nella nuova assise. Ma lo PSI si mantiene nelle sue posizioni annunciate nel corso della campagna elettorale, cioè una probabile collaborazione fra PSI (8,57%, 2 seggi), PSDI (7,90%, 2 seggi) e DC (31,95%, 10 seggi), in altre parole tra i partiti del “centrosinistra”. Resta solo il consigliere liberale (3,07%, 1 seggio) non certo assimilabile in un’alleanza PCI-PSIUP, ed è quindi molto difficile trovare un accordo per formare la nuova giunta: la generica euforia pre-elettorale si trasforma ben presto in depressione. Nelle file del PCI, dove si incita i socialisti a non cadere in tentazione e a girare alla larga dal centro, sono comparsi i primi “indipendenti, che provocano qualche incomprensione e anche scalpore. Una scelta di cambiamento che oggi parrebbe quasi naturale ma che nella storia politica del dopoguerra valenzano ha un carattere epocale.
Nelle elezioni comunali del 22 novembre 1964 questi sono gli eletti in Consiglio. DC: Illario, Genovese, Manenti, Doria, Patrucco, Mattacheo, Accatino, Manfredi, Deambroggi, Battezzati; PCI: Lenti, Piacentini, Bosco, Giordano, Gatti P., Minguzzi, Polidori, Ravarino, Lombardi, Gatti G., Dogliotti, Legnani, Provera, Gabba; PSI: Scognamiglio, Spriano; PSIUP: Capra; PSDI: Deambrogi, Buzio; PLI: Badini Confalonieri.
Il Partito Comunista ha pagato in particolare per la sua leadership, da troppo tempo fortemente personalizzata, e trova ora alcuni oppositori anche all’interno, tanto che fatica ormai a raccogliere il consenso unanime degli anni passati. Nell’arco centrista si acclama invece la vittoria per aver infranto il mito dell’imbattibilità comunista valenzana, pensando di poter assaporare chissà quale rivalsa politica.
Nel mese di febbraio 1965, dopo cinque diverse sedute del nuovo Consiglio comunale, visto il contrasto insanabile, il Prefetto provvede alla sospensione del Consiglio e nomina un commissario per la provvisoria gestione del Comune nella persona del Vice Prefetto Antonino Nielfi.
Inizia una lotta senza esclusioni di colpi; è una cronaca non eroica ma fitta d’eventi. Il principale esponente dell’opposizione, Luigi Illario, anche presidente dell’Associazione Orafa e con tante altre cariche, per alcuni un fenomeno per altri un trasformista, è molte volte al centro delle contese contro gli ex amministratori comunali. Contese che, stante il clima, si trasformano ben presto in battaglie politiche e fanno crescere rapidamente e intensamente la malapianta dell’odio, nel disprezzo e nel dileggio dell’avversario politico: permessi di costruzione, fontana luminosa, asilo comunale, fatture fuori bilancio, urbanistica, eccetera. Vicende che hanno più del ridicolo che del tragico e pretesti per sonore litigate.
Un calderone che si riempie di pettegolezzi, bugie e sporcizie varie, dove è sempre difficile distinguere i cattivi comportamenti dalle frottole. Non possono mancare le querele per diffamazione, le controquerele e le remissioni. Immancabili fiammate d’urla nei consigli comunali e molti scivoloni; qualcuno crede che il diritto sia una direzione di marcia. La Chiesa locale, pur con la vita consacrata inaridita e con sacramenti sempre più spesso disertati, è il segmento principale della DC, sale anch’essa sul patibolo allestito dagli avversari “comunisti” (pacchi dono “pasta e tessere”, ecc.). È ancora la storia di Peppone e Don Camillo, anche se il cambio generazionale la sta chiudendo.
Ma ben presto si è nuovamente in campagna elettorale per le elezioni che si terranno il 28 novembre 1965; le note di fondo sono le solite: l’incertezza del risultato.
Di fronte ad un clima che pare rovente e sinistro, si osservano alcuni atteggiamenti del partito comunista, a volte solo sfumati, a favore di un riaggancio con il gruppo dello PSI per raggiungere quella maggioranza perduta.
Spesso i due partiti socialisti e quello comunista si elevano a rappresentanti del movimento operaio, ma in realtà quasi mai riescono a coinvolgere questa classe sociale nel dibattito politico, né fanno grossi sforzi per aprire il dialogo nei raggruppamenti di base e nei luoghi di lavoro. Del resto la classe operaia a Valenza è un’entità eterogenea, povera di potenza combattiva, il cui alto tenore di vita, se confrontato con gli altri lavoratori italiani, spegne questa carica. Anche fra i pochi intellettuali di sinistra, quali può avere una piccola cittadina, è e rimane sempre radicata una concezione aristocratica della cultura e del dibattito politico. Medesimo distacco e simile delusione si scorgono del resto anche nei settori della classe imprenditoriale. Manca soprattutto in ognuno un programma che trasformi gli ideali e le antipatie in proposte concrete.
Il grande “match” elettorale del 28 novembre 1965 finisce nuovamente alla pari e si replica puntualmente il copione del 1964: 15 seggi ai partiti di governo nazionale e 15 all’estrema sinistra. Democristiani, comunisti e socialdemocratici hanno guadagnato voti a svantaggio dei liberali, dello PSI e del PSIUP; la DC guadagna un seggio, passando da 10 a 11; i liberali invece lo perdono di stretta misura; i socialdemocratici non riescono ad ottenere per poco il terzo consigliere comunale. Il PCI è passato dal 43% al 44,2%, la DC dal 31,9% al 32,6%, i socialdemocratici sono saliti dal 7,9% all’ 8,7%. In regresso gli altri: lo PSI dal 8,7% al 7,6% (2 seggi), i liberali dal 3,1% al 2,3% (nessun seggio) ed i socialproletari dal 5,5% al 4,4% (1 seggio). Sono dati questi per i quali i valenzani dovranno tornare quanto prima alle urne.
Eletti in Consiglio il 28 novembre 1965. PCI: Lenti, Piacentini, Dogliotti, Bosco, Bignotti, Sacchi, Minguzzi, Giordano, Gatti G., Quarta, Gatti P., Ravarino, Lombardi, Muraca; DC: Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Manfredi, Deambroggi, Accatino, Patrucco, Staurino, Demartini; PSI: Scognamiglio, Spriano; PSDI: Deambrogi, Buzio; PSIUP: Capra.
Si ha la netta sensazione di trovarsi davanti ad un muro di gomma; tutti sono portati così ad accentuare il confronto con toni aspri e con una dialettica che non produce sbocchi positivi. La contrapposizione impedisce che alcune importanti scelte amministrative si fronteggino con il compromesso. Qualche proposta viene avanzata, ma dopo 40 giorni dalle elezioni, nulla di positivo si è concluso. Si dialoga ma nessuno si toglie l’elmetto dalla testa cimentandosi in acrobazie spettacolari. Infine, dopo il logorio inglorioso e snervante della mediazione, nella seduta del 19 febbraio 1966, viene eletta una giunta, chiamata anche tecnico-amministrativa, composta dal sindaco indipendente PCI Virginio Piacentini (pare costruito quasi artificialmente nei laboratori elettoralistici del PCI), da un assessore per ogni altro partito e da due assessori DC, allo scopo di sostituire il commissario, provvedere ai problemi più urgenti e, dopo lo scioglimento del Consiglio del 30 giugno, preparare nuove elezioni. Pare uno scenario da opera teatrale (sei personaggi in cerca d’autore), una simbiosi di soccorso a scadenza, ma dopo pochi giorni l’incantesimo si è già rotto: i due assessori DC, Piero Genovese e Spartaco Mattacheo rassegnano subito le loro dimissioni e nella seduta successiva anche l’assessore PSDI eletto, Ezio Deambrogi, fa altrettanto.
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È quasi un mezzo miracolo quando, a fine marzo, viene formata un’altra giunta quadripartitica tecnica di emergenza, frutto di infinite mediazioni, senza accordo politico tra le parti, che avrà durata politica limitata fino alle nuove elezioni di ottobre. Sindaco della città è ancora Virginio Piacentini, primario radiologo dell’ospedale Mauriziano, eletto quale indipendente nelle liste del PCI (si guarda a lui come garanzia di moralità del gruppo), assessori sono Giovanni Bosco del PCI, Renato Spriano e Pasquale Scognamiglio dello PSI, Ezio Deambrogi e Gino Gaia (subentrato nel frattempo al posto di Luigi Buzio) dello PSDI, Luigi Capra dello PSIUP. Alla base dell’accordo vi è lo scioglimento del Consiglio con le dimissioni dei consiglieri il 30 giugno 1966. Questa data viene però superata a causa di alcune difficoltà incontrate nell’approvazione del bilancio preventivo. Appena il bilancio è approvato (28 agosto 1966), scatta l’impegno assunto ed i consiglieri comunisti e democristiani rassegnano le dimissioni; restano in carica solo i consiglieri di giunta che, con il loro sindaco, sbrigano l’ordinaria amministrazione sino alle elezioni che si svolgeranno il 27 novembre 1966.
Il 30 ottobre 1966 a Roma nasce il nuovo Partito Socialista Unificato (PSU) che viene presentato come la nuova formazione politica alternativa, aperto a tutte le classi e a tutte le categorie di lavoratori, anche se forse l’obiettivo principale dell’operazione è quello di abbattere il Partito Comunista. Ma le preoccupazioni che la nascita del nuovo partito crea nella DC e nel PCI sono ben presto completamente dileguate, perché il PSU (chiamato dal popolo il partito della “bicicletta”, a causa dei due simboli rotondi uno accanto all’altro) non ottiene quei consensi ed entusiasmi che inizialmente aveva fatto sperare e viene sonoramente sconfitto alle elezioni dimostrando che le fusioni non si fanno solo a tavolino. A Valenza la mescolanza è più forzata che sentita o voluta; sia nello PSI sia nello PSDI una parte dei dirigenti è contraria, ma è costretta a seguire la direttiva nazionale (un microcosmo che riflette il macrocosmo italiano). La contestazione più aspra è nello PSDI.
Nelle elezioni comunali del novembre 1966 ci sono grosse novità tra le liste dei partiti: non solo scompaiono lo PSI ed e lo PSDI, unificati nel nuovo PSU, ma anche il P.C.I. e lo PSIUP formano una lista comune. La sorpresa maggiore è quindi data dalla lista unitaria comunista-socialproletaria; un poco fortunato tentativo di fare un partito unico senza dirlo apertamente.
Poco si può prevedere sull’esito della contesa: tutto può avvenire, anche che non cambi nulla. I timori degli uni e degli altri sono egualmente fondati. Terminato lo scrutinio, il giorno 28 novembre 1966, la lunga e spasmodica attesa viene delusa; tutti ormai sanno che nessuno ha vinto; ancora una volta le elezioni si sono rivelate inutili. La lista d’estrema sinistra (PCI-PSIUP-INDIP.) ha avuto il 48,9% dei voti (nel novembre 1965 PCI e PSIUP, separatamente, avevano raggiunto il 48,5%) ma, malgrado questo leggero aumento, non è andata oltre al quindicesimo consigliere. Il PCI ha espresso lo sforzo maggiore alleandosi con i socialproletari e ancor più ha giocato la sua carta migliore includendo nella lista nomi di indipendenti di sicuro richiamo. I socialisti, dal canto loro, presentatisi con una lista unificata, pur con un leggero calo in percentuale (dal 16,3% al 16,1%), sono riusciti a conquistare un seggio in più, passando da 4 a 5, non riuscendo però a strappare all’estrema sinistra quei 200 voti necessari per un rovesciamento delle posizioni. Inoltre il miglioramento delle posizioni socialiste è avvenuto a discapito della DC che ha perso per poco un seggio passando dal 32,6% al 32,3%. I liberali infine, nonostante un leggerissimo incremento (sono passati dal 2,3% al 2,6%) non ottengono alcun seggio; sono questi 383 voti “persi” il rammarico più struggente nelle file degli anticomunisti.
Elezioni comunali del 27 novembre 1966, questi i consiglieri eletti. PCI-PSIUP-Sin.Indipendente: Lenti, Piacentini, Capra, Amisano, Dogliotti, Ravarino, Bosco, Quarta, Gatti, Giordano, Muraca, Vecchio, Ravan, Legnani, Ponzano; DC: Illario, Genovese, Manenti, Doria, Mattacheo, Patrucco, Accatino, Staurino, Manfredi, Deambroggi; PSI-PSDI: Deambrogi, Buzio, Scognamiglio, Gaia, Spriano.
A Valenza l’equilibrio pare ormai una cosa congenita, non varia neppure la percentuale dei votanti: 96% nel 1965, 96% nel 1966; gli elettori dimostrano di essersi stabilizzati su determinati orientamenti politici che nessun avvenimento in campo nazionale o locale può per ora variare.
Cresce in tutti ormai la volontà di trovare una soluzione e dare una normale amministrazione a questa città, formando una grande coalizione tra tutti gli schieramenti come alternativa a nuove elezioni. Forse si comincia a capire che in una cittadina come questa non si può imporre la legge del vincitore
La svolta avviene il 4 febbraio 1967; dopo quasi due anni di crisi la città ha nuovamente un’amministrazione formata da una giunta assembleare cui partecipano tutti i partiti. Dopo essersi disprezzati e insultati per tanti anni, ora sorridono mossi più che altro da interessi di bottega; per molti valenzani sono senza decenza né vergogna. Difficile spiegare agli elettori che si va al governo di Valenza con coloro che fino il giorno prima sono stati gli avversari, i nemici, il peggio del peggio. Il sindaco, che si tuffa nel cerchio di fuoco, è ancora Virginio Piacentini, l’indipendente che non è filo comunista ma neppure anti (praticamente neutrale come la Svizzera), obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza. Assessori effettivi i democristiani Piero Genovese e Luciano Patrucco, il socialproletario Luigi Capra e il socialista Renato Spriano (vice sindaco, presto avvicendato da Gaia); assessori supplenti sono i comunisti Giuseppe Gatti e Giovanni Bosco. Ma la luna di miele è destinata a durare poco.
Piacentini è invece un personaggio integerrimo (un qualificato medico); cerca di non scontentare nessuno e quindi dice e non dice, accenna e corregge, fa un passo avanti e uno indietro, ma non piace troppo ai palati fini dei politici che lo vedono quasi come un intruso. I valenzani invece assistono impotenti e sgomenti alle giravolte. Alcuni elettori comunisti sono sotto choc: quelli democristiani scuotono la testa e, dopo l’invasione sovietica del 1968 a Praga, che ha soffocato con i carri armati la “primavera” di Dubcek, nei socialisti valenzani si crea una netta contrapposizione anche sui temi non locali.
La conduzione assembleare del Comune prosegue sino all’autunno del 1969, quando la scissione socialista nazionale (4 luglio 1969) suscita reazioni allergiche con i conseguenti problemi di rappresentanza nell’amministrazione locale e ad un inevitabile riesame di tutta la composizione della giunta.
A Valenza se il contrasto, già abbastanza acceso, aveva bisogno d’altro carburante, è stato trovato. Dopo la scissione socialista, di una fusione mai avvenuta nei fatti, dei cinque consiglieri comunali due rimangono nello PSI, Spriano e Scognamiglio; altrettanti passano allo PSU, il vice sindaco Gaia e il senatore Buzio, mentre il quinto, Deambrogi, rimane a metà strada dichiarandosi indipendente. Lo PSI, alla cui segreteria c’è l’autonomista Gino Rossi, non in perfetta sintonia con gli ancora rari dirigenti lombardiani, chiede di essere rappresentato in giunta, visto che sono i “cugini” ad avere il vice sindaco, e fa intendere di essere disposto a rompere se non otterrà soddisfazione. Sta di fatto che è ancora una volta crisi. Alla estromissione del vice sindaco socialdemocratico Gaia (segretario del PSU), seguono le dimissioni degli assessori DC Genovese e Patrucco. L’esclusione dello PSU e le dimissioni degli assessori democristiani sono l’atto conclusivo di una travagliata vicenda nella quale la buona volontà di molti non è bastata a sanare irriducibili contrapposizioni esistenti tra i gruppi.
L’esperienza di due anni e mezzo di gestione assembleare della città è stata molto difficile e ha dato quello che poteva dare: poco. Sul suo funzionamento hanno influito alcune difficoltà del tutto particolari ed evidenti: l’impossibilità di decidere a maggioranza sui problemi di maggior importanza e la conseguente esigenza di ricercare faticosamente un punto d’incontro tra tutti i componenti, la necessità di consultazione dei gruppi di partito prima di adottare decisioni importanti. Ne consegue che l’andamento della giunta è stato sovente reso problematico da lunghe procedure di consultazione, di discussione, di riconsultazione e di ripensamento, che spesso hanno ritardato le decisioni e gli interventi, rimanendo legati solo ad un programma sociale indistinto. Ma, come ben sappiamo ancora oggi, con promesse, minacce, speranze e senza contenuti non si costruisce nulla e la collaborazione è un impegno troppo vago, anche se auspicata da tutti. Non che sia un’asserzione inedita, per l’amor del cielo.