«I pompieri agirono correttamente»: la Corte esclude l’azione imprudente
ALESSANDRIA – A Quargnento, la notte in cui morirono Marco Triches, Matteo Gastaldo e Antonino Candido, i vigili del fuoco si comportarono esattamente come dovevano. Lo spiega la Corte d’Assise nelle motivazioni della sentenza emessa l’8 febbraio che ha visto i coniugi Vincenti condannati a trent’anni di carcere. Questa la pena inflitta a Giovanni Vincenti e alla moglie Antonella Patrucco per la morte dei tre vigili del fuoco avvenuta il 5 novembre 2019 nello scoppio della loro magione.
Per i giudici togati e popolari non c’è spazio per l’ipotesi di una condotta imprudente, ci sono infatti elementi in conformità con le norme che regolano le procedure. Antonino Candido morì a causa dell’esplosione, ed era rimasto fuori dall’abitazione: per cui anche se non fossero entrati sarebbero stati attinti dalla deflagrazione. Indossarono le attrezzature previste per quel tipo di intervento e operarono con modalità corrette, secondo il regolamento.
«Non agirono come superman», come sostenne l’imputato. Se non avessero effettuato il soccorso sarebbero incorsi in omissioni.
Il teorema dell’accusa
Il teorema dell’accusa, affidata al procuratore capo Enrico Cieri, ha retto: omicidio volontario plurimo. È stato sostenuto il dolo eventuale: i Vincenti non volevano uccidere, ma con la loro azione scellerata lo hanno messo in conto. Nel crollo della cascina rimasero feriti altri due pompieri e un carabiniere in servizio a Solero. Gli avvocati Caterina Brambilla e il collega Federico Di Blasi si erano invece battuti per l’assoluzione della Patrucco.
«Siamo molto delusi – avevano sottolineato al termine dell’udienza dell’8 febbraio – perché ci aspettavamo che si prendesse atto delle circostanze evidenti emerse già dalla semplice lettura degli atti e si distinguessero le due posizioni. E quindi si applicasse il diritto. Riteniamo incredibile equiparare le due posizioni. Nei confronti di Antonella Patrucco non è dimostrato, e non è dimostrabile – avevano specificato i legali – che cosa sapesse realmente di quello che aveva posto in essere il marito. E il suo coinvolgimento all’interno del quadro accusatorio, è legato esclusivamente al fatto che fosse presente quando il marito ha ricevuto la telefonata all’1.01».
«La prima tappa»
«Questa è la prima tappa di un lungo percorso processuale – avevano spiegato Vittorio Spallasso e Lorenzo Repetti, difensori di Giovanni Vincenti – Confidiamo che nei successivi gradi le nostre argomentazioni vengano accolte».
«Famiglie straziate»
«Con tre morti e famiglie straziate, non si può dichiararsi soddisfatti. La Corte ha raccolto in pieno le nostre indicazioni, però il danno per queste famiglie rimane tutto». Queste erano state le parole del pubblico ministero Enrico Cieri che, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto per i coniugi Vincenti 30 anni di carcere.
Telefonata nella notte
Giovanni Vincenti era stato arrestato quattro giorni dopo l’esplosione. Aveva confessato di aver sistemato sette bombole nelle due unità abitative, disabitate da tempo, per incassare il premio assicurativo. Aveva impostato i timer all’1.30 ma uno dei due scattò a mezzanotte. Il vicino di casa avvertì i Vigili del fuoco, e sul posto erano intervenuti anche i Carabinieri di Solero. Quando i militari telefonarono a Vincenti per spiegare quello che era appena successo, lui non avvertì i soccorritori che altre bombole sarebbero esplose di lì a poco.